France: Review and renegotiation of price in case of costs increase

5 Maggio 2022

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Dopo oltre 30 anni di negoziati, gli occhi del mondo sono ora puntati sul primo accordo commerciale panafricano, entrato in vigore nel 2019: l’Area Continentale Africana di Libero Scambio (African Continental Free Trade Area – AfCFTA).

Con 55 Paesi e circa 1,3 miliardi di persone, l’Africa è il secondo continente più grande del mondo dopo l’Asia. Il potenziale del continente è enorme: più del 50 % della popolazione africana ha meno di 20 anni e la crescita demografica è la più rapida al mondo. Entro il 2050, si stima che un neonato su quattro sarà africano. Inoltre, il continente è ricco di terreni fertili e di materie prime.

Per gli investitori occidentali, negli ultimi anni l’Africa è diventata molto più importante. È emersa così una notevole quantità di scambi internazionali, anche grazie all’iniziativa “Compact with Africa”, nota anche come “Piano Marshall con l’Africa”, adottata nel 2017 dai Paesi del G20. L’obiettivo è sviluppare la cooperazione economica dell’Africa con i Paesi del G20 attraverso l’aumento degli investimenti privati.

Il commercio intra-africano, invece, è stato finora stagnante: tariffe elevate, barriere non tariffarie (non-tariff barriers – NTBs), infrastrutture deboli, corruzione, burocrazia pesante e mancanza di trasparenza e coerenza nei regolamenti hanno impedito alle esportazioni interregionali di crescere e recentemente hanno rappresentato solo il 17 % del commercio intra-africano e solo lo 0,36 % del commercio mondiale. Per questo motivo, l’Unione Africana (UA) ha da tempo messo in agenda la creazione di un’area commerciale comune.

Cosa c’è dietro l’AfCFTA?

La creazione di un’area commerciale panafricana è stata preceduta da decenni di negoziati che hanno infine portato all’entrata in vigore dell’AfCFTA il 30 maggio 2019.

L’AfCFTA è un’area di libero scambio istituita dai suoi membri che copre l’intero continente africano (con l’eccezione dell’Eritrea), rendendola la più grande area di libero scambio al mondo dopo l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) in termini di numero di Stati membri.

L’organizzazione del mercato comune è stata oggetto di diversi negoziati individuali, condotti durante le fasi I e II.

La fase I comprende i negoziati su tre protocolli ed è quasi conclusa.

Il Protocollo sugli scambi di merci

Il Protocollo prevede l’eliminazione del 90% di tutte le tariffe intra-africane in tutte le categorie di prodotti entro cinque anni dalla sua entrata in vigore. Di questi, fino al 7 % dei prodotti può essere considerato sensibile e ricevere un periodo di dieci anni per l’eliminazione delle tariffe. Per i Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs), il periodo di preparazione è esteso da cinque a dieci anni e per i prodotti sensibili da dieci a tredici anni, a condizione che ne dimostrino la necessità. Il restante 3 % dei dazi è completamente escluso dallo smantellamento tariffario.

Il presupposto per lo smantellamento delle tariffe è una chiara delimitazione delle regole di origine. Altrimenti, le importazioni da Paesi terzi potrebbero beneficiare dei vantaggi tariffari negoziati. È già stato raggiunto un accordo sulla maggior parte delle norme di origine.

Il Protocollo sul commercio dei servizi

Finora l’Assemblea generale dell’UA ha concordato cinque aree prioritarie (trasporti, comunicazioni, turismo, servizi finanziari e servizi alle imprese) e le linee guida per gli impegni corrispondenti. 47 Stati membri dell’UA hanno già presentato le loro offerte di impegni specifici e l’esame di 28 di essi è stato completato. Inoltre, sono ancora in corso negoziati, ad esempio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

Il Protocollo sulla risoluzione delle controversie

Con il Protocollo sulle regole e le procedure per la risoluzione delle controversie, l’AfCFTA crea un sistema di risoluzione delle controversie sulla falsariga dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie dell’OMC. L’organo di risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Body – DSB) amministra il Protocollo di risoluzione delle controversie dell’AfCFTA e istituisce un gruppo arbitrale (Adjudicating Panel – Panel) e un organo di appello (Appellate Body – AB). Il DSB è composto da un rappresentante per ogni Stato membro e interviene in caso di disaccordo tra gli Stati contraenti sull’interpretazione e/o l’applicazione dell’accordo in relazione ai loro diritti e obblighi.

Per la restante fase II, sono previsti negoziati sulla politica degli investimenti e della concorrenza, sulle questioni relative alla proprietà intellettuale, sul commercio elettronico e sulle donne e i giovani nel commercio, i cui risultati saranno incorporati in ulteriori protocolli.

L’attuazione dell’AfCFTA

In linea di principio, il commercio nell’ambito di un accordo commerciale può iniziare solo dopo la definizione definitiva del quadro giuridico. Tuttavia, nel dicembre 2020 i capi di Stato e di governo dell’UA hanno deciso che il commercio potrà iniziare con i prodotti per i quali sono stati conclusi i negoziati. In questo regime transitorio, dopo un ritardo dovuto alla pandemia, la prima transazione commerciale AfCFTA ha avuto luogo il 4 gennaio 2021 dal Ghana al Sudafrica.

Componenti dell’AfCFTA

Tutti i 55 membri dell’UA hanno partecipato ai negoziati dell’AfCFTA. Di questi, 47 appartengono ad almeno una delle Comunità Economiche Regionali (Regional Economic Communities – RECs) riconosciute che, secondo il preambolo dell’AfCFTA, continueranno a servire come elementi costitutivi dell’accordo commerciale. Di conseguenza, sono state le RECs a rappresentare i rispettivi membri nei negoziati dell’AfCFTA. L’AfCFTA prevede che le RECs mantengano i loro strumenti giuridici, le loro istituzioni e i loro meccanismi di risoluzione delle controversie.

All’interno dell’UA esistono otto comunità economiche regionali riconosciute, che si sovrappongono in alcuni Paesi e sono costituite da aree di libero scambio (Free Trade Areas – FTAs) o unioni doganali.

Nell’ambito dell’AfCFTA, le RECs hanno diverse missioni. Questi includono:

  • coordinamento delle posizioni negoziali e sostegno agli Stati membri nell’attuazione dell’accordo;
  • mediazione orientata alla soluzione in caso di disaccordo tra gli Stati membri;
  • aiutare gli Stati membri ad armonizzare i dazi doganali e le altre norme di protezione delle frontiere;
  • promuovere l’uso della procedura di notifica dell’AfCFTA per ridurre le NTBs.

Prospettive dell’AfCFTA

L’AfCFTA ha il potenziale per facilitare l’integrazione dell’Africa nell’economia globale e crea una reale opportunità di riorientare i modelli di integrazione e cooperazione internazionale.

Un accordo commerciale da solo non garantisce il successo economico. Affinché l’accordo raggiunga l’obiettivo prefissato, gli Stati membri devono avere la volontà politica di attuare le nuove norme in modo coerente e di costruire la capacità necessaria per farlo. In particolare, dovrebbero essere fondamentali l’eliminazione a breve termine delle barriere al commercio e lo sviluppo di un’infrastruttura fisica e digitale sostenibile.

Se siete interessati all’AfCFTA, potete leggere qui una versione estesa di questo articolo.

Lo sportello africano di Legalmondo

Con i nostri esperti in Algeria, Camerun, Côte d’Ivoire, Egitto, Ghana, Libia, Marocco, Senegal, Sudan, Tunisia e Malawi, supportiamo le aziende nei loro investimenti e progetti commerciali in Africa.

Possiamo anche supportare le aziende straniere nei Paesi africani in cui non siamo direttamente rappresentati da un ufficio, attraverso la nostra rete di partner locali.

Come funziona

  • Organizziamo un incontro (di persona o online) con uno dei nostri esperti per capire le esigenze del cliente.
  • Una volta iniziata la collaborazione, accompagniamo il cliente con un avvocato in tutte le sue questioni legali (casi singoli o assistenza legale continua).

Contattateci per saperne di più.

Summary

Political, environmental or health crises (like the Covid-19 outbreak and the attack of Ukraine by the Russian army) can cause an increase in the price of raw materials and components and generalized inflation. Both suppliers and distributors find themselves faced with problems related to the often sudden and very substantial increase in the price of their own supplies. French law lays down specific rules in that regard.

Two main situations can be distinguished: where the parties have just established a simple flow of orders and where the parties have concluded a framework agreement fixing firm prices for a fixed term.

Price increase in a business relationship

The situation is as follows: the parties have not concluded a framework agreement, each sales contract concluded (each order) is governed by the General T&Cs of the supplier; the latter has not undertaken to maintain the prices for a minimum period and applies the prices of the current tariff.

In principle, the supplier can modify its prices at any time by sending a new tariff. However, it must give written and reasonable notice in accordance with the provisions of Article L. 442-1.II of the Commercial Code, before the price increase comes into effect. Failure to respect sufficient notice, it could be accused of a sudden “partial” termination of commercial relations (and subject to damages).

A sudden termination following a price increase would be characterized when the following conditions are met:

  • the commercial relationship must be established: broader concept than the simple contract, taking into account the duration but also the importance and the regularity of the exchanges between the parties;
  • the price increase must be assimilated to a rupture: it is mainly the size of the price increase (+1%, 10% or 25%?) that will lead a judge to determine whether the increase constitutes a “partial” termination (in the event of a substantial modification of the relationship which is nevertheless maintained) or a total termination (if the increase is such that it involves a termination of the relationship) or if it does not constitute a termination (if the increase is minimal);
  • the notice granted is insufficient by comparing the duration of the notice actually granted with that of the notice in accordance with Article L. 442-1.II, taking into account in particular the duration of the commercial relationship and the possible dependence of the victim of the termination with respect to the other party.

