L’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Mercosur

9 Dicembre 2024

  • Argentina
  • Brasile
  • Italia
  • Uruguay
  • Distribuzione
  • Fisco e tasse
  • Investimenti esteri

“Questo accordo non è solo un’opportunità economica. È una necessità politica. Nell’attuale contesto geopolitico, caratterizzato da un crescente protezionismo e da importanti conflitti regionali, la dichiarazione di Ursula von der Leyen la dice lunga.

Anche se c’è ancora molta strada da fare prima che l’accordo venga approvato internamente a ciascun blocco ed entri in vigore, la pietra miliare è molto significativa. Ci sono voluti 25 anni dall’inizio dei negoziati tra il Mercosur e l’Unione Europea per raggiungere un testo di consenso. L’impatto sarà notevole. Insieme, i blocchi rappresentano un PIL di oltre 22 mila miliardi di dollari e ospitano oltre 700 milioni di persone.

Vediamo le informazioni più importanti sul contenuto dell’accordo e sul suo stato di avanzamento.

Che cos’è l’accordo EU-Mercosur?

L’accordo è stato firmato come trattato commerciale, con l’obiettivo principale di ridurre le tariffe di importazione e di esportazione, eliminare le barriere burocratiche e facilitare il commercio tra i Paesi del Mercosur e i membri dell’Unione Europea. Inoltre, il patto prevede impegni in aree quali la sostenibilità, i diritti del lavoro, la cooperazione tecnologica e la protezione dell’ambiente.

Il Mercosur (Mercato Comune del Sud) è un blocco economico creato nel 1991 da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. Attualmente, Bolivia e Cile partecipano come membri associati, accedendo ad alcuni accordi commerciali, ma non sono pienamente integrati nel mercato comune. D’altra parte, l’Unione Europea, con i suoi 27 membri (20 dei quali hanno adottato la moneta comune), è un’unione più ampia con una maggiore integrazione economica e sociale rispetto al Mercosur.

Cosa prevede l’accordo UE-Mercosur?

Scambio di beni:

  • Riduzione o eliminazione delle tariffe sui prodotti scambiati tra i blocchi, come carne, cereali, frutta, automobili, vini e prodotti lattiero-caseari (la riduzione prevista riguarderà oltre il 90% delle merci scambiate tra i blocchi).
  • Accesso facilitato ai prodotti europei ad alta tecnologia e industrializzati.

Commercio di servizi:

  • Espande l’accesso ai servizi finanziari, alle telecomunicazioni, ai trasporti e alla consulenza per le imprese di entrambi i blocchi.

Movimento di persone:

  • Fornisce agevolazioni per visti temporanei per lavoratori qualificati, come professionisti della tecnologia e ingegneri, promuovendo lo scambio di talenti.
  • Incoraggia i programmi di cooperazione educativa e culturale.

Sostenibilità e ambiente:

  • Include impegni per combattere la deforestazione e raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
  • Prevede sanzioni per le violazioni degli standard ambientali.

Proprietà intellettuale e normative:

  • Protegge le indicazioni geografiche dei formaggi e dei vini europei e del caffè e della cachaça sudamericani.
  • Armonizza gli standard normativi per ridurre la burocrazia ed evitare le barriere tecniche.

Diritti del lavoro:

  • Impegno per condizioni di lavoro dignitose e rispetto degli standard dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Quali benefici aspettarsi?

  • Accesso a nuovi mercati: Le aziende del Mercosur avranno un accesso più facile al mercato europeo, che conta più di 450 milioni di consumatori, mentre i prodotti europei diventeranno più competitivi in Sud America.
  • Riduzione dei costi: L’eliminazione o la riduzione delle tariffe doganali potrebbe abbassare i prezzi di prodotti come vini, formaggi e automobili e favorire le esportazioni sudamericane di carne, cereali e frutta.
  • Rafforzamento delle relazioni diplomatiche: L’accordo simboleggia un ponte di cooperazione tra due regioni storicamente legate da vincoli culturali ed economici.

Quali sono i prossimi passo?

La firma è solo il primo passo. Affinché l’accordo entri in vigore, deve essere ratificato da entrambi i blocchi e il processo di approvazione è ben distinto tra loro, poiché il Mercosur non ha un Consiglio o un Parlamento comuni.

Nell’Unione Europea, il processo di ratifica prevede molteplici passaggi istituzionali:

  • Consiglio dell’Unione Europea: I ministri degli Stati membri discuteranno e approveranno il testo dell’accordo. Questa fase è cruciale, poiché ogni Paese è rappresentato e può sollevare specifiche preoccupazioni nazionali.
  • Parlamento europeo: Dopo l’approvazione del Consiglio, il Parlamento europeo, composto da deputati eletti, vota per la ratifica dell’accordo. Il dibattito in questa fase può includere gli impatti ambientali, sociali ed economici.
  • Parlamenti nazionali: Nei casi in cui l’accordo riguardi competenze condivise tra il blocco e gli Stati membri (come le normative ambientali), deve essere approvato anche dai parlamenti di ciascun Paese membro. Questo può essere impegnativo, dato che Paesi come la Francia e l’Irlanda hanno già espresso preoccupazioni specifiche sulle questioni agricole e ambientali.

Nel Mercosur, lapprovazione dipende da ciascun Paese membro:

  • Congressi nazionali: Il testo dell’accordo viene sottoposto ai parlamenti di Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. Ogni congresso valuta in modo indipendente e l’approvazione dipende dalla maggioranza politica di ciascun Paese.
  • Contesto politico: I Paesi del Mercosur hanno realtà politiche diverse. In Brasile, ad esempio, le questioni ambientali possono suscitare accesi dibattiti, mentre in Argentina l’impatto sulla competitività agricola può essere al centro della discussione.
  • Coordinamento regionale: Anche dopo l’approvazione nazionale, è necessario garantire che tutti i membri del Mercosur ratifichino l’accordo, poiché il blocco agisce come un’unica entità negoziale.

Seguite questo blog, vi terremo aggiornato sugli sviluppi.

When selling health-related products, the question frequently arises as to which product category, and therefore which regulatory regime, they fall under. This question often arises when distinguishing between food supplements and medicinal products. But in other constellations, too, difficult questions of demarcation arise, which must be answered with a view to legally compliant marketing.

In a highly interesting case, the Administrative Court (Verwaltungsgericht) of Düsseldorf, Germany, recently had to classify a CBD-containing (Cannabidiol) mouth spray that was explicitly advertised by its manufacturer as a “cosmetic” and therefore not suitable for human consumption. The Ingredients of the product were labelled: « Cannabis sativa seed oil, cannabidiol from cannabis extract, tincture or resin, cannabis sativa leaf extract ».

The Product is additionally also labelled as follows: “Cosmetic oral care spray with hemp leaf extract. » The Instructions for use are: « Spray a maximum of 3 sprays a day into the mouth as desired. Spit out after 30 seconds and do not swallow. »

A spray of the Product contains 10 mg CBD. This results in a maximum daily dose of 30 mg CBD as specified by the company.

At the same time, however, it was pointed out that the “consumption” of a spray shot was harmless to health.

The mouth spray could therefore be consumed like a food, but was declared as a “cosmetic”. This is precisely where the court had to examine whether the prohibition order based on food law was lawful.

For the definition of cosmetic products Article 2 sentence 4 lit. e) Regulation (EC) No. 178/2002 refers to Directive 76/768/EEC. This was replaced by Regulation (EC) No. 1223/2009. Cosmetic products are defined in Article 2(1)(a) as follows: “‘cosmetic product’ means any substance or mixture intended to be placed in contact with the external parts of the human body (epidermis, hair system, nails, lips and external genital organs) or with the teeth and the mucous membranes of the oral cavity with a view exclusively or mainly to cleaning them, perfuming them, changing their appearance, protecting them, keeping them in good condition or correcting body odours ”.

