RCEP – Il più grande accordo di libero scambio

19 Novembre 2020

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Sotto la presidenza vietnamita dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), dopo otto anni di negoziati i dieci Stati membri dell’ASEAN (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam) il 15 novembre 2020 hanno firmato un clamoroso accordo di libero scambio (FTA) con Cina, Corea del Sud, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, denominato Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).

La comunità economica dell’ASEAN è un’area di libero scambio avviata nel 2015 tra i suddetti dieci membri dell’omonima associazione, che comprende un PIL aggregato di 2,6 trilioni di dollari e oltre 622 milioni di persone. L’ASEAN è il principale partner commerciale della Cina, con l’Unione Europea scivolata al secondo posto.

A differenza dell’Eurozona e dell’Unione Europea, l’ASEAN non ha una moneta unica, né istituzioni comuni, come la Commissione Europea, il Parlamento e il Consiglio. Analogamente a quanto accade nell’UE, tuttavia, un singolo membro detiene una presidenza a rotazione.

Singoli Paesi ASEAN, come Vietnam e Singapore, hanno recentemente stipulato accordi di libero scambio con l’Unione Europea, mentre l’intero blocco ASEAN aveva e ha tuttora in essere i cosiddetti accordi “più uno” con altri Paesi dell’area, ovvero la Repubblica Popolare Cinese, Hong Kong, la Repubblica di Corea,, il Giappone, l’India e l’Australia e la Nuova Zelanda insieme.

Ad eccezione dell’India, tutti gli altri Paesi con accordi “più uno” con l’ASEAN fanno ora parte dell’RCEP, che supererà progressivamente i singoli FTA attraverso l’armonizzazione delle regole, soprattutto quelle relative all’origine dei prodotti.

I negoziati RCEP sono accelerati con la decisione degli Stati Uniti d’America di ritirarsi dal Trans-Pacific Partnership agreement (TPP) con l’elezione del presidente Trump nel 2016 (anche se vale la pena di ricordare che anche gran parte del partito democratico degli Stati Uniti si era ai tempi opposta al TPP). Il TPP sarebbe stato quindi il più grande accordo di libero scambio di sempre e, come suggerisce il nome, avrebbe messo insieme dodici nazioni affacciate sull’Oceano Pacifico, ossia Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e appunto Stati Uniti. Con l’esclusione di questi ultimi, gli altri undici hanno comunque firmato un accordo simile, denominato Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP). Il CPTPP è stato tuttavia ratificato solo da sette dei suoi firmatari e chiaramente non ne fa parte la più grande economia e partner più significativo di tutti. Allo stesso tempo, sia l’abortito TPP, sia il CPTPP escludono enfaticamente la Cina.

Il peso del RCEP è quindi evidentemente maggiore, in quanto nei Paesi firmatari, che rappresentano circa il 30% del PIL mondiale, vivono 2,1 miliardi di persone. E la porta per l’India con i suoi 1,4 miliardi di persone e 2,6 trilioni di dollari di PIL rimane aperta, hanno affermato gli altri membri.

Come la maggior parte degli accordi di libero scambio, l’obiettivo dell’RCEP è abbassare le tariffe, facilitare gli scambi di beni e servizi e promuovere gli investimenti. L’accordo affronta brevemente la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, ma non fa menzione della tutela dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. I suoi firmatari comprendono economie molto avanzate, come quella di Singapore, e piuttosto povere, come quella della Cambogia.

Il significato dell’RCEP in questo momento è probabilmente più simbolico che tangibile. Anche se si stima che circa il 90% delle tariffe sarà abolito, ciò avverrà solo in un periodo di venti anni dall’entrata in vigore, cosa che accadrà solo dopo la ratifica. Inoltre, il settore dei servizi e soprattutto quello agricolo non rappresentano il fulcro dell’accordo e pertanto saranno ancora soggetti a barriere, regole e restrizioni nazionali. Ciononostante, si stima che, anche in questi tempi di pandemia, l’RCEP contribuirà annualmente al PIL mondiale per circa 40 miliardi di dollari in più rispetto al CPTPP (186 miliardi di dollari contro 147 miliardi di dollari) per dieci anni consecutivi.