Article L. 442-1.II must be respected as soon as French law applies to the relation. In international business relations, to know how to deal with Article L.442-1.II and conflicts of laws and jurisdiction of competent courts, please see our previous article published on Legalmondo blog.

Price increase in a framework contract

If the parties have concluded a framework contract (such as supply, manufacturing, …) for several years and the supplier has committed to fixed prices, how, in this case, can it change these prices?

In addition to any indexation clause or renegotiation (hardship) clause which would be stipulated in the contract (and besides specific legal provisions applicable to special agreements as to their nature or economic sector), the supplier may seek to avail himself of the legal mechanism of “unforeseeability” provided for by article 1195 of the civil code.

Three prerequisites must be cumulatively met:

  • an unforeseeable change in circumstances at the time of the conclusion of the contract (i.e.: the parties could not reasonably anticipate this upheaval);
  • a performance of the contract that has become excessively onerous (i.e.: beyond the simple difficulty, the upheaval must cause a disproportionate imbalance);
  • the absence of acceptance of these risks by the debtor of the obligation when concluding the contract.

The implementation of this mechanism must stick to the following steps:

  • first, the party in difficulty must request the renegotiation of the contract from its co-contracting party;
  • then, in the event of failure of the negotiation or refusal to negotiate by the other party, the parties can (i) agree together on the termination of the contract, on the date and under the conditions that they determine, or (ii) ask together the competent judge to adapt it;
  • finally, in the absence of agreement between the parties on one of the two aforementioned options, within a reasonable time, the judge, seized by one of the parties, may revise the contract or terminate it, on the date and under the conditions that he will set.

The party wishing to implement this legal mechanism must also anticipate the following points:

  • article 1195 of the Civil Code only applies to contracts concluded on or after October 1, 2016 (or renewed after this date). Judges do not have the power to adapt or rebalance contracts concluded before this date;
  • this provision is not of public order. Therefore, the parties can exclude it or modify its conditions of application and/or implementation (the most common being the framework of the powers of the judge);
  • during the renegotiation, the supplier must continue to sell at the initial price because, unlike force majeure, unforeseen circumstances do not lead to the suspension of compliance with the obligations.

Key takeaways:

  • analyse carefully the framework of the commercial relationship before deciding to notify a price increase, in order to identify whether the prices are firm for a minimum period and the contractual levers for renegotiation;
  • correctly anticipate the length of notice that must be given to the partner before the entry into force of the new pricing conditions, depending on the length of the relationship and the degree of dependence;
  • document the causes of the price increase;
  • check if and how the legal mechanism of unforeseeability has been amended or excluded by the framework contract or the General T&Cs;
  • consider alternatives strategies, possibly based on stopping production/delivery justified by a force majeure event or on the significant imbalance of the contractual provisions.

Riassunto

Con il D.Lgs. 8 novembre 2021 n. 198 l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese (B2B) nella filiera agricola e alimentare. Il legislatore italiano ha introdotto regole più stringenti di quelle previste dalla direttiva. Inoltre, ha previsto alcuni requisiti contrattuali obbligatori, nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, ma più restrittivi di quelli del Regolamento. Le nuove disposizioni si applicano qualunque sia la legge applicabile al contratto e qualunque sia il paese dell’acquirente, quindi riguardano anche i rapporti transfrontalieri. Hanno un impatto significativo sui rapporti contrattuali relativi alla filiera dei prodotti alimentari, freschi e trasformati, compreso il vino, e di alcuni prodotti agricoli non alimentari, e richiedono alle imprese dei settori coinvolti di rivedere i propri contratti e le proprie prassi operative nei rapporti con clienti e fornitori.

Le previsioni introdotte dal decreto trovano applicazione anche ai contratti in corso, che dovranno essere resi conformi entro il 15 giugno 2022.

Introduzione

Con la Direttiva (UE) 2019/633 il legislatore dell’Unione ha introdotto una serie dettagliata di pratiche commerciali sleali relative ai rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, con la finalità di contrastare le pratiche commerciali squilibrate imposte dai contraenti forti. La direttiva è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 8 novembre 2021 n. 198 (entrato in vigore il 15 dicembre 2021) che ha introdotto un lungo elenco di previsioni qualificate come pratiche commerciali sleali nell’ambito dei rapporti fra le imprese nella filiera agricola e alimentare. L’elenco delle pratiche sleali è più numeroso di quelle previste dalla direttiva UE.

Il recepimento della direttiva è stato l’occasione, poi, per introdurre alcuni requisiti obbligatori dei contratti di cessione dei beni rientranti nell’ambito di applicazione del decreto. Questi requisiti, adottati nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, sostituiscono, ampliandoli, quelli previsti dall’art. 62 del D.L. 1/2012 e dall’art. 10-quater del D.L. 27/2019.

Campo di applicazione

La normativa si applica alle relazioni commerciali tra acquirenti (compresa la pubblica amministrazione) e fornitori di prodotti agricoli e alimentari e in particolare ai contratti di cessione B2B di tali prodotti.

Sono esclusi i contratti in cui è parte un consumatore, le cessioni con contestuale pagamento e consegna del bene e i conferimenti di prodotti a cooperative o a organizzazioni di produttori ai sensi del D.Lgs. 102/2005.

La definizione di contratti di cessione è ampia e include, tra l’altro, i contratti di vendita, di somministrazione e di distribuzione.

Per prodotti agricoli e alimentari si intendono i beni elencati all’Allegato I del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nonché quelli non previsti in tale allegato ma che possono essere trasformati per uso alimentare a partire da essi. Sono compresi tutti i prodotti della filiera agroalimentare, freschi e trasformati, incluso il vino, oltre ad alcuni prodotti agricoli fuori dalla filiera alimentare, tra cui i mangimi per animali non destinati all’alimentazione umana e i prodotti della floricoltura.

La normativa si applica alle cessioni eseguite da fornitori stabiliti in Italia, mentre non ha rilevanza il paese in cui sia stabilito l’acquirente. Si applica qualsiasi sia la legge applicabile al rapporto fra le parti. Perciò la nuova disciplina si applica anche nel caso di rapporti contrattuali internazionali soggetti ad una normativa di altro paese.

Nel recepimento della direttiva, il legislatore italiano ha deciso di non tenere in considerazione le dimensioni delle parti: mentre la direttiva prevede soglie di fatturato e si applica ai rapporti contrattuali in cui l’acquirente ha un fatturato pari o superiore al fornitore, la normativa italiana si applica indipendentemente dal fatturato delle parti.

Così come ha fatto l’Italia, è possibile che i singoli Stati membri non si siano limitati a un mero recepimento delle previsioni UE, ma abbiano introdotto ulteriori disposizioni che potrebbero incidere in maniera significativa sulle relazioni commerciali.

Per le imprese che operano con l’estero sarà dunque importante comprendere come sia stata data attuazione alla direttiva UE nei vari paesi membri dell’Unione, soprattutto nel caso di gruppi con un’estesa operatività transfrontaliera, i quali si avvalgono solitamente di modelli contrattuali uniformi.

Requisiti contrattuali

L’art. 3 del decreto ha introdotto alcuni requisiti obbligatori dei contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari. Questi requisiti, adottati nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, sostituiscono, ampliandoli, quelli stabiliti dall’art. 62 del D.L. 1/2012 e dall’art. 10-quater del D.L. 27/2019 (che sono stati abrogati).

I contratti devono essere conformi ai principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.

I contratti devono avere forma scritta. Sono ammesse forme equipollenti (documenti di trasporto, fatture e ordini di acquisto) solo se tra fornitore e acquirente è stato concluso un accordo quadro contenente gli elementi essenziali dei futuri contratti di cessione.

Di grande impatto è l’obbligo che i contratti abbiano una durata di almeno 12 mesi (i contratti di durata inferiore sono automaticamente prolungati alla durata minima). Il legislatore impone alle imprese della filiera (salvo alcune possibilità di deroga) di operare non con acquisti singoli ma con contratti di fornitura continuativi, che devono contenere indicazioni circa la quantità e le caratteristiche dei prodotti, il prezzo, la modalità di consegna e di pagamento.

È richiesto un notevole cambiamento operativo, per la necessità di programmare e contrattualizzare quantità e prezzi delle forniture. Per quanto riguarda il prezzo, non sembra più possibile concordarlo di volta in volta nel corso del rapporto, sulla base degli ordini o dei nuovi listini del fornitore. Il prezzo può essere fisso o determinabile secondo i criteri stabiliti nel contratto. Perciò le imprese che non vogliano operare a prezzo fisso, dovranno elaborare clausole contrattuali contenenti i criteri di determinazione del prezzo (ad esempio legandolo a quotazioni della borsa merci, a variazioni dei prezzi delle materie prime o dell’energia).

La durata minima di almeno 12 mesi può essere contrattualmente derogata. Ma la deroga deve essere motivata, per la stagionalità dei prodotti o per altri motivi che non sono specificati nel decreto. Tra gli altri motivi, potrebbe esservi la necessità per l’acquirente di far fronte a un imprevisto aumento della domanda, oppure la necessità di sostituire una fornitura venuta meno.

Le disposizioni sopra descritte possono essere derogate anche da accordi quadro stipulati dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative.

Pratiche commerciali sleali vietate e deroghe specifiche

Il decreto prevede diverse fattispecie qualificate come pratiche commerciali sleali, alcune delle quali aggiuntive rispetto a quelle previste dalla direttiva.

L’art. 4 prevede due categorie di pratiche vietate, che recepiscono quelle della direttiva.