Here too, it is not the composition of the product that is decisive, but its intended purpose, which is to be determined on the basis of objective criteria according to general public opinion based on concrete evidence.

According to the system of Regulation (EC) No. 178/2002, Article 2 sentence 1 first defines foodstuffs in general and then excludes cosmetic products under sentence 4 lit. e). According to the definition in Regulation (EC) No. 1223/2009, cosmetic products must have an exclusive or at least predominant cosmetic purpose. It can be concluded from this system that the exclusivity or predominance must be positively established. If it is not possible to determine which purpose predominates, the product is a foodstuff.

The Düsseldorf Administrative Court had to deal with this question in the aforementioned legal dispute brought by the distributor against an official prohibition order in the form of a so-called general ruling („Allgemeinverfügung“). By notice dated July 11, 2020, the competent authority issued a general ruling prohibiting the marketing of foodstuffs containing “cannabidiol (as ‘CBD isolates’ or ‘hemp extracts enriched with CBD’)” in their urban area. The company, based in this city, offered the mouth spray described above.

In a ruling dated 25.10.2024 (Courts Ref. : 26 K 2072/23), the court dismissed the company’s claim. The court’s main arguments were :

  1. Classification as food: the CBD spray was correctly classified as food by the authority, as it was reasonable to expect that it could be swallowed despite indications to the contrary. According to an objective perception of the market, there is a now established expectation of an average informed, attentive and reasonable consumer to the effect that CBD oils are intended as “lifestyle” products for oral ingestion, from which consumers hope for positive health effects The labelling as “cosmetic” was refuted by the objective consumer expectations and the nature of the application.
  2. No medicinal product status: Due to the low dosage in this case (max. 30 mg CBD per day), the product was not classified as a functional medicinal product, as there was no sufficiently proven pharmacological effect.
  3. Legal basis of the injunction: The prohibition of the sale of the products by the defendant was based on a general order, which was confirmed as lawful by the court.

In the ruling, the court emphasizes the objective consumer expectation and clarifies that products cannot be exempted from a different regulatory classification by the authorities or the courts solely by their labelling.

Conclusion: The decision presented underlines the considerable importance of the “correct” classification of a health product in the respective legal product category. In addition to the classic distinction between foodstuffs (food supplements) and medicinal products, comparable issues also arise with other product types. In this case in the constellation of cosmetics versus food – combined with the special legal component of the use of CBD.

Commercial agents have specific regulations with rights and obligations that are “mandatory”: those who sign an agency contract cannot derogate from them. Answering whether an influencer can be an agent is essential because, if he or she is an agent, the agent regulations will apply to him or her.

Let’s take it one step at a time. The influencer we will talk about is the person who, with their actions and comments (blogs, social media accounts, videos, events, or a bit of everything), talks to their followers about the advantages of certain products or services identified with a certain third-party brand. In exchange for this, the influencer is paid.[1]

A commercial agent is someone who promotes the contracting of others’ products or services, does so in a stable way, and gets paid in return. He or she can also conclude the contract, but this is not essential.

The law imposes certain obligations and guarantees rights to those signing an agency contract. If the influencer is considered an “agent”, he or she should also have them. And there are several of them: for example, the duration, the notice to be given to terminate the contract, the obligations of the parties… And the most relevant, the right of the agent to receive compensation at the end of the relationship for the clientele that has been generated. If an influencer is an agent, he would also have this right.

How can an influencer be assessed as an agent? For that we must analyse two things: (a) the contract (and be careful because there is a contract, even if it is not written) and (b) how the parties have behaved.

The elements that, in my opinion, are most relevant to conclude that an influencer is an agent would be the following:

 

a) the influencer promotes the contracting of services or the purchase of products and does so independently.

The contract will indicate what the influencer must do. It will be clearer to consider him as an agent if his comments encourage contracting: for example, if they include a link to the manufacturer’s website, if he offers a discount code, if he allows orders to be placed with him. And if he does so as an independent “professional”, and not as an employee (with a timetable, means, instructions).

It may be more difficult to consider him as an agent if he limits himself to talking about the benefits of the product or service, appearing in advertising as a brand image, and using a certain product, and speaking well of it. The important thing, in my opinion, is to examine whether the influencer’s activity is aimed at getting people to buy the product he or she is talking about, or whether what he or she is doing is more generic persuasion (appearing in advertising, lending his or her image to a product, carrying out demonstrations of its use), or even whether he or she is only seeking to promote himself or herself as a vehicle for general information (for example, influencers who make comparisons of products without trying to get people to buy one or the other). In the first case (trying to get people to buy the product) it would be easier to consider it as an “agent”, and less so in the other examples.

 

b) this “promotion” is done in a continuous or stable manner.

Be careful because this continuity or stability does not mean that the contract has to be of indefinite duration. Rather, it is the opposite of a sporadic relationship. A one-year contract may be sufficient, while several unconnected interventions, even if they last longer, may not be sufficient.

In this case, influencers who make occasional comments, who intervene with isolated actions, who limit themselves to making comparisons without promoting the purchase of one or the other, and even if all this leads to sales, even if their comments are frequent and even if they can have a great influence on the behavior of their followers, would be excluded as agents.

 

c) they receive remuneration for their activity.

An influencer who is remunerated based on sales (e.g., by promoting a discount code, a specific link, or referring to your website for orders) can more easily be considered as an agent. But also, if he or she only receives a fixed amount for their promotion. On the other hand, influencers who do not receive any remuneration from the brand (e.g. someone who talks about the benefits of a product in comparison with others, but without linking it to its promotion) would be excluded.

 

Conclusion

The borderline between what qualifies an influencer as an agent and what does not can be very thin, especially because contracts are often not unambiguous and sometimes their services are multiple. The most important thing is to carefully analyse the contract and the parties’ behaviour.

An influencer could be considered a commercial agent to the extent that his or her activity promotes the contracting of the product (not simply if he or she carries out informative or image work), that it is done on a stable basis (and not merely anecdotal or sporadic) and in exchange for remuneration.

To assess the specific situation, it is essential to analyse the contract (if it is written, this is easier) and the parties’ behaviour.

In short, to draw up a contract with an influencer or, if it has already been signed, but you want to conclude it, you will have to pay attention to these elements. As an influencer you may have a strong interest in being considered an agent at the end of the contract and thus be entitled to compensation, while as employer you will prefer the opposite.

FINAL NOTE. In Spain and at the date of this comment (9 June 2024) I am not aware of any judgement dealing with this issue. My proposal is based on my experience of more than 30 years advising and litigating on agency contracts. On the other hand, and as far as I know, there is at least one judgment in Rome (Italy) dealing with the matter: Tribunale di Roma; Sezione Lavoro 4º, St. 2615 of 4 March 2024; R. G. n. 38445/2022.

La legge contro l’ultra fast-fashion è stata concepita per fronteggiare la crescente preoccupazione riguardante l’impatto ambientale, economico e sulla salute provocato dall’inondazione del mercato con tessuti e accessori di moda da parte di giganti come SHEIN, TEMU, PRIMARK e altri. Queste aziende, spesso trascurando le conseguenze delle loro pratiche, hanno contribuito significativamente all’incremento delle emissioni di gas serra attribuite all’industria tessile, che ora si stima essere responsabile per circa l’8% del totale globale.

In un contesto dove la produzione globale di abbigliamento ha visto un raddoppio in soli 14 anni e la durata di vita degli indumenti si è ridotta di un terzo, il marchio SHEIN ha registrato una crescita esponenziale del 100% tra il 2021 e il 2022, evidenziando ulteriormente la problematica del fast fashion che domina il mercato francese, nonostante in alcuni settori si stia vivendo una rinascita dell’artigianalità e del design made in France.

La risposta delle autorità francesi si è concretizzata nel disegno di legge n. 2129, volto a ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile, proposto da un deputato del Governo e adottato all’unanimità dall’Assemblea Nazionale il 14 marzo 2024, che nelle prossime settimane verrà esaminato dal Senato con una procedura accelerata, prima della definitiva adozione.

