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Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione dei prezzi?
27 Novembre 2017
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I produttori di articoli di marca tipicamente puntano ad assicurare lo stesso livello di qualità lungo tutti i canali di distribuzione. Al fine di conseguire tale scopo, essi stabiliscono criteri su come rivendere i propri prodotti. Con l’aumento delle vendite via internet, l’utilizzo di tali criteri è aumentato altrettanto.
Il miglior esempio: Asics. Fino al 2010, la controllata tedesca Asics Deutschland GmbH riforniva i propri distributori in Germania senza applicare criteri particolari. Nel 2011, Asics ha lanciato un sistema di distribuzione selettivo chiamato “Distribution System 1.0“. Esso prevede, tra le altre cose, un divieto generale, per i distributori, di usare strumenti di comparazione dei prezzi nelle vendite online:
“In aggiunta, il distributore autorizzato … non è da ritenersi autorizzato … a supportare la funzionalità di comparazione dei prezzi apportando l’interfaccia specifica d’applicazione (“API”) per tali strumenti di comparazione dei prezzi.” [tradotto]
L’Ufficio federale dei cartelli tedesco (“Bundeskartellamt”) ha stabilito, con decisione del 26 agosto 2015, che il divieto di utilizzare strumenti di comparazione dei prezzi nei confronti di distributori presenti in Germania era nullo in quanto viola l’articolo 101 (1) TFUE e l’art. 1 della Legge contro le limitazioni della concorrenza (cfr. il testo della decisione, di 196 pagine, qui). Il motivo addotto è che tale divieto punterebbe principalmente a controllare e limitare la competizione dei prezzi a spese del consumatore. Asics, per contro, ha presentato ricorso dinnanzi all’Alta Corte Regionale di Düsseldorf, al fine di vedere annullata la decisione dell’Ufficio federale dei cartelli, sostenendo che tale divieto era uno standard di qualità proporzionato nell’ambito del suo “Distribution System 1.0“, mirante a una presentazione uniforme dei prodotti.
Il 5 aprile 2017, l’Alta Corte Regionale di Düsseldorf ha confermato, così come la decisione dell’Ufficio federale dei cartelli, che nell’ambito di sistemi di distribuzione selettiva il divieto generale di usare strumenti comparazione dei prezzi era anticoncorrenziale e con ciò nullo (fasc. n. VI-Kart 13/15 (V); vedi altresì la rassegna stampa dell’Ufficio federale dei cartelli in inglese):
- In particolare, il divieto di strumentazione di comparazione dei prezzi non era dispensato, nell’ambito di una interpretazione teleologica (“Tatbestandsreduktion”), dall’art. 101 co. 1 TFEU. Secondo la Corte, ciò non era necessario al fine di proteggere la qualità e l’immagine di prodotto del brand Asics (ossia la stessa argomentazione dell’Alta Corte regionale di Francoforte nella sua sentenza del 22.12.2015, fasc. n. 11 U 84/14 riguardante gli zaini di Deuter; la Corte suprema federale non dovrà più decidere su tale caso perché la revisione è stata ritirata in marzo 2017, fasc. n. KZR 3/16). La Corte ha dichiarato che il divieto era volto a limitare i compratori, argomentando che i distributori sarebbero stati limitati nell’entrare in una competizione sui prezzi con altri. La presentazione di prodotti all’interno degli strumenti di comparazione dei prezzi non avrebbe danneggiato la qualità o il brand di prodotti Asics. Non avrebbe nemmeno dato “l’impressione di un mercato delle pulci”, nemmeno attraverso la presentazione, in parallelo, di prodotti usati. Inoltre, il divieto di strumenti di comparazione dei prezzi non risolverebbe comunque il problema del “free-riding”. In ogni caso, il divieto generale posto all’utilizzo di strumenti di comparazione dei prezzi non era necessario e perciò illegittimo.