La prima riguarda le pratiche sempre vietate, tra le quali vi è anzitutto il pagamento del prezzo oltre i 30 giorni per i prodotti deperibili e oltre i 60 giorni per i prodotti non deperibili. Vi rientrano poi l’annullamento con scarso preavviso di ordini di prodotti deperibili; le modifiche unilaterali di determinate condizioni contrattuali; le richiesta di pagamenti non connessi alla vendita; le clausole contrattuali che obbligano il fornitore a farsi carico del deperimento o perdita dei prodotti dopo la consegna; il rifiuto di confermare per iscritto le condizioni contrattuali da parte dell’acquirente; l’acquisizione, utilizzazione e divulgazione di segreti commerciali del fornitore; la minaccia di ritorsioni commerciali da parte dell’acquirente verso il fornitore che intende esercitare diritti contrattualmente previsti e la richiesta di risarcimento dell’acquirente dei costi sostenuti per esaminare i reclami dei clienti relativi alla vendita di prodotti del fornitore.

La seconda categoria riguarda pratiche che sono vietate salvo siano previste in un accordo scritto fra le parti: in essa vi rientrano la restituzione dei prodotti invenduti senza corrispondere alcun pagamento per essi o per il loro smaltimento; le richieste al fornitore di pagamenti per immagazzinare, esporre, inserire nelle liste o per la messa in commercio dei prodotti; le richieste al fornitore di farsi carico dei costi relativi agli sconti, alla pubblicità, al marketing e al personale dell’acquirente incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti.

L’art. 5 prevede ulteriori fattispecie sempre vietate, aggiuntive rispetto a quelle della direttiva, quali il ricorso a gare ed aste a doppio ribasso; l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente onerose per il fornitore; l’omissione nel contratto degli elementi indicati nell’art. 168, par. 4 del Regolamento (UE) n. 1308/2013 (tra i quali prezzo, quantità, qualità, durata del contratto); l’imposizione diretta o indiretta di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per una delle parti; l’applicazione di condizioni diverse per prestazioni equivalenti; l’imposizione di prestazioni o servizi accessorie non connessi alla vendita dei prodotti; l’esclusione degli interessi moratori a danno del creditore o delle spese di recupero dei crediti; le clausole che impongono al fornitore un termine minimo dopo la consegna per poter emettere la fattura; l’imposizione del trasferimento ingiustificato del rischio economico su una delle parti; l’imposizione da parte del fornitore di prodotti con data di scadenza troppo brevi, del mantenimento di un determinato assortimento di prodotti, di inserimento di prodotti nuovi nell’assortimento e di posizioni privilegiate di determinati prodotti nei locali dell’acquirente.

Una disciplina specifica è prevista per la vendita sottocosto: l’art. 7 stabilisce che, per quanto riguarda i prodotti freschi e deperibili, questa pratica sia consentita solamente nei casi di prodotti invenduti a rischio deperibilità o nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta, mentre in caso di violazione di tale previsione il prezzo stabilito dalle parti è sostituito di diritto.

Sistema sanzionatorio e autorità di vigilanza

Le previsioni introdotte dal decreto, sia per quanto riguarda i requisiti contrattuali che le pratiche sleali, sono assistite da un articolato sistema sanzionatorio.

Sono nulle le clausole contrattuali o pattuizioni contrarie ai requisiti contrattuali obbligatori, quelle che integrano pratiche commerciali sleali e quelle contrarie alla disciplina delle vendite sottocosto.

È prevista una sanzione pecuniaria, specifica per ogni fattispecie, che viene determinata fra un minimo fisso (che, a seconda dei casi, può essere da 1.000 fino a 30.000 euro) ed un massimo variabile legato (tra il 3 ed il 5% al fatturato del trasgressore); si prevedono poi determinati casi nei quali la sanzione è ulteriormente aumentata.

In ogni caso sono fatte salve le azioni per il risarcimento del danno.

La vigilanza sul rispetto delle disposizioni previste dal decreto è rimessa all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), il quale può condurre indagini, eseguire ispezioni in loco senza preavviso, accertare le violazioni, imporre all’autore di porre fine alle pratiche vietate e avviare il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).

Attività suggerite

Le previsioni introdotte dal decreto trovano applicazione anche ai contratti in corso, che dovranno essere resi conformi entro il 15 giugno 2022, dunque:

  • le imprese interessate, italiane ed estere, dovrebbero svolgere una ricognizione delle proprie prassi commerciali, dei contratti in corso e delle condizioni generali di fornitura e acquisto, per poi individuare gli eventuali gap rispetto alle nuove previsioni ed adottare i relativi correttivi.
  • considerando poi che la nuova normativa è di applicazione necessaria ed è di derivazione UE, per le imprese che fanno affari con l’estero sarà importante comprendere come sia stata data attuazione alla direttiva UE nei paesi in cui operano e verificare la conformità dei contratti anche a tali norme.

Una problematica di sempre maggiore impatto sul commercio internazionale post-Covid 19 è la gestione dei prezzi delle materie prime, che spesso l’impresa italiana si trova ad affrontare senza avere espressamente previsto la regolamentazione di questo elemento in un contratto scritto con il proprio fornitore.

Si genera così una situazione di incertezza, che è molto pericolosa.

Spesso accade che, a fronte di una richiesta di aumento del prezzo molto forte, si invochi la forza maggiore per sostenere di non essere in grado di adempiere al contratto, ma ciò è sbagliato perché si tratta di due situazioni molto diverse tra loro e vi è il rischio che il rifiuto di adempiere possa essere fonte di responsabilità contrattuale.

La situazione è ancor più delicata se, a fronte di una richiesta di aumento del prezzo da parte del proprio forniture straniero, l’impresa è vincolata da un accordo di vendita con prezzo fisso verso i propri clienti, e quindi non può scaricare sull’anello successivo della catena di fornitura l’aumento del prezzo praticato dai fornitori.

Grafico - Legalmondo

Per gestire le fluttuazioni dei prezzi di materie prime ed energia in modo consapevole è necessario avere le idee chiare e porre in essere comportamenti corretti, iniziando dalla verifica se i contratti  (con fornitori e clienti) prevedono una clausola di Hardship, ossia un meccanismo che prevede quando una parte si trova in una situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta e quali sono le conseguenze sul contratto (diritto di rinegoziare il prezzo, di risolvere l’accordo o di nominare un terzo arbitratore che determini il nuovo prezzo della prestazione).

In questo video riassumo:

  • Che cosa è l’eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
  • Cos’è la forza maggiore
  • Quali sono gli effetti delle fluttuazioni delle materie prime sui contratti internazionali
  • Quali regole si applicano ad un contratto di vendita internazionale
  • Cosa prevede la legge italiana in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta
  • Cosa prevede la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili
  • Come regolare le fluttuazioni dei prezzi in un contratto

Le conclusioni sono:

  • La forte oscillazione del prezzo di materie prime ed energia non rende la prestazione impossibile, quindi non può essere invocata come causa di Forza Maggiore e non esonera da responsabilità contrattuale
  • I forti rialzi dei prezzi possono rappresentare una causa di eccessiva onerosità sopravvenuta solo se dovuti ad eventi straordinari ed imprevedibili, tra i quali è difficile far rientrare le fluttuazioni, anche molto ampie, delle materie prime
  • Il rimedio per neutralizzare il rischio di forti fluttuazioni dei prezzi è quello di prevedere nel contratto una clausola di hardship, ossia stabilire quando una parte può notificare all’altra di trovarsi in situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta e azionare i meccanismi per riequilibrare le prestazioni oppure terminare l’accordo

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Riassunto

Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina? 

Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.

Di cosa parlo in questo articolo:

  • La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
  • La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione 
  • Il contratto di vendita internazionale in Cina 
  • Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
  • L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese 
  • Il patto di non concorrenza 
  • La distribuzione Omnichannel 
  • Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
  • Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
  • Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
  • Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto 
  • La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
  • Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)

Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina? 

Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina. 

Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.

Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.

Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.

Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali. 

Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6). 

Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti. 

Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali,  solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.

La forma del contratto di distribuzione in Cina 

I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici. 

È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.

Il contratto di vendita internazionale in Cina 

Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).

Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.

Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”). 

Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.

Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.

Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina 

La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.

Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci. 

E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere. 

L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.

Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA) 

Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari. 

Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.

Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere  valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.

Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi,  che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.

Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.

Accordi di distribuzione esclusiva in Cina 

Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore? 

Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.

Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.

Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato. 

Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto. 

I patti sui minimi di fatturato, specie in  relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.

Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori. 

Pechino - Legalmondo

Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina 

Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore. 

È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto. 

Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.

Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto,  motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.

 

La Distribuzione Omnichannel in Cina 

Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B. 

Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.

Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue

distribuzione - legalmondo

Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva. 

Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.

eCommerce - legalmondo

La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi. 

Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.

Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina 

Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.

Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate. 

Hong Kong - Legalmondo

Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina

Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore. 

Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza. 

Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.

Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.

La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).

E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto. 

Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina 

I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale. 

La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni). 

Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore,  dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.

È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.  

Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso. 

Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione 

Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio. 

Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale. 

Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina

Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.

Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.

Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.

Hong Kong - Legalmondo

Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina 

Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero. 

Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale. 

La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato. 

Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi).  Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.

Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.

Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.

Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.

I  vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.

In an important and very reasoned judgment delivered by the Court of Cassation of France on September 30, 2020, relating to the enforceability of arbitration clauses in international consumer contracts, the Supreme Court judged that these clauses must be considered unfair and cannot be opposed to consumers.  

The Supreme Court traditionally insisted on the priority given to the arbitrator to decide on his own jurisdiction, laid down in Article 1448 of the Code of Civil Procedure (principle known as “competence-competence”, Jaguar, Civ. 1re, May 21, 1997, nos. 95-11.429 and 95-11.427). 