Questa normativa si propone di sensibilizzare i consumatori sull’importanza della sobrietà e della sostenibilità nell’industria della moda, promuovendo pratiche di riutilizzo, riparazione, e riciclaggio, e introducendo penalizzazioni per i produttori che non rispettano determinati standard ecologici.

Di seguito le misure principali.

1. Definizione legale di fast-fashion e obblighi informativi

Viene istituita una definizione legale di fast-fashion, identificato come la pratica di “messa a disposizione o distribuzione di un gran numero di riferimenti a nuovi prodotti (…) anche attraverso un fornitore di mercato online” e gli operatori di questo settore hanno l’obbligo di “visualizzare sulle loro piattaforme di vendita online messaggi che incoraggino la sobrietà, il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio dei prodotti e che sensibilizzino sul loro impatto ambientale. Il messaggio deve essere visualizzato in modo chiaro, leggibile e comprensibile su qualsiasi formato utilizzato, in prossimità del prezzo. Il contenuto dei messaggi è definito per decreto.”

Questa norma disciplina tutte le vendite online (anche su piattaforme) mentre non include le piattaforme per la rivendita di prodotti invenduti.

La violazione di questa disposizione comporta sanzioni amministrative fino a 3.000 € per le persone fisiche e 15.000 € per le persone giuridiche.

2. Limiti alla pubblicità (anche tramite influencer)

Il disegno di legge vieta la pubblicità dei prodotti di fast fashion, anche tramite influencer, al fine di ridurre la promozione di pratiche insostenibili nell’industria della moda, incentivando così un cambiamento nei modelli di consumo.

In caso di adozione definitiva, questa disposizione entrerà in vigore a partire dal 1o gennaio 2025.

La violazione di questa disposizione comporta sanzioni amministrative fino a 20.000 € per le persone fisiche e 100.000 € per le persone giuridiche, e fino al raddoppio in caso di recidiva.

3. Altri obblighi e sistema di disincentivi

La legge riguarda tutti i produttori (industriali, fabbricanti, grossisti, importatori), distributori e rivenditori francesi al pubblico e prevede anche altri obblighi, come: l’adesione a un’organizzazione ecologica (Refashion), il pagamento di un eco-contributo, l’etichettatura conforme e l’obbligo di esporre i risultati della valutazione dell’impatto ambientale del prodotto, che può portare ad una sanzione o all’ottenimento di un bonus.

Etichettatura e sull’eco-contributo CTA

La legge AGEC prevede attualmente una sanzione massima del 20% del prezzo di vendita del prodotto, IVA esclusa, se questo presenta caratteristiche ambientali scadenti. Considerati i prezzi a cui i prodotti fast-fashion sono venduti ai consumatori, l’impatto sui produttori è minimo (ad esempio, una maglietta da 4 euro), pertanto ora la proposta è quella di innalzare questa sanzione a un massimo del 50% del prezzo di vendita del prodotto.

Questa sanzione sarà determinata in base all’obbligo di mostrare l’analisi dell’impatto ambientale del prodotto. Le sanzioni saranno quindi fisse (e non in percentuale sul prezzo del prodotto), sotto forma di un malus progressivo fino al 2030:

  • 5 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2025
  • 6 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2026
  • 7 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2027
  • 8 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2028
  • 9 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2029
  • 10 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2030

Con un limite massimo fissato al 50% del prezzo di vendita.

Questo incremento avrà un impatto sul produttore un anno dopo, quando questi dichiarerà e verserà l’eco-contributo a Refashion e si applica esclusivamente ai produttori di prodotti di fast fashion. I fondi raccolti verranno utilizzati dagli organismi ecologici per finanziare infrastrutture di raccolta e riciclo in paesi al di fuori dell’Unione Europea.

Le società straniere sono soggette a questi obblighi?

Sì, se l’azienda ha sede legale all’estero, ma effettua vendite in Francia, sarà soggetta alle stesse obbligazioni e sanzioni previste dalla legislazione francese, secondo il principio del “produttore esteso”, stabilito dall’articolo L541-10 del codice dell’ambiente francese.

Le società straniere dovranno nominare un rappresentante in Francia a tal fine e non potranno in alcun modo aggirare gli obblighi e le sanzioni stabilite dalla normativa in oggetto.

A cosa prestare attenzione, adesso?

Il Senato sta attualmente esaminando il testo legislativo.

Parallelamente, il governo francese sta pianificando due iniziative aggiuntive: primo, avviare una campagna comunicativa per valorizzare il settore tessile francese e combattere l’ultra fast-fashion; secondo, proporre la creazione di una coalizione internazionale con l’obiettivo di vietare l’esportazione di rifiuti tessili verso i paesi incapaci di gestirli in maniera sostenibile, in linea con le disposizioni della Convenzione di Basilea. è attualmente all’esame del Senato.

Inoltre, è prevista la pubblicazione di un decreto che stabilirà i livelli di produzione, definendo così i produttori interessati da queste misure. Chiaramente questo decreto avrà un impatto estremamente rilevante, perché a seconda dei limiti individuati (si sta discutendo se individuare un limite giornaliero o annuale minimo di capi di abbigliamento) definirà il perimetro di applicazione della norma.

The commercial agent has the right to obtain certain information about the sales of the principal. The Spanish Law on Agency Contracts provides (15.2 LCA) that the agent has the right to demand to see the accounts of the principal in order to verify all matters relating to the commissions due to him. And also, to be provided with the information available to the principal and necessary to verify the amount of such commissions.

This article is in line with the 1986 Commercial Agents Directive, according to which (12.3) the agent is entitled to demand to be provided with all information at the disposal of the principal, particularly an extract from the books of account, which is necessary to verify the amount of commission due to the agent. This may not be altered to the detriment of the commercial agent by agreement.

The question is, does this right remain even after the termination of the agency contract? In other words: once the agency contract is terminated, can the agent request the information and documentation mentioned in these articles and is the Principal obliged to provide it?

In our opinion, the rule does not say anything that limits this right, rather the opposite is to be expected. Therefore, to the extent that there is still any possible commission that may arise from such verification, the answer must be yes. Let us see.

The right to demand the production of accounts exists so that the agent can verify the amount of commissions. And the agent is entitled to commissions for acts and operations concluded during the term of the contract (art. 12 LCA), but also for acts or operations concluded after the termination of the contract (art. 13 LCA), and for operations not carried out due to circumstances attributable to the principal (art. 17 LCA). In addition, the agent is entitled to have the commission accrued at the time when the act or transaction should have been executed (art. 14 LCA).

All these transactions can take place after the conclusion of the contract. Consider the usual situation where orders are placed during the contract but are accepted or executed afterwards. To reduce the agent’s right to be informed only during the term of the contract would be to limit his entitlement to the corresponding commission unduly. And it should be borne in mind that the amount of the commissions during the last five years may also influence the calculation of the client (goodwill) indemnity (art. 28 LCA), so that the agent’s interest in knowing them is twofold: what he would receive as commission, and what could increase the basis for future indemnity.

This has been confirmed, for example, by the Provincial Court (Audiencia Provincial) of Madrid (AAP 227/2017, of 29 June [ECLI:ES:APM:2017:2873A]) which textually states:

[…] art. 15.2 of the Agency Contract Act provides for the right of the agent to demand the exhibition of the Principal’s accounts in the particulars necessary to verify everything relating to the commissions corresponding to him, as well as to be provided with the information available to the Principal and necessary to verify the amount. This does not prevent, […], the agency contract having already been terminated, as this does not imply that commissions would cease to accrue for policies, contracted with the mediation of the agent, which remain in force.