Il suo impatto immediato è geopolitico. Sebbene i firmatari non siano affatto alleati di ferro (si pensi alle controversie territoriali sul Mar Cinese Meridionale, per esempio), il messaggio è chiaro:

  • La maggior parte di questa parte del mondo ha affrontato la pandemia di Covid-19 molto bene, ma non può permettersi di aprire le sue frontiere a europei e americani in tempi brevi, per timore che il virus si diffonda di nuovo. Deve quindi cercare di appianare le tensioni interne, se vuole vedere nelle sue economie alcuni segnali positivi dati dal commercio privato, oltre alla spesa pubblica in deficit (non sempre “buona”). La maggior parte di questi Paesi fa molto affidamento sui talenti, sui turisti, sui beni, sui servizi e persino sul supporto strategico e militare dell’Occidente, ma è realista sul fatto che, a meno che il tanto pubblicizzato vaccino non funzioni molto bene e molto presto, l’Occidente lotterà con questo coronavirus per lunghi mesi, se non anni.
  • Il multilateralismo è fondamentale e l’isolazionismo è pericoloso. Il blocco ASEAN e il duo Australia-Nuova Zelanda lavorano esattamente in questa direzione pacifica e favorevole agli affari.

Il sito web ufficiale dell’ASEAN (https://asean.org/?static_post=rcep-regional-comprehensive-economic-partnership) è molto chiaro al riguardo e afferma, infatti, che:

L’RCEP fornirà un quadro volto ad abbassare le barriere commerciali e garantire un migliore accesso al mercato di beni e servizi per le imprese della regione, attraverso:

  • Il riconoscimento della centralità dell’ASEAN nell’architettura economica regionale e degli interessi dei partner dell’ASEAN nel potenziamento dell’integrazione economica e nel rafforzamento della cooperazione economica tra i Paesi partecipanti agli FTA;
  • La facilitazione del commercio e degl’investimenti e maggiore trasparenza nelle relazioni commerciali e di investimento tra i Paesi partecipanti, nonché maggiore coinvolgimento delle PMI nelle catene di valore globali e regionali; e
  • L’ampliamento degli impegni economici dell’ASEAN con i suoi partner.

L’RCEP riconosce l’importanza dell’inclusività, in particolare per consentire alle PMI di sfruttare l’accordo e far fronte alle sfide derivanti dalla globalizzazione e dalla liberalizzazione del commercio. Le PMI (comprese le microimprese) costituiscono più del 90% delle imprese dei firmatari dell’RCEP e sono importanti per lo sviluppo endogeno dell’economia di ogni Paese. Allo stesso tempo, l’RCEP è volto a fornire politiche economiche regionali eque a vantaggio sia dell’ASEAN, sia dei suoi partner.

Tuttavia, il momento è favorevole anche per le imprese dell’UE. Come ricordato, l’UE ha in essere accordi di libero scambio con Singapore, Corea del Sud, Vietnam, un accordo di partenariato economico con il Giappone e sta negoziando separatamente sia con l’Australia, sia con la Nuova Zelanda.

In generale, tutti questi accordi creano regole comuni per tutti gli attori coinvolti, rendendo così più semplice per le aziende commerciare in diversi territori. Con le avvertenze già rapidamente enucleate sull’entrata in vigore e sulle regole di origine, i Paesi che hanno firmato un accordo di libero scambio con l’UE e l’RCEP, in particolare Singapore, un importante hub di lingua inglese, che si colloca al primo posto in Asia orientale nell’indice dello Stato di diritto (terzo nella regione dopo Nuova Zelanda e Australia e dodicesimo in tutto il mondo: https://worldjusticeproject.org/sites/default/files/documents/Singapore%20-%202020%20WJP%20Rule%20of%20Law%20Index%20Country%20Press%20Release.pdf), potrebbero collegare entrambe le regioni e facilitare il commercio globale anche in questo difficile periodo storico.

Federico Vasoli

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