Influencer e pubblicità: un rapporto problematico

6 Agosto 2018

  • Italia
  • Media

Il tema degli influencer e del loro rapporto con la disciplina in materia di pubblicità è uno dei più interessanti degli ultimi anni, e a cui molti operatori del settore stanno dedicando energie e denaro.

In questo contributo torneremo a parlare dei problemi giuridici che l’influencer marketing rende necessario affrontare.

Molti sono i profili problematici che possono derivare dall’attività degli influencer, che sorgono in virtù di un principio fondamentale della pubblicità: qualunque forma di comunicazione e/o informazione pubblicitaria deve chiaramente essere riconoscibile come tale.

Ebbene, si sa che gli influencer, data la fama di cui godono sui social network, Instagram fra tutti, spesso vengono pagati per pubblicare foto che li ritraggono insieme ai beni prodotti dalle imprese che ne hanno fatto richiesta. Lo schema appena descritto ben può essere considerato una vera e propria attività pubblicitaria, dal momento che si riscontra la presenza di un soggetto che, dietro pagamento, svolge un’attività di propaganda diretta a render noto un prodotto alla collettività. Tuttavia, questo schema, di solito, non è accompagnato da alcun cenno al fatto che l’attività svolta dagli influencer sia una vera e propria attività pubblicitaria: essi si limitano a pubblicare la foto e a descrivere, naturalmente in maniera positiva, il prodotto, come se fosse “un racconto privato nello stile di Instagram” (ingiunzione del Comitato di Controllo IAP n. 57/2018).

Ed è sicuramente partendo da queste riflessioni che, negli ultimi due mesi, si è assistito ad un vero e proprio giro di vite nello IAP, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Il Comitato di Controllo dello stesso IAP ha notificato a molti influencer, nonché alle imprese che producono i beni oggetto dell’attività in esame, delle ingiunzioni, dirette a inibire la pubblicazione di alcuni post di cui gli influencer stessi erano autori.

Elemento comune di tutte queste ingiunzioni è la censura di un comportamento diretto a mostrare un’attività squisitamente pubblicitaria come se fosse una scelta spontanea dell’influencer, il che comporta una situazione in cui, utilizzando le parole dell’ingiunzione n. 61/2018 del 14 giugno 2018, vi sono “comunicazioni che veicolano un contenuto eminentemente promozionale del prodotto e del brand in questione, che non risulta però sufficientemente esplicito e dunque immediatamente riconoscibile dal pubblico”.

Ed infatti, nelle ingiunzioni citate, ma anche in altre come ad esempio l’ingiunzione n. 51/2018, ciò che si contesta è la violazione dell’art. 7 del Codice di Autodisciplina pubblicitaria, fonte del principio summenzionato per cui la comunicazione pubblicitaria deve essere sempre riconoscibile come tale e che prevede, inoltre, che “nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti”.

Gli interventi del Comitato di Controllo coinvolgono non solo gli influencer, ma anche le imprese, poiché esse, di fatto, beneficiano di un’attività che può essere considerata una forma di pubblicità occulta.

Ci sia permesso un rilievo. Si prenda ad esempio l’ingiunzione n. 50/2018, relativa a due post della blogger ed influencer Chiara Nasti, che la ritraevano con dei prodotti col marchio “Sunsilk”: dopo aver rilevato che i due post del profilo Instagram di Nasti violavano il summenzionato art. 7 del Codice di Autodisciplina, si fa menzione alla necessità irrinunciabile della “trasparenza delle comunicazioni”, che consenta una distinzione effettiva, e non solo formale, delle comunicazioni promozionali da ogni altro tipo di comunicazione.

Analizzando le linee-guida elaborate in materia dallo IAP, la c.d. “Digital Chart”, emerge che viene ritenuto sufficiente, ai fini della distinguibilità di una comunicazione pubblicitaria come tale, che un post su Instagram o su un altro social network presenti un tag con su scritto #advertising, o addirittura solamente #ad.

Sotto questo profilo, le linee guida dello IAP potrebbero lasciare un po’ perplessi. Pur riconoscendo che la scelta in esame è un tentativo di mediare tra l’esigenza di tutelare il consumatore e le caratteristiche proprie dell’attività di influencer, è lecito dubitare che il tag #ad, apposto ad una fotografia su un social network, sia di per sé idoneo a rendere evidente, all’utente e al consumatore medio, che il post che si sta guardando integra un messaggio pubblicitario. Infatti, si può presumere che siano molti gli utenti che non sanno che il termine “ad” sia l’abbreviazione di “advertising”, tanto più se si tiene conto che spesso l’utenza media degli influencer è rappresentata da giovani di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Il tag #ad, in poche parole, riuscirebbe a “mascherare” l’attività pubblicitaria.

D’altro canto, a queste conclusioni sono giunti anche l’italiana Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) e alcuni giudici tedeschi (e l’ordinamento tedesco è noto per essere particolarmente attento al diritto delle nuove tecnologie). Si guardi in tal senso al Caso 13 U 53/17, deciso dalla Celle Higher Regional Court, in cui si è fatto proprio riferimento al tag #ad, giungendo a delle conclusioni analoghe a quelle summenzionate.

È bene poi rilevare che, fino a questo momento, si è fatto riferimento al Codice di Autodisciplina, un testo normativo emanato dallo IAP, le cui ingiunzioni o decisioni vincolano solo le imprese aderenti al suo sistema autodisciplinare.

È chiaro, tuttavia, che sia applicabile , in fattispecie come quelle sopradescritte, una normativa statuale italiana, ossia il c.d. Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005).

La pubblicità occulta integra anche una violazione del divieto di pratiche commerciali ingannevoli e scorrette, stabilito in diverse disposizioni di cui al Codice del Consumo, per l’appunto.

Le conseguenze non sono da poco, dal momento che il suddetto Codice e i Regolamenti Attuativi prevedono l’intervento dell’AGCM o dell’Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM), entrambe dotate di poteri sanzionatori nei confronti di qualsiasi soggetto (con particolare riferimento al profilo pecuniario).

Quel che emerge da questa breve disamina è che il fenomeno, cui essa è dedicata, è particolarmente interessante e diffuso in tutto il mondo. Per questa ragione, ciò che viene auspicato è un confronto sull’argomento con i colleghi di Legamondo, ai quali chiediamo di raccontarci cosa accade nei loro Paesi o di mettersi in contatto con noi.

L’autore di questo articolo è Elena Carpani.