The question then arises as to whether this right to information is unlimited in time. And here the answer would be in the negative. The limitation of the right to receive information would be linked to the statute of limitations of the right to claim the corresponding commission. If the right to receive the commission were undoubtedly time-barred, it could be argued that it would not be possible to receive information about it. But for such an exception, the statute of limitations must be clear, therefore, taking into account possible interruptions due to claims, even extrajudicial ones. In case of doubt, it will be necessary to recognise the right to demand the information, without prejudice to later invoking and recognising the impossibility of claiming the commission if the right is time-barred. And for this we must consider the limitation period for claiming commissions (in general, three years) and that of the right to claim compensation for clientele (one year).

In short: it does not seem that the right to receive information and to examine the principal’s documentation is limited by the term of the agency contract; although, on the other hand, it would be appropriate to analyse the possible limitation period for claiming commissions. In the absence of a clear answer to this question, the right to information should, in our opinion, prevail, without prejudice to the fact that the result may not entitle the claim because it is time-barred.

SUMMARY: In large-scale events such as the Paris Olympics certain companies will attempt to “wildly” associate their brand with the event through a practice called “ambush marketing”, defined by caselaw as “an advertising strategy implemented by a company in order to associate its commercial image with that of an event, and thus to benefit from the media impact of said event, without paying the related rights and without first obtaining the event organizer’s authorization” (Paris Court of Appeal, June 8, 2018, Case No 17/12912). A risky and punishable practice, that might sometimes yet be an option yet.

Key takeaways

  • Ambush marketing might be a punished practice but is not prohibited as such;
  • As a counterpart of their investment, sponsors and official partners benefit from an extensive legal protection against all forms of ambush marketing in the event concerned, through various general texts (counterfeiting, parasitism, intellectual property) or more specific ones (e.g. sport law);
  • The Olympics Games are subject to specific regulations that further strengthen this protection, particularly in terms of intellectual property.
  • But these rights are not absolute, and they are still thin opportunities for astute ambush marketing.

The protection offered to sponsors and official partners of sporting and cultural events from ambush marketing

With a budget of over 4 billion euros, the 2024 Olympic and Paralympic Games are financed mostly by various official partners and sponsors, who in return benefit from a right to use Olympic and Paralympic properties to be able to associate their own brand image and distinctive signs with these events.

Ambush marketing is not punishable as such under French law, but several scattered texts provide extensive protection against ambush marketing for sponsors and partners of sporting or cultural continental-wide or world-wide events. Indeed, sponsors are legitimately entitled to peacefully enjoy the rights offered to them in return for large-scale investments in events such as the FIFA or rugby World Cups, or the Olympic Games.

In particular, official sponsors and organizers of such events may invoke:

  • the “classic” protections offered by intellectual property law (trademark law and copyright) in the context of infringement actions based on the French Intellectual Property Code,
  • tort law (parasitism and unfair competition based on article 1240 of the French Civil Code);
  • consumer law (misleading commercial practices) based on the French Consumer Code,
  • but also more specific texts such as the protection of the exploitation rights of sports federations and sports event organizers derived from the events or competitions they organize, as set out in article L.333-1 of the French Sports Code, which gives sports event organizers an exploitation monopoly.

The following ambush marketing practices were sanctioned on the abovementioned grounds:

  • The use of a tennis competition name and of the trademark associated with it during the sporting event: The organization of online bets, by an online betting operator, on the Roland Garros tournament, using the protected sign and trademark Roland Garros to target the matches on which the bets were organized. The unlawful exploitation of the sporting event, was punished and 400 K€ were allowed as damages, based on article L. 333-1 of the French Sports Code, since only the French Tennis Federation (F.F.T.) owns the right to exploit Roland Garros. The use of the trademark was also punished as counterfeiting (with 300 K€ damages) and parasitism (with 500 K€ damages) (Paris Court of Appeal, Oct. 14, 2009, Case No 08/19179);
  • An advertising campaign taking place during a film festival and reproducing the event’s trademark: The organization, during the Cannes Film Festival, of a digital advertising campaign by a cosmetics brand through the publication on its social networks of videos showing the beauty makeovers of the brand’s muses, in some of which the official poster of the Cannes Film Festival was visible, one of which reproduced the registered trademark of the “Palme d’Or”, was punished on the grounds of copyright infringement and parasitism with a 50 K€ indemnity (Paris Judicial Court, Dec. 11, 2020, Case No19/08543);
  • An advertising campaign aimed at falsely claiming to be an official partner of an event: The use, during the Cannes Film Festival, of the slogan “official hairdresser for women” together with the expressions “Cannes” and “Cannes Festival”, and other publications falsely leading the public to believe that the hairdresser was an official partner, to the detriment of the only official hairdresser of the Cannes festival, was punished on the grounds of unfair competition and parasitism with a 50 K€ indemnity (Paris Court of Appeal, June 8, 2018, Case No 17/12912).

These financial penalties may be combined with injunctions to cease these behaviors, and/or publication in the press under penalty.

An even greater protection for the Paris 2024 Olympic Games

The Paris 2024 Olympic Games are also subject to specific regulations.

Firstly, Article L.141-5 of the French Sports Code, enacted for the benefit of the “Comité national olympique et sportif français” (CNOSF) and the “Comité de l’organisation des Jeux Olympiques et Paralympiques de Paris 2024” (COJOP), protects Olympic signs such as the national Olympic emblems, but also the emblems, the flag, motto and Olympic symbol, Olympic anthem, logo, mascot, slogan and posters of the Olympic Games, the year of the Olympic Games “city + year”, the terms “Jeux Olympiques”, “Olympisme”, “Olympiade”, “JO”, “olympique”, “olympien” and “olympienne”. Under no circumstances may these signs be reproduced or even imitated by third-party companies. The COJOP has also published a guide to the protection of the Olympic trademark, outlining the protected symbols, trademarks and signs, as well as the protection of the official partners of the Olympic Games.

Secondly, Law no. 2018-202 of March 26, 2018 on the organization of the 2024 Olympic and Paralympic Games adds even more specific prohibitions, such as the reservation for official sponsors of advertising space located near Olympic venues, or located on the Olympic and Paralympic torch route. This protection is unique in the context of the Olympic Games, but usually unregulated in the context of simple sporting events.

The following practices, for example, have already been sanctioned on the above-mentioned grounds:

  • Reproduction of a logo imitating the well-known “Olympic” trademark on a clothing collection: The marketing of a collection of clothing, during the 2016 Olympic Games, bearing a logo (five hearts in the colors of the 5 Olympic colors intersecting in the image of the Olympic logo) imitating the Olympic symbol in association with the words “RIO” and “RIO 2016”, was punished on the grounds of parasitism (10 K€ damages) and articles L. 141-5 of the French Sports Code (35 K€) and L. 713-1 of the French Intellectual Property Code (10 K€ damages) (Paris Judicial Court, June 7, 2018, Case No16/10605);
  • The organization of a contest on social networks using protected symbols: During the 2018 Olympic Games in PyeongChang, a car rental company organized an online game inviting Internet users to nominate the athletes they wanted to win a clock radio, associated with the hashtags “#JO2018” (“#OJ2018”), “#Jeuxolympiques” (“#Olympicsgame”) or “C’est parti pour les jeux Olympiques” (“let’s go for the Olympic Games”) without authorization from the CNOSF, owner of these distinctive signs under the 2018 law and article L.141-5 of the French Sport Code and punished on these grounds with 20 K€ damages and of 10 K€ damages for parasitism (Paris Judicial Court, May 29, 2020, n°18/14115).

These regulations offer official partners greater protection for their investments against ambush marketing practices from non-official sponsors.

