Come gestire l’impatto dei dazi sulla supply chain internazionale

9 Febbraio 2025

  • Italia
  • Distribuzione

I dazi non li pagano i governi stranieri (come ripetuto più volte da Donald Trump in campagna elettorale) ma le imprese importatrici del paese che emette la tassa sul valore del prodotto importato, ossia, nel caso del recente round di dazi dell’amministrazione Trump, le imprese statunitensi.  Allo stesso modo, saranno le imprese canadesi, messicane, cinesi e – probabilmente – europee, che pagheranno i dazi per l’import dei prodotti di provenienza USA, applicati dai rispettivi paesi come misura di ritorsione commerciale nei confronti dei dazi statunitensi.

In questo contesto, si aprono diversi scenari, tutti problematici:

  • Per le imprese USA, che versano la tassa di importazione
  • Per le imprese straniere che esportano verso gli USA i prodotti tassati, che per effetto dell’aumento dei prezzi vedranno calare i volumi di export
  • Per le imprese straniere che importano prodotti dagli USA, perché a loro volta pagheranno i dazi imposti dai loro paesi come ritorsione a quelli americani
  • Per i clienti intermedi o finali nei mercati interessati dai dazi, che pagheranno un prezzo più alto sui prodotti importati

L’imposizione del dazio costituisce causa di forza maggiore?

Una prima obiezione frequente della parte colpita dal dazio (può essere il compratore-importatore, oppure chi rivende il prodotto dopo avere pagato il dazio), in questi casi, è quella di invocare la forza maggiore per sottrarsi all’adempimento del contratto, che per effetto del dazio è divenuto troppo oneroso.

L’applicazione del dazio, però, non rientra tra le cause di forza maggiore, poiché non siamo di fronte ad un evento imprevedibile, che comporti l’impossibilità oggettiva di adempiere al contratto. Il compratore / importatore, infatti, può sempre dare adempimento al contratto, con la sola problematica dell’aumento del prezzo.

L’imposizione del dazio costituisce causa di eccessiva onerosità sopravvenuta (hardship)?

Se ricorre una situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta dopo la conclusione del contratto (in inglese, harship) la parte colpita ha diritto di chiedere una revisione del prezzo, oppure di terminare il contratto.

Occorre una valutazione caso per caso, che porta a ritenere ricorrente una situazione di hardship se ricorra una situazione straordinaria ed imprevedibile (nel caso dei dazi USA, annunciati da mesi, difficile sostenerlo) e il prezzo, per effetto dell’applicazione del dazio, sia manifestamente eccessivo.

Si tratta di situazioni eccezionali, di rara applicazione, che vanno approfondite sulla base della legge applicabile al contratto.  In linea generale le fluttuazioni di prezzo sui mercati internazionali rientrano nel rischio d’impresa e non costituiscono motivo sufficiente per rinegoziare gli accordi conclusi, che restano vincolanti, salvo che le parti non abbiano previsto una clausola di hardship nell’accordo (ne parliamo in seguito).

L’applicazione del dazio comporta un diritto a rinegoziare i prezzi?

I contratti già conclusi, ad esempio gli ordini già accettati e i programmi di fornitura con prezzi concordati per un certo periodo, restando vincolanti e devono essere eseguiti secondo gli accordi originari.

In assenza di clausole specifiche nel contratto, la parte colpita dal dazio è dunque obbligata a rispettare il prezzo precedentemente pattuito e dare adempimento all’accordo.

Le parti sono libere di rinegoziare i futuri contratti, ad esempio

  • il venditore può concedere uno sconto per diminuire l’impatto del dazio che colpisce il compratore-importatore, oppure
  • il compratore può acconsentire ad un aumento del prezzo per compensare un dazio che il venditore abbia pagato per importare un componente o una semilavorato nel suo paese, per poi esportare il prodotto finito

ma ciò non riguarda la validità degli impegni già contrattualizzati, che restano vincolanti.

La situazione è particolarmente delicata per le imprese che si trovano nel mezzo della catena di fornitura, ad esempio chi importa materie prime o componenti dall’estero (potenzialmente oggetto di dazi, o di doppi dazi in caso di ripetuta importazione ed esportazione) e rivende i prodotti semilavorati o finiti, con ordinativi confermati a lungo termine, o accordi di fornitura a prezzo fisso per un certo periodo. In caso di contratti già conclusi, chi ha importato un prodotto accollandosi il dazio non ha diritto di trasferire il costo sul successivo anello della supply chain, a meno che ciò non fosse espressamente previsto nel contratto con il cliente.

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Come tutelarsi nel caso di imposizione di futuri dazi che colpiscano fornitori o clienti stranieri?

E’ consigliabile prevedere espressamente il diritto di rinegoziare i prezzi, se necessario aggiungendo con un addendum all’accordo originario. Il risultato si ottiene, ad esempio, con una clausola che preveda che nel caso di eventi futuri, compresi eventuali dazi, che comportino un aumento del costo complessivo del prodotto sopra una certa soglia (ad esempio il 10%), la parte colpita dal dazio abbia il diritto di avviare una rinegoziazione del prezzo e, in caso di manco accordo, possa recedere dal contratto.

Un esempio di clausola può essere il seguente:

Import Duties Adjustment

“If any new import duties, tariffs, or similar governmental charges are imposed after the conclusion of this Contract, and such measures increase a Party’s costs exceeding X% of the agreed price of the Products, the affected Party shall have the right to request an immediate renegotiation of the price. The Parties shall engage in good faith negotiations to reach a fair adjustment of the contractual price to reflect the increased costs.

If the Parties fail to reach an agreement within [X] days from the affected Party’s request for renegotiation, the latter shall have the right to terminate this Contract with [Y] days’ written notice to other Party, without liability for damages, except for the fulfillment of obligations already accrued.”

Roberto Luzi Crivellini

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