The ECJ expressed its hostility towards such clauses when they are opposed to consumers. In Mostaza Claro (C-168/05), it referred to the internal laws of member states, while considering that the procedural modalities offered by states should not “make it impossible in practice or excessively difficult to exercise the rights conferred by public order to consumers (“Directive 93/13, concerning unfair terms in consumer contracts, must be interpreted as meaning that a national court seized of an action for annulment of an arbitration award must determine whether the arbitration agreement is void and annul that award where that agreement contains an unfair term, even though the consumer has not pleaded that invalidity in the course of the arbitration proceedings, but only in that of the action for annulment).  

It therefore referred to the national judge the right to implement its legislation on unfair terms, and therefore to decide, on a case-by-case basis, whether the arbitration clause should be considered unfair. This is what the Court of Cassation decided, ruling out the case-by-case method, and considering that in any event such a clause must be excluded in relations with consumers.  

The Court of Cassation adopted the same solution in international employment contracts, where it traditionally considers that arbitration clauses contained in international employment contracts are enforceable against employee (Soc. 16 Feb. 1999, n ° 96-40.643). 

The Supreme Court, although traditionally very favourable to arbitration, gradually builds up a set of specific exceptions to ensure the protection of the “weak” party.

Summary

At the end of the agency and distribution contracts, the main source of conflict is the goodwill (clientele) compensation. The Spanish Law of the Agency Contract —like the Directive on Commercial Agents— provides that when the contract is terminated, the agent will be entitled, if certain conditions are met, to compensation. In Spain, by analogy (although with qualifications and nuances), this compensation can also be claimed in distribution contracts. 

For the Clientele compensation to be recognized, it is necessary that the agent (or the distributor: see this post to know more) have contributed new clients or significantly increased operations with pre-existing ones, that their activity can continue to produce substantial benefits to the principal and that it is equitable. All this will condition the recognition of the right to compensation and its amount. 

These expressions (new customers, significant increase, can produce, substantial advantages, equitable) are difficult to define beforehand, so, to be successful, it is recommended that claims in courts are supported, case by case, on expert reports, supervised by a lawyer. 

There is, at least in Spain, a tendency to directly claim the maximum that the norm provides (one year of remuneration calculated as the average of the previous five) without going into further analysis. But if this is done, there is a risk that a judge will reject the petition as unfounded.  

Therefore, and based on our experience, I find it convenient to provide guidance on how to better substantiate the claim for this compensation and its amount. 

The agent / distributor, the expert and the attorney should consider the following: 

Check what the agent’s contribution has been 

If there were customers before the contract began and what volume of sales was made with them. To recognize this compensation, it is necessary that the agent has increased the number of clients or operations with pre-existing ones. 

Analyse the importance of these clients when it comes to continuing to provide benefits to the principal

Their recurrence, their loyalty (to the principal and not to the agent), the migration rate (how many of them will remain with the principal at the conclusion of the contract, or with the agent). Indeed, it will be difficult to speak about “clientele” if there have only been sporadic, occasional, non-recurring customers (or few) or who will continue to remain loyal to the agent and not to the principal. 

How does the agent operate at the end of the contract

Can he compete with the principal or are there restrictions in the contract? If the agent can continue to serve the same clients, but for a different principal, the compensation could be very much discussed. 

Is the compensation fair?

Examine how the agent has acted in the past: if he has fulfilled his obligations, his work when introducing the products or opening the market, the possible evolution of such products or services in the future, etc. 

Will the agent lose commissions?

Here we must examine whether he had exclusivity; his greater or lesser facility to get a new contract (for instance, due to his age, the economic crisis, the type of products, etc.) or with a new source of income, the evolution of sales in recent years (those considered for compensation), etc. 

What is the legal maximum that cannot be exceeded?

The annual average of the amount received during the contract period (or 5 years if it lasted longer). This will include not just commissions, but any fixed amounts, bonuses, prizes, etc. or margins in the case of distributors. 

And, finally, it is convenient to include all the documents analysed in the expert’s report

If this is not done and they are only mentioned, it could result in them not being considered by a judge. 

Check out the Practical Guide on International Agency Agremeents 

 To read more about the main features of a contract of agency in Spain, go to our Guide.  

Summary

The recent post-Brexit trade deal makes no provision for jurisdiction or the enforcement of judgments.

Therefore, the UK dropped out of the jurisdiction of the Brussels (Recast) Regulation (No. 1215/2012) on 31 December 2020.

The EU has not yet approved the UK’s accession to the Lugano Convention, but may do in the future.

Unless the transitional provisions from the Withdrawal Agreement apply, jurisdiction and enforcement of judgments will be governed by the Hague Convention 2005 if there is an applicable exclusive jurisdiction clause

If the Hague Convention of 2005 does not apply, then the UK and EU courts will apply their own national rules.

Judgments will continue to be reciprocally enforceable between the UK and Norway from 1 January 2021.

On the first day of 2021 the UK left the EU regimes with which European lawyers are familiar. We appeared to enter “uncharted territory”. Not so. In fact, there are charts for this territory – or maps, to use a more modern word. You just need to know which maps.

Whether you are a lawyer or a businessperson, in whatever country, you need answers to two questions. Which laws govern jurisdiction and enforcement of judgments between EU member states and the UK; and how should businesses act as a result?

What happened?

The EU and UK reached a post-Brexit trade deal, the Trade and Cooperation Agreement (“TCA”), on Christmas Eve 2020. The provisions of the TCA became UK law as the European Union (Future Relationship) Act on 31 December 2020. The TCA made provision for judicial cooperation in criminal matters, but did not mention judicial cooperation in civil matters, or jurisdiction and enforcement of judgments in civil and commercial proceedings.

So where do we look for law on those matters?

We look at the position immediately before Brexit. As every lawyer should know the Brussels (Recast) Regulation (No. 1215/2012) governed the enforcement and recognition of judgments between EU member states.

Also, the Lugano Convention 2007 governs jurisdiction and enforcement of judgments in commercial and civil matters between EU member states and Iceland, Liechtenstein, Norway and Switzerland. It operates in substantially the same way as Brussels (Recast) does between EU member states.

The UK was party to the Convention by virtue of its EU membership. Now that the UK is not a member of the EU, the contracting parties could agree that the UK could join the Lugano Convention as an independent contracting party, and there would be little change to the position on jurisdiction and enforcement. English jurisdiction clauses would continue to be respected and English court judgments would continue to be readily enforceable throughout EU member states and EFTA countries, and vice versa.

The problem is that the EU has not agreed to the UK joining the Lugano Convention

The UK submitted its application to accede to the Lugano Convention in its own right on 8 April 2020. But accession requires the consent of all contracting parties including the EU. Iceland, Norway and Switzerland have indicated their support for the UK’s accession, but the EU’s position is still not yet clear and the TCA is silent on this matter.

While the EU still may belatedly support the UK’s accession to Lugano, it does not currently apply. In any case, a three-month time-lag applies between agreement and entry into force, unless all the contracting parties agree to waive it.

Where are we now?

If the transitional provisions provided for by the Withdrawal Agreement as explained in my previous post do not apply, the Brussels (Recast) Regulation will not apply to jurisdiction and enforcement between the EU and UK.

If they do not, then you first need to decide whether the Hague Convention on Choice of Court Agreements 2005 is applicable. The Hague Convention 2005 applies between EU Member States, Mexico, Singapore and Montenegro. The Hague Convention first came into force for the UK when the EU acceded on 1 October 2015 and the UK re-acceded after Brexit in its own right with effect from 1 January 2021.

The Hague Convention 2005 applies if:

  • The dispute falls within the scope of the Convention as provided for by Article 2 – e.g. the Convention does not apply to employment and consumer contracts or claims for personal injury;
  • There is an exclusive jurisdiction clause within the meaning of Article 3; and
  • The exclusive jurisdiction clause is entered into after the Convention came into force for the country whose courts are seized, and proceedings are commenced after the Convention came into force for the country whose courts are seized within the meaning of Article 16.

There is some uncertainty as to whether EU member states will treat the Hague Convention as having been in force from 1 October 2015, or only from when the UK re-accedes on 1 January 2021. The UK’s view is that the Convention will apply to the UK from 1 October 2015; the EU’s view is that it will apply to the UK from 1 January 2021. What is not in dispute is that for exclusive English jurisdiction clauses agreed on or after 1 January 2021, the contracting states will respect exclusive English jurisdiction clauses and enforce the resulting judgments.

If the 2005 Hague Convention does not apply, then the UK and EU courts will apply their own national rules to questions of jurisdiction and enforcement. In the UK, the rules will essentially be the same as the ‘common-law’ rules currently on enforcement applied to non-EU parties, for example the United States.

The Norwegian exception

The UK and Norway have reached an agreement which extends and updates an old mutual enforcement treaty, the 1961 Convention for the Reciprocal Recognition and Enforcement of Judgments in Civil Matters between the UK and Norway, which will apply if the UK does not re-accede to the Lugano Convention. The practical effect of this agreement is that judgments will continue to be reciprocally enforceable between the UK and Norway from 1 January 2021.

How should your business act now?

The applicable legal framework for each dispute will depend on the facts of each case. You should review the dispute resolution clauses in your cross-border contracts to assess how they may be affected by Brexit and to seek specialist advice where necessary. You should also seek advice on dispute resolution provisions when entering into new cross-border contracts in 2021.

Christophe Hery

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    Nuove norme su pratiche commerciali sleali e requisiti contrattuali nella filiera agricola e alimentare

    9 Febbraio 2022

    • Italia
    • Contratti
    • Diritto agrario

    Dopo oltre 30 anni di negoziati, gli occhi del mondo sono ora puntati sul primo accordo commerciale panafricano, entrato in vigore nel 2019: l’Area Continentale Africana di Libero Scambio (African Continental Free Trade Area – AfCFTA).