Some marketing operations might be exempted

An analysis of case law and promotional practices nonetheless reveals the contours of certain advertising practices that could be authorized (i.e. not sanctioned by the above-mentioned texts), provided they are skillfully prepared and presented. Here are a few exemples :

  • Communication of information for advertising purposes: The use of the results of a rugby match and the announcement of a forthcoming match in a newspaper to promote a motor vehicle and its distinctive features was deemed lawful: “France 13 Angleterre 24 – the Fiat 500 congratulates England on its victory and looks forward to seeing the French team on March 9 for France-Italy” (France 13 Angleterre 24 – la Fiat 500 félicite l’Angleterre pour sa victoire et donne rendez-vous à l’équipe de France le 9 mars pour France-Italie) the judges having considered that this publication “merely reproduces a current sporting result, acquired and made public on the front page of the sports newspaper, and refers to a future match also known as already announced by the newspaper in a news article” (Court of cassation, May 20, 2014, Case No 13-12.102).
  • Sponsorship of athletes, including those taking part in Olympic competitions: Subject to compliance with the applicable regulatory framework, particularly as regards models, any company may enter into partnerships with athletes taking part in the Olympic Games, for example by donating clothing bearing the desired logo or brand, which they could wear during their participation in the various events. Athletes may also, under certain conditions, broadcast acknowledgements from their partner (even if unofficial). Rule 40 of the Olympic Charter governs the use of athletes’, coaches’ and officials’ images for advertising purposes during the Olympic Games.

The combined legal and marketing approach to the conception and preparation of the message of such a communication operation is essential to avoid legal proceedings, particularly on the grounds of parasitism; one might therefore legitimately contemplate advertising campaigns, particularly clever, or even malicious ones.

In questo primo episodio delle serie Distribution Talks di Legalmondo, ho parlato con Ignacio Alonso, avvocato di Madrid con una vasta esperienza in materia di distribuzione commerciale internazionale.

Principali punti della discussione:

  • in Spagna non esiste una legge specifica per gli accordi di distribuzione, che sono regolati dalle norme generali del codice del commercio;
  • è importante dunque redigere un contratto chiaro e completo, che sarà la fonte principale dei diritti e delle obbligazioni delle parti;
  • è anche bene conoscere la giurisprudenza spagnola in materia di distribuzione commerciale, che in alcuni casi applica per analogia la legge sull’agenzia commerciale.
  • le problematiche più comuni che coinvolgono produttori stranieri che distribuiscono in Spagna nascono al momento della cessazione del rapporto, in particolare perché la giurisprudenza riconosce al distributore cessato un’indennità di clientela o avviamento, se ricorrono presupposti simili a quelli previsti dalla normativa agenziale.
  • un’altra vertenza frequente riguarda la congruità del preavviso per il recesso dal contratto, specie se non esiste un patto tra le parti: il consiglio è di seguire quanto prevede la normativa agenziale, e dunque stabilire un preavviso minimo di un mese per ogni anno di durata del contratto, sino a 6 mesi per accordi che durano da più di 5 anni;
  • per quanto riguarda gli strumenti per la risoluzione delle controversie, la mediazione è una possibilità da considerare con attenzione, perché è rapida, economica e consente di ricercare una soluzione condivisa in modo flessibile, senza interrompere la relazione commerciale.
  • se la mediazione fallisce, le parti possono prevedere il ricorso all’arbitrato o al giudice statale: la scelta dipende dalle circostanze specifiche del caso e un fattore a favore della giurisdizione è la possibilità di appello, che è invece esclusa nel caso di arbitrato.

 

Approfondimenti

https://youtu.be/ZmNjMrdKDJM?si=ySCcUf_Hz25nQN3Y

Sintesi

il 1° giugno 2022, il Regolamento UE n. 720/2022, ovvero il nuovo Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (anche “Vertical Block Exemption Regulation”, di seguito: “VBER”), ha sostituito la precedente versione (Regolamento UE n. 330/2010), scaduta il 31 maggio 2022.

Il nuovo VBER e le nuove linee guida verticali (di seguito: “Linee guida”) hanno recepito le principali osservazioni raccolte durante la vigenza del precedente VBER e contengono alcune disposizioni rilevanti per la disciplina di tutti gli accordi B2B tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura.

In questo articolo ci concentreremo sull’impatto del nuovo VBER sulle vendite tramite le piattaforme digitali, elencando le principali novità che impattano sulle catene distributive, tra cui anche le piattaforme per la commercializzazione di prodotti/servizi.

La disciplina generale degli accordi verticali

L’articolo 101(1) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) vieta tutti gli accordi che impediscono, restringono o falsano la concorrenza all’interno del mercato dell’UE, e ne elenca anche le principali tipologie, tra cui la fissazione dei prezzi, la compartimentazione dei mercati, le limitazioni alla produzione/sviluppo/investimenti, le clausole abusive, ecc.

Tuttavia, l’articolo 101(3) del TFUE esenta da tali restrizioni gli accordi che contribuiscono a migliorare il mercato dell’UE, i quali dovranno essere individuati in un apposito regolamento di categoria. Il VBER è il regolamento che definisce la categoria degli accordi verticali (cioè gli accordi tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura), determinando quali di questi accordi sono esenti dal divieto di cui all’articolo 101(1) del TFUE.

In breve, si presume che gli accordi verticali siano esenti (e quindi validi) se non contengono le cosiddette “restrizioni fondamentali” (cioè gravi restrizioni della concorrenza, come il divieto assoluto di vendita in un territorio o la determinazione da parte del produttore del prezzo di rivendita del distributore) e se la quota di mercato di nessuna delle parti supera il 30%.

Gli accordi esenti beneficiano di quello che è stato definito il “safe harbour” (porto sicuro) del VBER. Gli altri, invece, saranno soggetti al divieto generale di cui all’articolo 101(1) del TFUE, a meno che non possano beneficiare di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101(3) del TFUE.

Le novità introdotte dal nuovo VBER per le piattaforme online

Il primo aspetto rilevante riguarda la classificazione delle piattaforme, in quanto la Commissione europea ha escluso che le piattaforme online generalmente operino come agenti di commercio.

Mentre non ci sono mai stati dubbi riguardo alle piattaforme che operano acquistando e rivendendo prodotti (esempio classico: Amazon Retail), ne erano sorti diversi riguardo a quelle piattaforme che si limitano a promuovere i prodotti di terzi, senza svolgere l’attività di acquisto e rivendita (esempio classico: Amazon Marketplace).

Con l’introduzione della nuova versione del VBER, la Commissione europea ha voluto sgombrare il campo da qualunque dubbio, esplicitando che i fornitori di servizi di intermediazione (come le piattaforme online) si qualificano come fornitori (e non come agenti commerciali) ai sensi del VBER. Ciò riflette l’approccio del Regolamento (UE) 2019/1150 (“Regolamento P2B”), che per la prima volta ha dettato una disciplina specifica per le piattaforme digitali. Il regolamento prevede una serie di regole per creare un “ambiente equo, trasparente e prevedibile per le imprese e i clienti più piccoli” e secondo la ratio del Digital Markets Act, che vieta alcune pratiche utilizzate dalle grandi piattaforme che agiscono come “gatekeeper”.

Di conseguenza, tutti i contratti conclusi tra produttori e piattaforme (definite come “fornitori di servizi di intermediazione online”) sono soggetti a tutte le restrizioni imposte dal VBER, come quelle inerenti alla determinazione del prezzo, dei territori in cui o i clienti ai quali possono essere venduti i beni o i servizi intermediati, o ancora le restrizioni relative alla pubblicità e alla vendita online.

Così, per fare un esempio, l’operatore di una piattaforma non può imporre al produttore un prezzo di vendita fisso o minimo per una transazione promossa attraverso la piattaforma stessa.

Il secondo aspetto di maggiore impatto riguarda le piattaforme ibride, ossia le piattaforme che operano anche nel mercato rilevante per la vendita di beni o servizi intermediati. Amazon è l’esempio più noto, in quanto è al contempo un fornitore di servizi di intermediazione (“Amazon Marketplace”) e, allo stesso tempo, distribuisce i prodotti di queste parti (“Amazon Retail”). Abbiamo già approfondito la distinzione tra questi due modelli di business (e le conseguenze in termini di violazione della proprietà intellettuale) qui.

