Azione revocatoria di un trust – i beneficiari non sono litisconsorti necessari

15 Marzo 2018

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La questione del litisconsorzio necessario rispetto ai beneficiari nell’azione revocatoria di un trust è da tempo oggetto di un ampio dibattito che ha portato alla formazione di due orientamenti tra loro contrastanti, superati dalla recente pronuncia della Cassazione n. 19376 del 3 agosto 2017.

Secondo un primo indirizzo, infatti, i beneficiari del trust non devono considerarsi parti necessarie del giudizio di revocatoria, perché oggetto della domanda azionata non sarebbe l’atto istitutivo del trust in sé, bensì il successivo atto dispositivo, compiuto dal settlor, con cui il nuovo ente, nella persona del trustee, viene dotato, senza che sia richiesta la partecipazione dei beneficiari, di un patrimonio.

I beneficiari non potrebbero ritenersi litisconsorti necessari in quanto, non essendo direttamente titolari dei beni conferiti nel trust, non subirebbero, nell’ipotesi di revoca dell’atto traslativo, un effettivo pregiudizio, ma vedrebbero semmai leso un loro mero interesse di fatto all’integrità patrimoniale dell’ente.

Essendo il trust non un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestato al “trustee”, quest’ultimo risulterebbe essere l’unico soggetto che, oltre a poter disporre in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, sarebbe legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche resistendo in giudizio (cfr. Corte d’Appello di Milano, sentenza 25 novembre 2016): infatti, sempre e solo nei suoi confronti il creditore del disponente potrebbe correttamente avviare, una volta riconosciuta l’inefficacia relativa dell’atto di disposizione all’esito del giudizio di revocatoria, l’esecuzione forzata.

Secondo altro orientamento, invece, i beneficiari del trust devono considerarsi litisconsorti necessari nel giudizio di revocatoria proprio perché, pur non titolari del patrimonio vincolato, sarebbero comunque interessati dagli effetti della sentenza che dispone la revoca del negozio di conferimento dei beni nel trust, venendo la loro posizione, sia giuridica che di fatto, comunque pregiudicata dagli effetti di una simile pronuncia.

Ad analoga conclusione potrebbe giungersi anche attraverso una interpretazione a contrario della giurisprudenza di legittimità in materia di fondo patrimoniale.

Con riferimento a tale istituto, la Cassazione ha, infatti, escluso la legittimazione passiva dei figli dei disponenti in giudizi analoghi, in quanto gli stessi non potrebbero vantare pretese azionabili direttamente nei confronti dei genitori – amministratori del fondo patrimoniale (cfr. Cassazione Civile, sentenza 15 maggio 2014 n. 10641; Cassazione Civile, sentenza 8 settembre 2004 n. 18065; Cassazione Civile, sentenza 17 marzo 2004 n. 5402).

I beneficiari del trust, invece, essendo nella posizione di azionare pretese nei confronti sia del trust stesso che del trustee, dovrebbero poter essere riconosciuti quali litisconsorti necessari in tutti quei giudizi che riguardano, sotto ogni aspetto, il negozio dispositivo-segregativo (cfr. S. Bartoli, Azione revocatoria di trust e litisconsorzio necessario rispetto ai beneficiari: la prima pronunzia della Cassazione, Il Caso, 22 Novembre 2017).

A far chiarezza sulla questione è, quindi, di recente intervenuta la Cassazione che, con la sentenza n. 19376 del 3 agosto 2017, ha proposto una soluzione alternativa a quelle appena illustrate, capace di sanare almeno in parte il contrasto interpretativo descritto.

Il caso esaminato dai giudici di legittimità è relativo al conferimento di determinati beni, dapprima in un fondo patrimoniale e poi in un trust, da parte di una coppia di coniugi che, attraverso tali strumenti, ha inteso destinare parte del proprio patrimonio alle necessità di vita e di studio dei figli.

Gli atti dispositivi sono stati, però, ritenuti pregiudizievoli per i propri interessi da una banca, creditrice di uno dei coniugi, che ha, pertanto, agito in revocatoria, ottenendo, sia in primo che in secondo grado, la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di fondo patrimoniale e trust.

Contro la sentenza di appello, i coniugi hanno, dunque, promosso ricorso per Cassazione, lamentando la mancata integrazione del contraddittorio in sede di merito, non avendo la corte d’appello ordinato la chiamata in causa dei figli – beneficiari, e chiedendo, conseguentemente, la dichiarazione di nullità dell’intero processo.