    Con 55 Paesi e circa 1,3 miliardi di persone, l’Africa è il secondo continente più grande del mondo dopo l’Asia. Il potenziale del continente è enorme: più del 50 % della popolazione africana ha meno di 20 anni e la crescita demografica è la più rapida al mondo. Entro il 2050, si stima che un neonato su quattro sarà africano. Inoltre, il continente è ricco di terreni fertili e di materie prime.

    Per gli investitori occidentali, negli ultimi anni l’Africa è diventata molto più importante. È emersa così una notevole quantità di scambi internazionali, anche grazie all’iniziativa “Compact with Africa”, nota anche come “Piano Marshall con l’Africa”, adottata nel 2017 dai Paesi del G20. L’obiettivo è sviluppare la cooperazione economica dell’Africa con i Paesi del G20 attraverso l’aumento degli investimenti privati.

    Il commercio intra-africano, invece, è stato finora stagnante: tariffe elevate, barriere non tariffarie (non-tariff barriers – NTBs), infrastrutture deboli, corruzione, burocrazia pesante e mancanza di trasparenza e coerenza nei regolamenti hanno impedito alle esportazioni interregionali di crescere e recentemente hanno rappresentato solo il 17 % del commercio intra-africano e solo lo 0,36 % del commercio mondiale. Per questo motivo, l’Unione Africana (UA) ha da tempo messo in agenda la creazione di un’area commerciale comune.

    Cosa c’è dietro l’AfCFTA?

    La creazione di un’area commerciale panafricana è stata preceduta da decenni di negoziati che hanno infine portato all’entrata in vigore dell’AfCFTA il 30 maggio 2019.

    L’AfCFTA è un’area di libero scambio istituita dai suoi membri che copre l’intero continente africano (con l’eccezione dell’Eritrea), rendendola la più grande area di libero scambio al mondo dopo l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) in termini di numero di Stati membri.

    L’organizzazione del mercato comune è stata oggetto di diversi negoziati individuali, condotti durante le fasi I e II.

    La fase I comprende i negoziati su tre protocolli ed è quasi conclusa.

    Il Protocollo sugli scambi di merci

    Il Protocollo prevede l’eliminazione del 90% di tutte le tariffe intra-africane in tutte le categorie di prodotti entro cinque anni dalla sua entrata in vigore. Di questi, fino al 7 % dei prodotti può essere considerato sensibile e ricevere un periodo di dieci anni per l’eliminazione delle tariffe. Per i Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs), il periodo di preparazione è esteso da cinque a dieci anni e per i prodotti sensibili da dieci a tredici anni, a condizione che ne dimostrino la necessità. Il restante 3 % dei dazi è completamente escluso dallo smantellamento tariffario.

    Il presupposto per lo smantellamento delle tariffe è una chiara delimitazione delle regole di origine. Altrimenti, le importazioni da Paesi terzi potrebbero beneficiare dei vantaggi tariffari negoziati. È già stato raggiunto un accordo sulla maggior parte delle norme di origine.

    Il Protocollo sul commercio dei servizi

    Finora l’Assemblea generale dell’UA ha concordato cinque aree prioritarie (trasporti, comunicazioni, turismo, servizi finanziari e servizi alle imprese) e le linee guida per gli impegni corrispondenti. 47 Stati membri dell’UA hanno già presentato le loro offerte di impegni specifici e l’esame di 28 di essi è stato completato. Inoltre, sono ancora in corso negoziati, ad esempio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.

    Il Protocollo sulla risoluzione delle controversie

    Con il Protocollo sulle regole e le procedure per la risoluzione delle controversie, l’AfCFTA crea un sistema di risoluzione delle controversie sulla falsariga dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie dell’OMC. L’organo di risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Body – DSB) amministra il Protocollo di risoluzione delle controversie dell’AfCFTA e istituisce un gruppo arbitrale (Adjudicating Panel – Panel) e un organo di appello (Appellate Body – AB). Il DSB è composto da un rappresentante per ogni Stato membro e interviene in caso di disaccordo tra gli Stati contraenti sull’interpretazione e/o l’applicazione dell’accordo in relazione ai loro diritti e obblighi.

    Per la restante fase II, sono previsti negoziati sulla politica degli investimenti e della concorrenza, sulle questioni relative alla proprietà intellettuale, sul commercio elettronico e sulle donne e i giovani nel commercio, i cui risultati saranno incorporati in ulteriori protocolli.

    L’attuazione dell’AfCFTA

    In linea di principio, il commercio nell’ambito di un accordo commerciale può iniziare solo dopo la definizione definitiva del quadro giuridico. Tuttavia, nel dicembre 2020 i capi di Stato e di governo dell’UA hanno deciso che il commercio potrà iniziare con i prodotti per i quali sono stati conclusi i negoziati. In questo regime transitorio, dopo un ritardo dovuto alla pandemia, la prima transazione commerciale AfCFTA ha avuto luogo il 4 gennaio 2021 dal Ghana al Sudafrica.

    Componenti dell’AfCFTA

    Tutti i 55 membri dell’UA hanno partecipato ai negoziati dell’AfCFTA. Di questi, 47 appartengono ad almeno una delle Comunità Economiche Regionali (Regional Economic Communities – RECs) riconosciute che, secondo il preambolo dell’AfCFTA, continueranno a servire come elementi costitutivi dell’accordo commerciale. Di conseguenza, sono state le RECs a rappresentare i rispettivi membri nei negoziati dell’AfCFTA. L’AfCFTA prevede che le RECs mantengano i loro strumenti giuridici, le loro istituzioni e i loro meccanismi di risoluzione delle controversie.

    All’interno dell’UA esistono otto comunità economiche regionali riconosciute, che si sovrappongono in alcuni Paesi e sono costituite da aree di libero scambio (Free Trade Areas – FTAs) o unioni doganali.

    Nell’ambito dell’AfCFTA, le RECs hanno diverse missioni. Questi includono:

    • coordinamento delle posizioni negoziali e sostegno agli Stati membri nell’attuazione dell’accordo;
    • mediazione orientata alla soluzione in caso di disaccordo tra gli Stati membri;
    • aiutare gli Stati membri ad armonizzare i dazi doganali e le altre norme di protezione delle frontiere;
    • promuovere l’uso della procedura di notifica dell’AfCFTA per ridurre le NTBs.

    Prospettive dell’AfCFTA

    L’AfCFTA ha il potenziale per facilitare l’integrazione dell’Africa nell’economia globale e crea una reale opportunità di riorientare i modelli di integrazione e cooperazione internazionale.

    Un accordo commerciale da solo non garantisce il successo economico. Affinché l’accordo raggiunga l’obiettivo prefissato, gli Stati membri devono avere la volontà politica di attuare le nuove norme in modo coerente e di costruire la capacità necessaria per farlo. In particolare, dovrebbero essere fondamentali l’eliminazione a breve termine delle barriere al commercio e lo sviluppo di un’infrastruttura fisica e digitale sostenibile.

    Se siete interessati all’AfCFTA, potete leggere qui una versione estesa di questo articolo.

    Lo sportello africano di Legalmondo

    Con i nostri esperti in Algeria, Camerun, Côte d’Ivoire, Egitto, Ghana, Libia, Marocco, Senegal, Sudan, Tunisia e Malawi, supportiamo le aziende nei loro investimenti e progetti commerciali in Africa.

    Possiamo anche supportare le aziende straniere nei Paesi africani in cui non siamo direttamente rappresentati da un ufficio, attraverso la nostra rete di partner locali.

    Come funziona

    • Organizziamo un incontro (di persona o online) con uno dei nostri esperti per capire le esigenze del cliente.
    • Una volta iniziata la collaborazione, accompagniamo il cliente con un avvocato in tutte le sue questioni legali (casi singoli o assistenza legale continua).

    Contattateci per saperne di più.

    Summary

    Political, environmental or health crises (like the Covid-19 outbreak and the attack of Ukraine by the Russian army) can cause an increase in the price of raw materials and components and generalized inflation. Both suppliers and distributors find themselves faced with problems related to the often sudden and very substantial increase in the price of their own supplies. French law lays down specific rules in that regard.

    Two main situations can be distinguished: where the parties have just established a simple flow of orders and where the parties have concluded a framework agreement fixing firm prices for a fixed term.

    Price increase in a business relationship

    The situation is as follows: the parties have not concluded a framework agreement, each sales contract concluded (each order) is governed by the General T&Cs of the supplier; the latter has not undertaken to maintain the prices for a minimum period and applies the prices of the current tariff.

    In principle, the supplier can modify its prices at any time by sending a new tariff. However, it must give written and reasonable notice in accordance with the provisions of Article L. 442-1.II of the Commercial Code, before the price increase comes into effect. Failure to respect sufficient notice, it could be accused of a sudden “partial” termination of commercial relations (and subject to damages).

    A sudden termination following a price increase would be characterized when the following conditions are met:

    • the commercial relationship must be established: broader concept than the simple contract, taking into account the duration but also the importance and the regularity of the exchanges between the parties;
    • the price increase must be assimilated to a rupture: it is mainly the size of the price increase (+1%, 10% or 25%?) that will lead a judge to determine whether the increase constitutes a “partial” termination (in the event of a substantial modification of the relationship which is nevertheless maintained) or a total termination (if the increase is such that it involves a termination of the relationship) or if it does not constitute a termination (if the increase is minimal);
    • the notice granted is insufficient by comparing the duration of the notice actually granted with that of the notice in accordance with Article L. 442-1.II, taking into account in particular the duration of the commercial relationship and the possible dependence of the victim of the termination with respect to the other party.

    Article L. 442-1.II must be respected as soon as French law applies to the relation. In international business relations, to know how to deal with Article L.442-1.II and conflicts of laws and jurisdiction of competent courts, please see our previous article published on Legalmondo blog.