Il nuovo VBER esplicitamente non si applica alle piattaforme ibride. Pertanto, gli accordi conclusi tra tali piattaforme e i produttori sono soggetti alle limitazioni del TFUE, in quanto tali fornitori possono avere un incentivo a favorire le proprie vendite, nonché la capacità di influenzare l’esito della concorrenza tra le imprese che utilizzano i loro servizi di intermediazione online.

Tali accordi devono essere valutati singolarmente ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, in quanto non limitano necessariamente la concorrenza ai sensi del TFUE, oppure possono soddisfare le condizioni di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

Il terzo aspetto più rilevante riguarda gli obblighi di parità (detti anche clausole della nazione più favorita o “most favoured nation”, MFN), ossia le disposizioni contrattuali tramite cui un venditore (direttamente o anche indirettamente) si impegna a offrire all’acquirente le migliori condizioni tra quelle che mette a disposizione di qualsiasi altro acquirente. La previsione è di particolare rilievo perché i termini contrattuali delle piattaforme contengono spesso clausole di obbligo di parità, al fine di impedire agli utenti di offrire i loro prodotti/servizi a prezzi inferiori o a condizioni migliori sui loro siti web o su altre piattaforme.

Il nuovo VBER si occupa esplicitamente delle clausole di parità, distinguendo tra clausole il cui scopo è quello di vietare agli utenti di una piattaforma di vendere beni o servizi a condizioni più favorevoli attraverso piattaforme concorrenti (le cosiddette “clausole di parità ampia“), e clausole che vietano le vendite a condizioni più favorevoli solo per quanto riguarda i canali gestiti direttamente dagli utenti (le cosiddette “clausole di parità stretta“).

Le clausole di parità ampia non beneficiano dell’esenzione VBER; pertanto, tali obblighi devono essere valutati individualmente ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

D’altro canto, le clausole di parità stretta continuano a beneficiare dell’esenzione già concessa dal vecchio VBER se non superano la soglia del 30% della quota di mercato rilevante stabilita dall’articolo 3 del nuovo VBER. Tuttavia, le nuove linee guida mettono in guardia rispetto all’utilizzo di obblighi di parità eccessivamente ristretti da parte di piattaforme online che coprono una quota significativa di utenti, affermando che se non vi sono prove di effetti pro-concorrenziali, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato.

Impatto e conseguenze

Il nuovo VBER è entrato in vigore il 1° giugno 2022 ed è già applicabile agli accordi firmati dopo tale data. Gli accordi già in vigore al 31 maggio 2022 che soddisfano le condizioni per l’esenzione ai sensi dell’attuale VBER ma non soddisfano i requisiti del nuovo VBER beneficeranno di un periodo di transizione di un anno.

Il nuovo regime sarà il campo di gioco per tutte le vendite su piattaforma nei prossimi 12 anni (il regolamento scade il 31 maggio 2034). Ad oggi, le novità piuttosto restrittive sulle piattaforme ibride e gli obblighi di parità renderanno probabilmente necessarie revisioni sostanziali degli accordi commerciali esistenti.

Ecco, quindi, alcuni consigli per gestire i contratti e i rapporti con le piattaforme online:

  • il nuovo VBER è l’occasione giusta per rivedere le reti di distribuzione esistenti. La revisione dovrà considerare non solo i nuovi limiti normativi (ad esempio, il divieto di clausole di parità ampia), ma anche la nuova disciplina riservata alle piattaforme ibride e alla distribuzione duale, al fine di coordinare i diversi canali distributivi nel modo più efficiente possibile, secondo i paletti fissati dal nuovo VBER e dalle Linee Guida;
  • è probabile che le piattaforme giochino un ruolo ancora più importante nel prossimo decennio; è quindi essenziale considerare questi canali di vendita fin dall’inizio, coordinandoli con gli altri già esistenti (vendita al dettaglio, vendita diretta, distributori, ecc.) per evitare di compromettere la commercializzazione di prodotti o servizi;
  • l’attenzione del legislatore europeo verso le piattaforme sta crescendo. Osservando la disciplina a partire dal VBER, non bisognerebbe dimenticare che le piattaforme sono soggette a una moltitudine di altri regolamenti europei, che stanno gradualmente disciplinando il settore e che devono essere presi in considerazione quando si stipulano contratti con le piattaforme stesse. Il riferimento non è solo al recente Digital Market Act e al Regolamento P2B, ma anche alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale sulle piattaforme, che – come abbiamo già visto – è una questione tuttora aperta.

Geraldo Fonseca

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    Germany – To which product category do Cannabidiol spray products belong?

    30 Novembre 2024

    • Germania
    • Distribuzione
    • Diritto Farmaceutico

    “Questo accordo non è solo un’opportunità economica. È una necessità politica. Nell’attuale contesto geopolitico, caratterizzato da un crescente protezionismo e da importanti conflitti regionali, la dichiarazione di Ursula von der Leyen la dice lunga.

    Anche se c’è ancora molta strada da fare prima che l’accordo venga approvato internamente a ciascun blocco ed entri in vigore, la pietra miliare è molto significativa. Ci sono voluti 25 anni dall’inizio dei negoziati tra il Mercosur e l’Unione Europea per raggiungere un testo di consenso. L’impatto sarà notevole. Insieme, i blocchi rappresentano un PIL di oltre 22 mila miliardi di dollari e ospitano oltre 700 milioni di persone.

    Vediamo le informazioni più importanti sul contenuto dell’accordo e sul suo stato di avanzamento.

    Che cos’è l’accordo EU-Mercosur?

    L’accordo è stato firmato come trattato commerciale, con l’obiettivo principale di ridurre le tariffe di importazione e di esportazione, eliminare le barriere burocratiche e facilitare il commercio tra i Paesi del Mercosur e i membri dell’Unione Europea. Inoltre, il patto prevede impegni in aree quali la sostenibilità, i diritti del lavoro, la cooperazione tecnologica e la protezione dell’ambiente.

    Il Mercosur (Mercato Comune del Sud) è un blocco economico creato nel 1991 da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. Attualmente, Bolivia e Cile partecipano come membri associati, accedendo ad alcuni accordi commerciali, ma non sono pienamente integrati nel mercato comune. D’altra parte, l’Unione Europea, con i suoi 27 membri (20 dei quali hanno adottato la moneta comune), è un’unione più ampia con una maggiore integrazione economica e sociale rispetto al Mercosur.

    Cosa prevede l’accordo UE-Mercosur?

    Scambio di beni:

    • Riduzione o eliminazione delle tariffe sui prodotti scambiati tra i blocchi, come carne, cereali, frutta, automobili, vini e prodotti lattiero-caseari (la riduzione prevista riguarderà oltre il 90% delle merci scambiate tra i blocchi).
    • Accesso facilitato ai prodotti europei ad alta tecnologia e industrializzati.

    Commercio di servizi:

    • Espande l’accesso ai servizi finanziari, alle telecomunicazioni, ai trasporti e alla consulenza per le imprese di entrambi i blocchi.

    Movimento di persone:

    • Fornisce agevolazioni per visti temporanei per lavoratori qualificati, come professionisti della tecnologia e ingegneri, promuovendo lo scambio di talenti.
    • Incoraggia i programmi di cooperazione educativa e culturale.

    Sostenibilità e ambiente:

    • Include impegni per combattere la deforestazione e raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
    • Prevede sanzioni per le violazioni degli standard ambientali.

    Proprietà intellettuale e normative:

    • Protegge le indicazioni geografiche dei formaggi e dei vini europei e del caffè e della cachaça sudamericani.
    • Armonizza gli standard normativi per ridurre la burocrazia ed evitare le barriere tecniche.

    Diritti del lavoro:

    • Impegno per condizioni di lavoro dignitose e rispetto degli standard dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

    Quali benefici aspettarsi?