I giudici di legittimità, esaminata la vicenda, hanno, però, giudicato privi di pregio i motivi di gravame proposti dai ricorrenti.

Secondo la Cassazione, infatti, nell’ipotesi di fondo patrimoniale, non essendoci alcuna mutazione nella titolarità dei beni, che restano nella titolarità dei genitori – disponenti, e non sorgendo alcun diritto soggettivo in capo ai figli – beneficiari, questi non possono essere in alcun modo considerati litisconsorti necessari nel giudizio di revocatoria del fondo, come peraltro generalmente riconosciuto da costante giurisprudenza sia di merito che di legittimità (sul punto si veda la giurisprudenza già citata in precedenza).

Ad analoga conclusione, secondo la Suprema Corte, deve giungersi anche con riferimento al trust.

Sul punto, però, i giudici di legittimità ritengono di non poter fare pienamente proprio nessuno degli orientamenti formatisi in giurisprudenza, ed offrono, come preannunciato, una terza via interpretativa secondo cui i beneficiari del trust possono essere considerati legittimati passivi nell’azione revocatoria solo quando l’atto costitutivo del trust riconosca loro la titolarità di diritti attuali sui beni conferiti nello stesso.

In assenza di un espresso riconoscimento di tali prerogative, unico legittimato passivo nel giudizio di revocatoria non può che essere il trustee.

Il trust, infatti, diviene operativo, spiega la Corte, in forza di due tipologie di atti: il primo, di carattere unilaterale, finalizzato esclusivamente alla sua istituzione, ed il secondo (o i secondi, potendo il settlor procedere anche con una pluralità di negozi distinti) di natura prettamente dispositiva, diretto a trasferire i singoli beni in capo al trustee.

Se l’atto istitutivo, di per sé, non appare idoneo a determinare nessun pregiudizio per le ragioni dei creditori del disponente, non andando ad incidere sulla consistenza del suo patrimonio e, dunque, sulla sua capacità di adempiere alle proprie obbligazioni, altrettanto non può dirsi degli atti con cui i beni vengono trasferiti in capo al trustee, il quale, divenendo l’unico soggetto legittimato a disporre degli stessi, diviene anche il solo a poter resistere in un giudizio per tutelarli.

Chiarito tale aspetto, i giudici di legittimità hanno inoltre osservato come l’eventuale interesse dei beneficiari alla corretta amministrazione del patrimonio conferito nel trust non rappresenti, almeno in linea teorica, una ipotesi di interesse diretto ed immediato ad intervenire nel giudizio di revocatoria, tale da giustificare la partecipazione dei beneficiari quali litisconsorti necessari.

L’interesse alla corretta amministrazione del trust costituisce una posizione giuridica che riguarda esclusivamente i rapporti tra i beneficiari ed il trustee e che, in nessun modo, può interessare i creditori del disponente.

A diversa conclusione si sarebbe potuti giungere qualora il regolamento del trust avesse consentito di qualificare i beneficiari come attuali beneficiari di reddito o come beneficiari finali aventi diritto immediato a ricevere la titolarità dei beni conferiti in trust, indipendentemente da qualsiasi valutazione discrezionale del trustee.

Solo così, infatti, i beneficiari avrebbero potuto far valere un interesse diretto ed immediato ad intervenire nella controversia che avrebbe giustificato la necessità di una loro chiamata in causa.

Pertanto, nelle ipotesi in cui i beneficiari non siano titolari di diritti soggettivi attuali sui beni conferiti in trust, oltre al debitore, legittimato passivo nell’azione revocatoria è solo il trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, e dunque anche nei rapporti con i creditori del settlor, e solo titolare di diritti sui beni sottoposti a segregazione.

La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione si pone in linea anche con quanto previsto dal diritto inglese, dal quale il nostro ordinamento ha mutuato l’istituto del trust, secondo cui nelle controversie promosse dai creditori del disponente nei confronti del trust, la protezione di questo è affidata al trustee, al posto o in aggiunta ai beneficiari (Di Sapio, Muritano, “Solo il «trustee» partecipa al giudizio di revoca del trust”, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2017).

Perciò come in Italia, anche nei sistemi anglosassoni i beneficiari non sono parti necessarie del processo, ma possono intervenire volontariamente nello stesso per evitare di essere pregiudicati dalla pronuncia di revocatoria.

L’autore di questo articolo è Giovanni Izzo.