    Price increase in a framework contract

    If the parties have concluded a framework contract (such as supply, manufacturing, …) for several years and the supplier has committed to fixed prices, how, in this case, can it change these prices?

    In addition to any indexation clause or renegotiation (hardship) clause which would be stipulated in the contract (and besides specific legal provisions applicable to special agreements as to their nature or economic sector), the supplier may seek to avail himself of the legal mechanism of “unforeseeability” provided for by article 1195 of the civil code.

    Three prerequisites must be cumulatively met:

    • an unforeseeable change in circumstances at the time of the conclusion of the contract (i.e.: the parties could not reasonably anticipate this upheaval);
    • a performance of the contract that has become excessively onerous (i.e.: beyond the simple difficulty, the upheaval must cause a disproportionate imbalance);
    • the absence of acceptance of these risks by the debtor of the obligation when concluding the contract.

    The implementation of this mechanism must stick to the following steps:

    • first, the party in difficulty must request the renegotiation of the contract from its co-contracting party;
    • then, in the event of failure of the negotiation or refusal to negotiate by the other party, the parties can (i) agree together on the termination of the contract, on the date and under the conditions that they determine, or (ii) ask together the competent judge to adapt it;
    • finally, in the absence of agreement between the parties on one of the two aforementioned options, within a reasonable time, the judge, seized by one of the parties, may revise the contract or terminate it, on the date and under the conditions that he will set.

    The party wishing to implement this legal mechanism must also anticipate the following points:

    • article 1195 of the Civil Code only applies to contracts concluded on or after October 1, 2016 (or renewed after this date). Judges do not have the power to adapt or rebalance contracts concluded before this date;
    • this provision is not of public order. Therefore, the parties can exclude it or modify its conditions of application and/or implementation (the most common being the framework of the powers of the judge);
    • during the renegotiation, the supplier must continue to sell at the initial price because, unlike force majeure, unforeseen circumstances do not lead to the suspension of compliance with the obligations.

    Key takeaways:

    • analyse carefully the framework of the commercial relationship before deciding to notify a price increase, in order to identify whether the prices are firm for a minimum period and the contractual levers for renegotiation;
    • correctly anticipate the length of notice that must be given to the partner before the entry into force of the new pricing conditions, depending on the length of the relationship and the degree of dependence;
    • document the causes of the price increase;
    • check if and how the legal mechanism of unforeseeability has been amended or excluded by the framework contract or the General T&Cs;
    • consider alternatives strategies, possibly based on stopping production/delivery justified by a force majeure event or on the significant imbalance of the contractual provisions.

    Riassunto

    Con il D.Lgs. 8 novembre 2021 n. 198 l’Italia ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese (B2B) nella filiera agricola e alimentare. Il legislatore italiano ha introdotto regole più stringenti di quelle previste dalla direttiva. Inoltre, ha previsto alcuni requisiti contrattuali obbligatori, nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, ma più restrittivi di quelli del Regolamento. Le nuove disposizioni si applicano qualunque sia la legge applicabile al contratto e qualunque sia il paese dell’acquirente, quindi riguardano anche i rapporti transfrontalieri. Hanno un impatto significativo sui rapporti contrattuali relativi alla filiera dei prodotti alimentari, freschi e trasformati, compreso il vino, e di alcuni prodotti agricoli non alimentari, e richiedono alle imprese dei settori coinvolti di rivedere i propri contratti e le proprie prassi operative nei rapporti con clienti e fornitori.

    Le previsioni introdotte dal decreto trovano applicazione anche ai contratti in corso, che dovranno essere resi conformi entro il 15 giugno 2022.

    Introduzione

    Con la Direttiva (UE) 2019/633 il legislatore dell’Unione ha introdotto una serie dettagliata di pratiche commerciali sleali relative ai rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, con la finalità di contrastare le pratiche commerciali squilibrate imposte dai contraenti forti. La direttiva è stata recepita in Italia con il D.Lgs. 8 novembre 2021 n. 198 (entrato in vigore il 15 dicembre 2021) che ha introdotto un lungo elenco di previsioni qualificate come pratiche commerciali sleali nell’ambito dei rapporti fra le imprese nella filiera agricola e alimentare. L’elenco delle pratiche sleali è più numeroso di quelle previste dalla direttiva UE.

    Il recepimento della direttiva è stato l’occasione, poi, per introdurre alcuni requisiti obbligatori dei contratti di cessione dei beni rientranti nell’ambito di applicazione del decreto. Questi requisiti, adottati nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, sostituiscono, ampliandoli, quelli previsti dall’art. 62 del D.L. 1/2012 e dall’art. 10-quater del D.L. 27/2019.

    Campo di applicazione

    La normativa si applica alle relazioni commerciali tra acquirenti (compresa la pubblica amministrazione) e fornitori di prodotti agricoli e alimentari e in particolare ai contratti di cessione B2B di tali prodotti.

    Sono esclusi i contratti in cui è parte un consumatore, le cessioni con contestuale pagamento e consegna del bene e i conferimenti di prodotti a cooperative o a organizzazioni di produttori ai sensi del D.Lgs. 102/2005.

    La definizione di contratti di cessione è ampia e include, tra l’altro, i contratti di vendita, di somministrazione e di distribuzione.

    Per prodotti agricoli e alimentari si intendono i beni elencati all’Allegato I del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nonché quelli non previsti in tale allegato ma che possono essere trasformati per uso alimentare a partire da essi. Sono compresi tutti i prodotti della filiera agroalimentare, freschi e trasformati, incluso il vino, oltre ad alcuni prodotti agricoli fuori dalla filiera alimentare, tra cui i mangimi per animali non destinati all’alimentazione umana e i prodotti della floricoltura.

    La normativa si applica alle cessioni eseguite da fornitori stabiliti in Italia, mentre non ha rilevanza il paese in cui sia stabilito l’acquirente. Si applica qualsiasi sia la legge applicabile al rapporto fra le parti. Perciò la nuova disciplina si applica anche nel caso di rapporti contrattuali internazionali soggetti ad una normativa di altro paese.

    Nel recepimento della direttiva, il legislatore italiano ha deciso di non tenere in considerazione le dimensioni delle parti: mentre la direttiva prevede soglie di fatturato e si applica ai rapporti contrattuali in cui l’acquirente ha un fatturato pari o superiore al fornitore, la normativa italiana si applica indipendentemente dal fatturato delle parti.

    Così come ha fatto l’Italia, è possibile che i singoli Stati membri non si siano limitati a un mero recepimento delle previsioni UE, ma abbiano introdotto ulteriori disposizioni che potrebbero incidere in maniera significativa sulle relazioni commerciali.

    Per le imprese che operano con l’estero sarà dunque importante comprendere come sia stata data attuazione alla direttiva UE nei vari paesi membri dell’Unione, soprattutto nel caso di gruppi con un’estesa operatività transfrontaliera, i quali si avvalgono solitamente di modelli contrattuali uniformi.

    Requisiti contrattuali

    L’art. 3 del decreto ha introdotto alcuni requisiti obbligatori dei contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari. Questi requisiti, adottati nella cornice dell’art. 168 del Regolamento (CE) 1308/2013, sostituiscono, ampliandoli, quelli stabiliti dall’art. 62 del D.L. 1/2012 e dall’art. 10-quater del D.L. 27/2019 (che sono stati abrogati).

    I contratti devono essere conformi ai principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.

    I contratti devono avere forma scritta. Sono ammesse forme equipollenti (documenti di trasporto, fatture e ordini di acquisto) solo se tra fornitore e acquirente è stato concluso un accordo quadro contenente gli elementi essenziali dei futuri contratti di cessione.

    Di grande impatto è l’obbligo che i contratti abbiano una durata di almeno 12 mesi (i contratti di durata inferiore sono automaticamente prolungati alla durata minima). Il legislatore impone alle imprese della filiera (salvo alcune possibilità di deroga) di operare non con acquisti singoli ma con contratti di fornitura continuativi, che devono contenere indicazioni circa la quantità e le caratteristiche dei prodotti, il prezzo, la modalità di consegna e di pagamento.

    È richiesto un notevole cambiamento operativo, per la necessità di programmare e contrattualizzare quantità e prezzi delle forniture. Per quanto riguarda il prezzo, non sembra più possibile concordarlo di volta in volta nel corso del rapporto, sulla base degli ordini o dei nuovi listini del fornitore. Il prezzo può essere fisso o determinabile secondo i criteri stabiliti nel contratto. Perciò le imprese che non vogliano operare a prezzo fisso, dovranno elaborare clausole contrattuali contenenti i criteri di determinazione del prezzo (ad esempio legandolo a quotazioni della borsa merci, a variazioni dei prezzi delle materie prime o dell’energia).

    La durata minima di almeno 12 mesi può essere contrattualmente derogata. Ma la deroga deve essere motivata, per la stagionalità dei prodotti o per altri motivi che non sono specificati nel decreto. Tra gli altri motivi, potrebbe esservi la necessità per l’acquirente di far fronte a un imprevisto aumento della domanda, oppure la necessità di sostituire una fornitura venuta meno.

    Le disposizioni sopra descritte possono essere derogate anche da accordi quadro stipulati dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative.

    Pratiche commerciali sleali vietate e deroghe specifiche

    Il decreto prevede diverse fattispecie qualificate come pratiche commerciali sleali, alcune delle quali aggiuntive rispetto a quelle previste dalla direttiva.

    L’art. 4 prevede due categorie di pratiche vietate, che recepiscono quelle della direttiva.

