Condizioni generali dei contratti online B2C: la clausola di scelta della legge applicabile

28 Marzo 2019

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La grande maggioranza dei contratti stipulati online tra imprese e consumatori viene ormai conclusa mediante la sottoscrizione online del contratto e il richiamo alle condizioni generali di vendita, predisposte unilateralmente dal venditore/fornitore di servizi e consultabili sul sito web. Altrettanto usualmente, tra le condizioni generali di vendita è presente una clausola di scelta della legge applicabile al contratto, solitamente a favore della legge del luogo dove l’impresa ha sede.

La Corte di Giustizia Europea con la pronuncia C‑191/15 (VKI contro Amazon EU, 28 luglio 2016) ha precisato i requisiti di validità di una clausola di scelta di legge inserita nelle condizioni generali di un contratto B2C (“Business to Consumer”) stipulato online. La sentenza ha avuto un impatto molto rilevante nella redazione delle condizioni generali di vendita o servizio, perché la mancanza dei requisiti imposti dalla Corte di Giustizia Europea produce l’invalidità della clausola e la sua inapplicabilità in un’eventuale vertenza. È il caso, quindi, di ripercorrere la decisione della Corte di Giustizia.

Il caso sottopostole riguardava un contratto stipulato proprio con questa modalità: Amazon EU – con sede in Lussemburgo – commercia con i suoi clienti austriaci attraverso il portale amazon.de e nelle condizioni generali di vendita aveva inserito la seguente clausola: «Si applica la legge lussemburghese con esclusione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite in materia di contratti di vendita internazionale di merci».

Su richiesta di un’associazione di consumatori, la Corte Suprema Austriaca ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di verificare se una simile clausola potesse essere considerata abusiva ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva 93/13 a tutela dei consumatori nei contratti stipulati con un professionista: “Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto”.

La Corte ha, in primo luogo, osservato che il diritto europeo consente in linea di principio che un imprenditore inserisca nelle sue condizioni generali una clausola di scelta di legge, anche quando essa non sia stata oggetto di trattativa individuale con il consumatore. A fronte di questa possibilità, il legislatore europeo (art. 6, par. 2, Regolamento Roma I) ha previsto un meccanismo di tutela per il consumatore, garantendogli in ogni caso il diritto a invocare le disposizioni imperative della legge dello Stato in cui egli risiede, indipendentemente dalla legge individuata nella clausola. Il consumatore, quindi, anche se non previsto dalla clausola, potrà utilizzare le disposizioni inderogabili dello Stato nel quale ha la residenza abituale se più favorevoli di quelle previste dalla legge scelta nelle condizioni generali.

La Corte Europea, però, ha anche considerato essenziale che il professionista informi il consumatore del suo diritto a invocare le disposizioni di legge imperative “interne”, per evitare che quest’ultimo – ignorando l’art. 6, par. 2 del Regolamento Roma I e facendo affidamento unicamente a quanto scritto nella clausola – sia dissuaso dall’agire in giudizio nei confronti dell’imprenditore.

Questa situazione, infatti, andrebbe a creare un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, rendendo la clausola abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

Come dovrà quindi essere formulata una clausola di scelta di legge all’interno delle condizioni generali predisposte per un contratto B2C? La soluzione viene offerta dalla stessa Corte di Giustizia.

La clausola di scelta della legge applicabile dovrà informare il consumatore che egli può beneficiare anche della tutela consumeristica assicuratagli dalle disposizioni imperative della legge dello stato dove abitualmente risiede.

Sarà, al contrario, abusiva qualunque clausola che induca in errore il consumatore, dandogli l’impressione che al contratto si applichi soltanto la legge dello stato dove l’imprenditore/professionista ha sede.

Questa sentenza offre lo spunto per una considerazione più generale: le aziende e i professionisti che operano nel mercato e-commerce, specialmente nel settore B2C, devono prestare particolare attenzione agli sviluppi non solo della normativa interna ed europea, ma anche delle normative e delle interpretazioni giurisprudenziali nei paesi i cui risiedono i potenziali consumatori dei prodotti o servizi venduti, sia che si tratti di vendite sui canali tradizionali, sia online, al fine di evitare di predisporre dei contratti che si rivelino poco efficaci o, ancor peggio, controproducenti.

Tutte le considerazioni finora svolte non riguardano la competenza giurisdizionale e l’eventuale inserimento nel contratto di una clausola di scelta del foro competente, che nei contratti B2C è generalmente sconsigliabile. In ambito europeo, infatti, il Regolamento Bruxelles I bis accorda al consumatore una tutela molto forte, che gli dà quasi sempre la possibilità di proporre l’azione giudiziale nel luogo dove ha la sua residenza abituale (cd. Foro del consumatore), obbligando il professionista – indipendentemente da clausole con diverso contenuto – a fare lo stesso.

Giuliano Stasio

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