    • Accesso a nuovi mercati: Le aziende del Mercosur avranno un accesso più facile al mercato europeo, che conta più di 450 milioni di consumatori, mentre i prodotti europei diventeranno più competitivi in Sud America.
    • Riduzione dei costi: L’eliminazione o la riduzione delle tariffe doganali potrebbe abbassare i prezzi di prodotti come vini, formaggi e automobili e favorire le esportazioni sudamericane di carne, cereali e frutta.
    • Rafforzamento delle relazioni diplomatiche: L’accordo simboleggia un ponte di cooperazione tra due regioni storicamente legate da vincoli culturali ed economici.

    Quali sono i prossimi passo?

    La firma è solo il primo passo. Affinché l’accordo entri in vigore, deve essere ratificato da entrambi i blocchi e il processo di approvazione è ben distinto tra loro, poiché il Mercosur non ha un Consiglio o un Parlamento comuni.

    Nell’Unione Europea, il processo di ratifica prevede molteplici passaggi istituzionali:

    • Consiglio dell’Unione Europea: I ministri degli Stati membri discuteranno e approveranno il testo dell’accordo. Questa fase è cruciale, poiché ogni Paese è rappresentato e può sollevare specifiche preoccupazioni nazionali.
    • Parlamento europeo: Dopo l’approvazione del Consiglio, il Parlamento europeo, composto da deputati eletti, vota per la ratifica dell’accordo. Il dibattito in questa fase può includere gli impatti ambientali, sociali ed economici.
    • Parlamenti nazionali: Nei casi in cui l’accordo riguardi competenze condivise tra il blocco e gli Stati membri (come le normative ambientali), deve essere approvato anche dai parlamenti di ciascun Paese membro. Questo può essere impegnativo, dato che Paesi come la Francia e l’Irlanda hanno già espresso preoccupazioni specifiche sulle questioni agricole e ambientali.

    Nel Mercosur, lapprovazione dipende da ciascun Paese membro:

    • Congressi nazionali: Il testo dell’accordo viene sottoposto ai parlamenti di Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. Ogni congresso valuta in modo indipendente e l’approvazione dipende dalla maggioranza politica di ciascun Paese.
    • Contesto politico: I Paesi del Mercosur hanno realtà politiche diverse. In Brasile, ad esempio, le questioni ambientali possono suscitare accesi dibattiti, mentre in Argentina l’impatto sulla competitività agricola può essere al centro della discussione.
    • Coordinamento regionale: Anche dopo l’approvazione nazionale, è necessario garantire che tutti i membri del Mercosur ratifichino l’accordo, poiché il blocco agisce come un’unica entità negoziale.

    Seguite questo blog, vi terremo aggiornato sugli sviluppi.

    When selling health-related products, the question frequently arises as to which product category, and therefore which regulatory regime, they fall under. This question often arises when distinguishing between food supplements and medicinal products. But in other constellations, too, difficult questions of demarcation arise, which must be answered with a view to legally compliant marketing.

    In a highly interesting case, the Administrative Court (Verwaltungsgericht) of Düsseldorf, Germany, recently had to classify a CBD-containing (Cannabidiol) mouth spray that was explicitly advertised by its manufacturer as a “cosmetic” and therefore not suitable for human consumption. The Ingredients of the product were labelled: « Cannabis sativa seed oil, cannabidiol from cannabis extract, tincture or resin, cannabis sativa leaf extract ».

    The Product is additionally also labelled as follows: “Cosmetic oral care spray with hemp leaf extract. » The Instructions for use are: « Spray a maximum of 3 sprays a day into the mouth as desired. Spit out after 30 seconds and do not swallow. »

    A spray of the Product contains 10 mg CBD. This results in a maximum daily dose of 30 mg CBD as specified by the company.

    At the same time, however, it was pointed out that the “consumption” of a spray shot was harmless to health.

    The mouth spray could therefore be consumed like a food, but was declared as a “cosmetic”. This is precisely where the court had to examine whether the prohibition order based on food law was lawful.

    For the definition of cosmetic products Article 2 sentence 4 lit. e) Regulation (EC) No. 178/2002 refers to Directive 76/768/EEC. This was replaced by Regulation (EC) No. 1223/2009. Cosmetic products are defined in Article 2(1)(a) as follows: “‘cosmetic product’ means any substance or mixture intended to be placed in contact with the external parts of the human body (epidermis, hair system, nails, lips and external genital organs) or with the teeth and the mucous membranes of the oral cavity with a view exclusively or mainly to cleaning them, perfuming them, changing their appearance, protecting them, keeping them in good condition or correcting body odours ”.

    Here too, it is not the composition of the product that is decisive, but its intended purpose, which is to be determined on the basis of objective criteria according to general public opinion based on concrete evidence.

    According to the system of Regulation (EC) No. 178/2002, Article 2 sentence 1 first defines foodstuffs in general and then excludes cosmetic products under sentence 4 lit. e). According to the definition in Regulation (EC) No. 1223/2009, cosmetic products must have an exclusive or at least predominant cosmetic purpose. It can be concluded from this system that the exclusivity or predominance must be positively established. If it is not possible to determine which purpose predominates, the product is a foodstuff.

    The Düsseldorf Administrative Court had to deal with this question in the aforementioned legal dispute brought by the distributor against an official prohibition order in the form of a so-called general ruling („Allgemeinverfügung“). By notice dated July 11, 2020, the competent authority issued a general ruling prohibiting the marketing of foodstuffs containing “cannabidiol (as ‘CBD isolates’ or ‘hemp extracts enriched with CBD’)” in their urban area. The company, based in this city, offered the mouth spray described above.

    In a ruling dated 25.10.2024 (Courts Ref. : 26 K 2072/23), the court dismissed the company’s claim. The court’s main arguments were :

    1. Classification as food: the CBD spray was correctly classified as food by the authority, as it was reasonable to expect that it could be swallowed despite indications to the contrary. According to an objective perception of the market, there is a now established expectation of an average informed, attentive and reasonable consumer to the effect that CBD oils are intended as “lifestyle” products for oral ingestion, from which consumers hope for positive health effects The labelling as “cosmetic” was refuted by the objective consumer expectations and the nature of the application.
    2. No medicinal product status: Due to the low dosage in this case (max. 30 mg CBD per day), the product was not classified as a functional medicinal product, as there was no sufficiently proven pharmacological effect.
    3. Legal basis of the injunction: The prohibition of the sale of the products by the defendant was based on a general order, which was confirmed as lawful by the court.

    In the ruling, the court emphasizes the objective consumer expectation and clarifies that products cannot be exempted from a different regulatory classification by the authorities or the courts solely by their labelling.

    Conclusion: The decision presented underlines the considerable importance of the “correct” classification of a health product in the respective legal product category. In addition to the classic distinction between foodstuffs (food supplements) and medicinal products, comparable issues also arise with other product types. In this case in the constellation of cosmetics versus food – combined with the special legal component of the use of CBD.

    Commercial agents have specific regulations with rights and obligations that are “mandatory”: those who sign an agency contract cannot derogate from them. Answering whether an influencer can be an agent is essential because, if he or she is an agent, the agent regulations will apply to him or her.

    Let’s take it one step at a time. The influencer we will talk about is the person who, with their actions and comments (blogs, social media accounts, videos, events, or a bit of everything), talks to their followers about the advantages of certain products or services identified with a certain third-party brand. In exchange for this, the influencer is paid.[1]

    A commercial agent is someone who promotes the contracting of others’ products or services, does so in a stable way, and gets paid in return. He or she can also conclude the contract, but this is not essential.

    The law imposes certain obligations and guarantees rights to those signing an agency contract. If the influencer is considered an “agent”, he or she should also have them. And there are several of them: for example, the duration, the notice to be given to terminate the contract, the obligations of the parties… And the most relevant, the right of the agent to receive compensation at the end of the relationship for the clientele that has been generated. If an influencer is an agent, he would also have this right.

    How can an influencer be assessed as an agent? For that we must analyse two things: (a) the contract (and be careful because there is a contract, even if it is not written) and (b) how the parties have behaved.

    The elements that, in my opinion, are most relevant to conclude that an influencer is an agent would be the following:

     

    a) the influencer promotes the contracting of services or the purchase of products and does so independently.