    La prima riguarda le pratiche sempre vietate, tra le quali vi è anzitutto il pagamento del prezzo oltre i 30 giorni per i prodotti deperibili e oltre i 60 giorni per i prodotti non deperibili. Vi rientrano poi l’annullamento con scarso preavviso di ordini di prodotti deperibili; le modifiche unilaterali di determinate condizioni contrattuali; le richiesta di pagamenti non connessi alla vendita; le clausole contrattuali che obbligano il fornitore a farsi carico del deperimento o perdita dei prodotti dopo la consegna; il rifiuto di confermare per iscritto le condizioni contrattuali da parte dell’acquirente; l’acquisizione, utilizzazione e divulgazione di segreti commerciali del fornitore; la minaccia di ritorsioni commerciali da parte dell’acquirente verso il fornitore che intende esercitare diritti contrattualmente previsti e la richiesta di risarcimento dell’acquirente dei costi sostenuti per esaminare i reclami dei clienti relativi alla vendita di prodotti del fornitore.

    La seconda categoria riguarda pratiche che sono vietate salvo siano previste in un accordo scritto fra le parti: in essa vi rientrano la restituzione dei prodotti invenduti senza corrispondere alcun pagamento per essi o per il loro smaltimento; le richieste al fornitore di pagamenti per immagazzinare, esporre, inserire nelle liste o per la messa in commercio dei prodotti; le richieste al fornitore di farsi carico dei costi relativi agli sconti, alla pubblicità, al marketing e al personale dell’acquirente incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti.

    L’art. 5 prevede ulteriori fattispecie sempre vietate, aggiuntive rispetto a quelle della direttiva, quali il ricorso a gare ed aste a doppio ribasso; l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente onerose per il fornitore; l’omissione nel contratto degli elementi indicati nell’art. 168, par. 4 del Regolamento (UE) n. 1308/2013 (tra i quali prezzo, quantità, qualità, durata del contratto); l’imposizione diretta o indiretta di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per una delle parti; l’applicazione di condizioni diverse per prestazioni equivalenti; l’imposizione di prestazioni o servizi accessorie non connessi alla vendita dei prodotti; l’esclusione degli interessi moratori a danno del creditore o delle spese di recupero dei crediti; le clausole che impongono al fornitore un termine minimo dopo la consegna per poter emettere la fattura; l’imposizione del trasferimento ingiustificato del rischio economico su una delle parti; l’imposizione da parte del fornitore di prodotti con data di scadenza troppo brevi, del mantenimento di un determinato assortimento di prodotti, di inserimento di prodotti nuovi nell’assortimento e di posizioni privilegiate di determinati prodotti nei locali dell’acquirente.

    Una disciplina specifica è prevista per la vendita sottocosto: l’art. 7 stabilisce che, per quanto riguarda i prodotti freschi e deperibili, questa pratica sia consentita solamente nei casi di prodotti invenduti a rischio deperibilità o nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta, mentre in caso di violazione di tale previsione il prezzo stabilito dalle parti è sostituito di diritto.

    Sistema sanzionatorio e autorità di vigilanza

    Le previsioni introdotte dal decreto, sia per quanto riguarda i requisiti contrattuali che le pratiche sleali, sono assistite da un articolato sistema sanzionatorio.

    Sono nulle le clausole contrattuali o pattuizioni contrarie ai requisiti contrattuali obbligatori, quelle che integrano pratiche commerciali sleali e quelle contrarie alla disciplina delle vendite sottocosto.

    È prevista una sanzione pecuniaria, specifica per ogni fattispecie, che viene determinata fra un minimo fisso (che, a seconda dei casi, può essere da 1.000 fino a 30.000 euro) ed un massimo variabile legato (tra il 3 ed il 5% al fatturato del trasgressore); si prevedono poi determinati casi nei quali la sanzione è ulteriormente aumentata.

    In ogni caso sono fatte salve le azioni per il risarcimento del danno.

    La vigilanza sul rispetto delle disposizioni previste dal decreto è rimessa all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), il quale può condurre indagini, eseguire ispezioni in loco senza preavviso, accertare le violazioni, imporre all’autore di porre fine alle pratiche vietate e avviare il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM).

    Attività suggerite

    Le previsioni introdotte dal decreto trovano applicazione anche ai contratti in corso, che dovranno essere resi conformi entro il 15 giugno 2022, dunque:

    • le imprese interessate, italiane ed estere, dovrebbero svolgere una ricognizione delle proprie prassi commerciali, dei contratti in corso e delle condizioni generali di fornitura e acquisto, per poi individuare gli eventuali gap rispetto alle nuove previsioni ed adottare i relativi correttivi.
    • considerando poi che la nuova normativa è di applicazione necessaria ed è di derivazione UE, per le imprese che fanno affari con l’estero sarà importante comprendere come sia stata data attuazione alla direttiva UE nei paesi in cui operano e verificare la conformità dei contratti anche a tali norme.

    Una problematica di sempre maggiore impatto sul commercio internazionale post-Covid 19 è la gestione dei prezzi delle materie prime, che spesso l’impresa italiana si trova ad affrontare senza avere espressamente previsto la regolamentazione di questo elemento in un contratto scritto con il proprio fornitore.

    Si genera così una situazione di incertezza, che è molto pericolosa.

    Spesso accade che, a fronte di una richiesta di aumento del prezzo molto forte, si invochi la forza maggiore per sostenere di non essere in grado di adempiere al contratto, ma ciò è sbagliato perché si tratta di due situazioni molto diverse tra loro e vi è il rischio che il rifiuto di adempiere possa essere fonte di responsabilità contrattuale.

    La situazione è ancor più delicata se, a fronte di una richiesta di aumento del prezzo da parte del proprio forniture straniero, l’impresa è vincolata da un accordo di vendita con prezzo fisso verso i propri clienti, e quindi non può scaricare sull’anello successivo della catena di fornitura l’aumento del prezzo praticato dai fornitori.

    Grafico - Legalmondo

    Per gestire le fluttuazioni dei prezzi di materie prime ed energia in modo consapevole è necessario avere le idee chiare e porre in essere comportamenti corretti, iniziando dalla verifica se i contratti  (con fornitori e clienti) prevedono una clausola di Hardship, ossia un meccanismo che prevede quando una parte si trova in una situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta e quali sono le conseguenze sul contratto (diritto di rinegoziare il prezzo, di risolvere l’accordo o di nominare un terzo arbitratore che determini il nuovo prezzo della prestazione).

    In questo video riassumo:

    • Che cosa è l’eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
    • Cos’è la forza maggiore
    • Quali sono gli effetti delle fluttuazioni delle materie prime sui contratti internazionali
    • Quali regole si applicano ad un contratto di vendita internazionale
    • Cosa prevede la legge italiana in materia di eccessiva onerosità sopravvenuta
    • Cosa prevede la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili
    • Come regolare le fluttuazioni dei prezzi in un contratto

    Le conclusioni sono:

    • La forte oscillazione del prezzo di materie prime ed energia non rende la prestazione impossibile, quindi non può essere invocata come causa di Forza Maggiore e non esonera da responsabilità contrattuale
    • I forti rialzi dei prezzi possono rappresentare una causa di eccessiva onerosità sopravvenuta solo se dovuti ad eventi straordinari ed imprevedibili, tra i quali è difficile far rientrare le fluttuazioni, anche molto ampie, delle materie prime
    • Il rimedio per neutralizzare il rischio di forti fluttuazioni dei prezzi è quello di prevedere nel contratto una clausola di hardship, ossia stabilire quando una parte può notificare all’altra di trovarsi in situazione di eccessiva onerosità sopravvenuta e azionare i meccanismi per riequilibrare le prestazioni oppure terminare l’accordo

    Legalmondo ha realizzato un Helpdesk online per dare risposta ai quesiti delle imprese e consentire di avere un riscontro rapido e professionale alle esigenze legate alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali.

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    Riassunto

    Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina? 

    Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.

    Di cosa parlo in questo articolo:

    • La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
    • La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione 
    • Il contratto di vendita internazionale in Cina 
    • Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
    • L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese 
    • Il patto di non concorrenza 
    • La distribuzione Omnichannel 
    • Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
    • Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
    • Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
    • Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto 
    • La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
    • Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)

    Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina? 

    Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina. 

    Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.

    Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.

    Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.

    Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali. 

    Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6). 

    Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti. 

    Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali,  solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.

    La forma del contratto di distribuzione in Cina 

    I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici. 

    È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.

    Il contratto di vendita internazionale in Cina 

    Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).

    Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.

    Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”). 

    Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.

    Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.

    Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina 

    La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.

    Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci. 

    E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere. 

    L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.

    Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA) 

    Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari. 

    Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.

    Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere  valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.

    Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi,  che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.

    Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.

    Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.

    Accordi di distribuzione esclusiva in Cina 

    Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore? 

    Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.

    Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.

    Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato. 

    Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto. 

    I patti sui minimi di fatturato, specie in  relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.

    Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori. 

    Pechino - Legalmondo

    Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina 

    Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore. 

    È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto. 

    Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.

    Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto,  motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.

     

    La Distribuzione Omnichannel in Cina 

    Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B. 

    Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.

    Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue

    distribuzione - legalmondo

    Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva. 

    Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.

    eCommerce - legalmondo

    La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi. 

    Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.

    Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina 

    Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.

    Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate. 

    Hong Kong - Legalmondo

    Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina

    Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore. 

    Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza. 

    Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.

    Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.

    La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).

    E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto. 

    Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina 

    I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale. 

    La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni). 

    Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore,  dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.

    È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.  

    Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso. 

    Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione 

    Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio. 

    Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale. 

    Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina

    Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.

    Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.

    Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.

    Hong Kong - Legalmondo

    Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina 

    Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero. 

    Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale. 

    La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato. 

    Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi).  Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.

    Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.

    Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.

    Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.

    I  vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.

    In an important and very reasoned judgment delivered by the Court of Cassation of France on September 30, 2020, relating to the enforceability of arbitration clauses in international consumer contracts, the Supreme Court judged that these clauses must be considered unfair and cannot be opposed to consumers.  