- Il divieto, inoltre, non doveva ritenersi esentato dal regolamento sulle categorie di accordi verticali e pratiche concordate. Al contrario, la Corte ha rilevato che il divieto avrebbe limitato vendite passive (svolte cioè attraverso internet) verso consumatori finali, contrariamente all’art. 4 (c) del regolamento sulle categorie di accordi verticali e pratiche concordate (facendo riferimento alla decisione della Corte di Giustizia dell’UE nel caso di Pierre Fabre, 13 ottobre 2011, fasc. n. C-439/09). Il “principio di equivalenza” (secondo cui le restrizioni valide per le vendite offline così come online non dovrebbero essere identiche, ma funzionalmente equivalenti) non si applicherebbe, in quanto nel commercio tradizionale non ci sarebbero funzioni comparabili agli strumenti di comparazione dei prezzi.
- Infine, il divieto non beneficerebbe nemmeno dell’esenzione individuale di cui all’art. 101 co. 3 TFUE (“difesa dell’efficienza”).
Conclusioni
Secondo l’Alta Corte regionale di Düsseldorf, i produttori non potrebbero proibire generalmente ai loro distributori di usare strumenti di comparazione dei prezzi. Allo stesso tempo, la corte ha rifiutato di concedere l’autorizzazione a un appello contro la propria decisione – che, comunque, può essere richiesto separatamente, tramite la via dell’impugnazione (cfr. artt. 74, 75 della Legge contro le restrizioni in materia di concorrenza). Il futuro sviluppo di criteri limitanti i distributori nella rivendita online resta aperto, in particolare in quanto (i) il caso Coty è attualmente pendente presso la Corte di Giustizia dell’UE (vedi sotto) e (ii) la Commissione UE nella sua inchiesta di settore sull’e-commerce apparentemente sembra favorire i produttori di articoli di marca (vedi sotto).
- La Corte ha lasciato esplicitamente aperte – adducendo che non fossero rilevanti per la sua decisione – la questioni se:
- il divieto di motori di ricerca sia anti competitivo (paragrafo 44 e ss. della decisione);
- il divieto generale di usare piattaforme di terze parti sia anti competitivo (paragrafo 7) – sebbene il “Distribution System 1.0” di Asics vietasse anche piattaforme come Amazon e eBay.
- Se e come produttori di prodotti di lusso o di marca possono continuare a vietare la loro distribuzione via Amazon, eBay e altri mercati in generale verrà probabilmente deciso dalla Corte di Giustizia UE nei prossimi mesi – nel caso Coty (vedi il nostro post “eCommerce: restrizioni su distributori in Germania”) per il quale un’udienza ha già avuto luogo alla fine di marzo 2017.
- Senza pregiudizio per il caso Coty, la Commissione UE, nella propria inchiesta di settore sull’e-commerce del maggio 2017, dichiarato che
- “divieti di marketplaces in generale non producono una proibizione di fatto della vendita online, non restringono l’uso effettivo di internet come canale di vendita indipendentemente dai mercati colpiti dal divieto…”;
- “la potenziale giustificazione ed efficienze riportate dai produttori differiscono da un prodotto all’altro …”;
- “(assoluti) divieti di marketplaces non dovrebbero essere considerati quali restrizioni fondamentali nel significato dell’articolo 4(b) e articolo 4(c) del regolamento su categorie di accordi verticali e pratiche concordate …”;
- “la Commissione o una autorità nazionale della concorrenza potrebbe decidere di ritirare la protezione del regolamento su categorie di accordi verticali e pratiche concordate in casi particolari, se giustificato dalla situazione di mercato”
(41–43 del Report finale sull’inchiesta di settore sull’e-commerce).
- Per dettagli sulla distribuzione online e il diritto antitrust, si prega di consultare il mio ultimo articolo “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2017, pp. 274-281.
Perciò, sulla base della più recente posizione della Commissione Europea, vi è spazio per argomenti e per la redazione creativa di contratti, posto che anche divieti generali di mercato possono essere compatibili con le norme UE sulla concorrenza. Comunque, le corti potrebbero considerare la questione in modo differente nel singolo caso. Conseguentemente, soprattutto la Corte di Giustizia UE con il suo caso Coty (vedi sopra) porterà maggiore chiarezza per la futura distribuzione online. Sul caso Coty, la Corte di Giustizia UE deciderà il 6 dicembre 2017 (vedi il calendario giudiziario della Corte) : rimanete aggiornati sugli sviluppi seguendo il nostro blog.