    The Supreme Court traditionally insisted on the priority given to the arbitrator to decide on his own jurisdiction, laid down in Article 1448 of the Code of Civil Procedure (principle known as “competence-competence”, Jaguar, Civ. 1re, May 21, 1997, nos. 95-11.429 and 95-11.427). 

    The ECJ expressed its hostility towards such clauses when they are opposed to consumers. In Mostaza Claro (C-168/05), it referred to the internal laws of member states, while considering that the procedural modalities offered by states should not “make it impossible in practice or excessively difficult to exercise the rights conferred by public order to consumers (“Directive 93/13, concerning unfair terms in consumer contracts, must be interpreted as meaning that a national court seized of an action for annulment of an arbitration award must determine whether the arbitration agreement is void and annul that award where that agreement contains an unfair term, even though the consumer has not pleaded that invalidity in the course of the arbitration proceedings, but only in that of the action for annulment).  

    It therefore referred to the national judge the right to implement its legislation on unfair terms, and therefore to decide, on a case-by-case basis, whether the arbitration clause should be considered unfair. This is what the Court of Cassation decided, ruling out the case-by-case method, and considering that in any event such a clause must be excluded in relations with consumers.  

    The Court of Cassation adopted the same solution in international employment contracts, where it traditionally considers that arbitration clauses contained in international employment contracts are enforceable against employee (Soc. 16 Feb. 1999, n ° 96-40.643). 

    The Supreme Court, although traditionally very favourable to arbitration, gradually builds up a set of specific exceptions to ensure the protection of the “weak” party.

    Summary

    At the end of the agency and distribution contracts, the main source of conflict is the goodwill (clientele) compensation. The Spanish Law of the Agency Contract —like the Directive on Commercial Agents— provides that when the contract is terminated, the agent will be entitled, if certain conditions are met, to compensation. In Spain, by analogy (although with qualifications and nuances), this compensation can also be claimed in distribution contracts. 

    For the Clientele compensation to be recognized, it is necessary that the agent (or the distributor: see this post to know more) have contributed new clients or significantly increased operations with pre-existing ones, that their activity can continue to produce substantial benefits to the principal and that it is equitable. All this will condition the recognition of the right to compensation and its amount. 

    These expressions (new customers, significant increase, can produce, substantial advantages, equitable) are difficult to define beforehand, so, to be successful, it is recommended that claims in courts are supported, case by case, on expert reports, supervised by a lawyer. 

    There is, at least in Spain, a tendency to directly claim the maximum that the norm provides (one year of remuneration calculated as the average of the previous five) without going into further analysis. But if this is done, there is a risk that a judge will reject the petition as unfounded.  

    Therefore, and based on our experience, I find it convenient to provide guidance on how to better substantiate the claim for this compensation and its amount. 

    The agent / distributor, the expert and the attorney should consider the following: 

    Check what the agent’s contribution has been 

    If there were customers before the contract began and what volume of sales was made with them. To recognize this compensation, it is necessary that the agent has increased the number of clients or operations with pre-existing ones. 

    Analyse the importance of these clients when it comes to continuing to provide benefits to the principal

    Their recurrence, their loyalty (to the principal and not to the agent), the migration rate (how many of them will remain with the principal at the conclusion of the contract, or with the agent). Indeed, it will be difficult to speak about “clientele” if there have only been sporadic, occasional, non-recurring customers (or few) or who will continue to remain loyal to the agent and not to the principal. 

    How does the agent operate at the end of the contract

    Can he compete with the principal or are there restrictions in the contract? If the agent can continue to serve the same clients, but for a different principal, the compensation could be very much discussed. 

    Is the compensation fair?

    Examine how the agent has acted in the past: if he has fulfilled his obligations, his work when introducing the products or opening the market, the possible evolution of such products or services in the future, etc. 

    Will the agent lose commissions?

    Here we must examine whether he had exclusivity; his greater or lesser facility to get a new contract (for instance, due to his age, the economic crisis, the type of products, etc.) or with a new source of income, the evolution of sales in recent years (those considered for compensation), etc. 

    What is the legal maximum that cannot be exceeded?

    The annual average of the amount received during the contract period (or 5 years if it lasted longer). This will include not just commissions, but any fixed amounts, bonuses, prizes, etc. or margins in the case of distributors. 

    And, finally, it is convenient to include all the documents analysed in the expert’s report

    If this is not done and they are only mentioned, it could result in them not being considered by a judge. 

    Check out the Practical Guide on International Agency Agremeents 

     To read more about the main features of a contract of agency in Spain, go to our Guide.  

    Summary

    The recent post-Brexit trade deal makes no provision for jurisdiction or the enforcement of judgments.

    Therefore, the UK dropped out of the jurisdiction of the Brussels (Recast) Regulation (No. 1215/2012) on 31 December 2020.

    The EU has not yet approved the UK’s accession to the Lugano Convention, but may do in the future.

    Unless the transitional provisions from the Withdrawal Agreement apply, jurisdiction and enforcement of judgments will be governed by the Hague Convention 2005 if there is an applicable exclusive jurisdiction clause

    If the Hague Convention of 2005 does not apply, then the UK and EU courts will apply their own national rules.

    Judgments will continue to be reciprocally enforceable between the UK and Norway from 1 January 2021.

    On the first day of 2021 the UK left the EU regimes with which European lawyers are familiar. We appeared to enter “uncharted territory”. Not so. In fact, there are charts for this territory – or maps, to use a more modern word. You just need to know which maps.

    Whether you are a lawyer or a businessperson, in whatever country, you need answers to two questions. Which laws govern jurisdiction and enforcement of judgments between EU member states and the UK; and how should businesses act as a result?

    What happened?

    The EU and UK reached a post-Brexit trade deal, the Trade and Cooperation Agreement (“TCA”), on Christmas Eve 2020. The provisions of the TCA became UK law as the European Union (Future Relationship) Act on 31 December 2020. The TCA made provision for judicial cooperation in criminal matters, but did not mention judicial cooperation in civil matters, or jurisdiction and enforcement of judgments in civil and commercial proceedings.

    So where do we look for law on those matters?

    We look at the position immediately before Brexit. As every lawyer should know the Brussels (Recast) Regulation (No. 1215/2012) governed the enforcement and recognition of judgments between EU member states.

    Also, the Lugano Convention 2007 governs jurisdiction and enforcement of judgments in commercial and civil matters between EU member states and Iceland, Liechtenstein, Norway and Switzerland. It operates in substantially the same way as Brussels (Recast) does between EU member states.

    The UK was party to the Convention by virtue of its EU membership. Now that the UK is not a member of the EU, the contracting parties could agree that the UK could join the Lugano Convention as an independent contracting party, and there would be little change to the position on jurisdiction and enforcement. English jurisdiction clauses would continue to be respected and English court judgments would continue to be readily enforceable throughout EU member states and EFTA countries, and vice versa.

    The problem is that the EU has not agreed to the UK joining the Lugano Convention

    The UK submitted its application to accede to the Lugano Convention in its own right on 8 April 2020. But accession requires the consent of all contracting parties including the EU. Iceland, Norway and Switzerland have indicated their support for the UK’s accession, but the EU’s position is still not yet clear and the TCA is silent on this matter.

    While the EU still may belatedly support the UK’s accession to Lugano, it does not currently apply. In any case, a three-month time-lag applies between agreement and entry into force, unless all the contracting parties agree to waive it.

    Where are we now?

    If the transitional provisions provided for by the Withdrawal Agreement as explained in my previous post do not apply, the Brussels (Recast) Regulation will not apply to jurisdiction and enforcement between the EU and UK.

    If they do not, then you first need to decide whether the Hague Convention on Choice of Court Agreements 2005 is applicable. The Hague Convention 2005 applies between EU Member States, Mexico, Singapore and Montenegro. The Hague Convention first came into force for the UK when the EU acceded on 1 October 2015 and the UK re-acceded after Brexit in its own right with effect from 1 January 2021.

    The Hague Convention 2005 applies if:

    • The dispute falls within the scope of the Convention as provided for by Article 2 – e.g. the Convention does not apply to employment and consumer contracts or claims for personal injury;
    • There is an exclusive jurisdiction clause within the meaning of Article 3; and
    • The exclusive jurisdiction clause is entered into after the Convention came into force for the country whose courts are seized, and proceedings are commenced after the Convention came into force for the country whose courts are seized within the meaning of Article 16.

    There is some uncertainty as to whether EU member states will treat the Hague Convention as having been in force from 1 October 2015, or only from when the UK re-accedes on 1 January 2021. The UK’s view is that the Convention will apply to the UK from 1 October 2015; the EU’s view is that it will apply to the UK from 1 January 2021. What is not in dispute is that for exclusive English jurisdiction clauses agreed on or after 1 January 2021, the contracting states will respect exclusive English jurisdiction clauses and enforce the resulting judgments.

    If the 2005 Hague Convention does not apply, then the UK and EU courts will apply their own national rules to questions of jurisdiction and enforcement. In the UK, the rules will essentially be the same as the ‘common-law’ rules currently on enforcement applied to non-EU parties, for example the United States.

    The Norwegian exception

    The UK and Norway have reached an agreement which extends and updates an old mutual enforcement treaty, the 1961 Convention for the Reciprocal Recognition and Enforcement of Judgments in Civil Matters between the UK and Norway, which will apply if the UK does not re-accede to the Lugano Convention. The practical effect of this agreement is that judgments will continue to be reciprocally enforceable between the UK and Norway from 1 January 2021.

    How should your business act now?

    The applicable legal framework for each dispute will depend on the facts of each case. You should review the dispute resolution clauses in your cross-border contracts to assess how they may be affected by Brexit and to seek specialist advice where necessary. You should also seek advice on dispute resolution provisions when entering into new cross-border contracts in 2021.

    Simone Rossi

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