    The contract will indicate what the influencer must do. It will be clearer to consider him as an agent if his comments encourage contracting: for example, if they include a link to the manufacturer’s website, if he offers a discount code, if he allows orders to be placed with him. And if he does so as an independent “professional”, and not as an employee (with a timetable, means, instructions).

    It may be more difficult to consider him as an agent if he limits himself to talking about the benefits of the product or service, appearing in advertising as a brand image, and using a certain product, and speaking well of it. The important thing, in my opinion, is to examine whether the influencer’s activity is aimed at getting people to buy the product he or she is talking about, or whether what he or she is doing is more generic persuasion (appearing in advertising, lending his or her image to a product, carrying out demonstrations of its use), or even whether he or she is only seeking to promote himself or herself as a vehicle for general information (for example, influencers who make comparisons of products without trying to get people to buy one or the other). In the first case (trying to get people to buy the product) it would be easier to consider it as an “agent”, and less so in the other examples.

     

    b) this “promotion” is done in a continuous or stable manner.

    Be careful because this continuity or stability does not mean that the contract has to be of indefinite duration. Rather, it is the opposite of a sporadic relationship. A one-year contract may be sufficient, while several unconnected interventions, even if they last longer, may not be sufficient.

    In this case, influencers who make occasional comments, who intervene with isolated actions, who limit themselves to making comparisons without promoting the purchase of one or the other, and even if all this leads to sales, even if their comments are frequent and even if they can have a great influence on the behavior of their followers, would be excluded as agents.

     

    c) they receive remuneration for their activity.

    An influencer who is remunerated based on sales (e.g., by promoting a discount code, a specific link, or referring to your website for orders) can more easily be considered as an agent. But also, if he or she only receives a fixed amount for their promotion. On the other hand, influencers who do not receive any remuneration from the brand (e.g. someone who talks about the benefits of a product in comparison with others, but without linking it to its promotion) would be excluded.

     

    Conclusion

    The borderline between what qualifies an influencer as an agent and what does not can be very thin, especially because contracts are often not unambiguous and sometimes their services are multiple. The most important thing is to carefully analyse the contract and the parties’ behaviour.

    An influencer could be considered a commercial agent to the extent that his or her activity promotes the contracting of the product (not simply if he or she carries out informative or image work), that it is done on a stable basis (and not merely anecdotal or sporadic) and in exchange for remuneration.

    To assess the specific situation, it is essential to analyse the contract (if it is written, this is easier) and the parties’ behaviour.

    In short, to draw up a contract with an influencer or, if it has already been signed, but you want to conclude it, you will have to pay attention to these elements. As an influencer you may have a strong interest in being considered an agent at the end of the contract and thus be entitled to compensation, while as employer you will prefer the opposite.

    FINAL NOTE. In Spain and at the date of this comment (9 June 2024) I am not aware of any judgement dealing with this issue. My proposal is based on my experience of more than 30 years advising and litigating on agency contracts. On the other hand, and as far as I know, there is at least one judgment in Rome (Italy) dealing with the matter: Tribunale di Roma; Sezione Lavoro 4º, St. 2615 of 4 March 2024; R. G. n. 38445/2022.

    La legge contro l’ultra fast-fashion è stata concepita per fronteggiare la crescente preoccupazione riguardante l’impatto ambientale, economico e sulla salute provocato dall’inondazione del mercato con tessuti e accessori di moda da parte di giganti come SHEIN, TEMU, PRIMARK e altri. Queste aziende, spesso trascurando le conseguenze delle loro pratiche, hanno contribuito significativamente all’incremento delle emissioni di gas serra attribuite all’industria tessile, che ora si stima essere responsabile per circa l’8% del totale globale.

    In un contesto dove la produzione globale di abbigliamento ha visto un raddoppio in soli 14 anni e la durata di vita degli indumenti si è ridotta di un terzo, il marchio SHEIN ha registrato una crescita esponenziale del 100% tra il 2021 e il 2022, evidenziando ulteriormente la problematica del fast fashion che domina il mercato francese, nonostante in alcuni settori si stia vivendo una rinascita dell’artigianalità e del design made in France.

    La risposta delle autorità francesi si è concretizzata nel disegno di legge n. 2129, volto a ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile, proposto da un deputato del Governo e adottato all’unanimità dall’Assemblea Nazionale il 14 marzo 2024, che nelle prossime settimane verrà esaminato dal Senato con una procedura accelerata, prima della definitiva adozione.

    Questa normativa si propone di sensibilizzare i consumatori sull’importanza della sobrietà e della sostenibilità nell’industria della moda, promuovendo pratiche di riutilizzo, riparazione, e riciclaggio, e introducendo penalizzazioni per i produttori che non rispettano determinati standard ecologici.

    Di seguito le misure principali.

    1. Definizione legale di fast-fashion e obblighi informativi

    Viene istituita una definizione legale di fast-fashion, identificato come la pratica di “messa a disposizione o distribuzione di un gran numero di riferimenti a nuovi prodotti (…) anche attraverso un fornitore di mercato online” e gli operatori di questo settore hanno l’obbligo di “visualizzare sulle loro piattaforme di vendita online messaggi che incoraggino la sobrietà, il riutilizzo, la riparazione e il riciclaggio dei prodotti e che sensibilizzino sul loro impatto ambientale. Il messaggio deve essere visualizzato in modo chiaro, leggibile e comprensibile su qualsiasi formato utilizzato, in prossimità del prezzo. Il contenuto dei messaggi è definito per decreto.”

    Questa norma disciplina tutte le vendite online (anche su piattaforme) mentre non include le piattaforme per la rivendita di prodotti invenduti.

    La violazione di questa disposizione comporta sanzioni amministrative fino a 3.000 € per le persone fisiche e 15.000 € per le persone giuridiche.

    2. Limiti alla pubblicità (anche tramite influencer)

    Il disegno di legge vieta la pubblicità dei prodotti di fast fashion, anche tramite influencer, al fine di ridurre la promozione di pratiche insostenibili nell’industria della moda, incentivando così un cambiamento nei modelli di consumo.

    In caso di adozione definitiva, questa disposizione entrerà in vigore a partire dal 1o gennaio 2025.

    La violazione di questa disposizione comporta sanzioni amministrative fino a 20.000 € per le persone fisiche e 100.000 € per le persone giuridiche, e fino al raddoppio in caso di recidiva.

    3. Altri obblighi e sistema di disincentivi

    La legge riguarda tutti i produttori (industriali, fabbricanti, grossisti, importatori), distributori e rivenditori francesi al pubblico e prevede anche altri obblighi, come: l’adesione a un’organizzazione ecologica (Refashion), il pagamento di un eco-contributo, l’etichettatura conforme e l’obbligo di esporre i risultati della valutazione dell’impatto ambientale del prodotto, che può portare ad una sanzione o all’ottenimento di un bonus.

    Etichettatura e sull’eco-contributo CTA

    La legge AGEC prevede attualmente una sanzione massima del 20% del prezzo di vendita del prodotto, IVA esclusa, se questo presenta caratteristiche ambientali scadenti. Considerati i prezzi a cui i prodotti fast-fashion sono venduti ai consumatori, l’impatto sui produttori è minimo (ad esempio, una maglietta da 4 euro), pertanto ora la proposta è quella di innalzare questa sanzione a un massimo del 50% del prezzo di vendita del prodotto.

    Questa sanzione sarà determinata in base all’obbligo di mostrare l’analisi dell’impatto ambientale del prodotto. Le sanzioni saranno quindi fisse (e non in percentuale sul prezzo del prodotto), sotto forma di un malus progressivo fino al 2030:

    • 5 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2025
    • 6 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2026
    • 7 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2027
    • 8 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2028
    • 9 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2029
    • 10 euro per ogni prodotto immesso sul mercato nel 2030

    Con un limite massimo fissato al 50% del prezzo di vendita.

    Questo incremento avrà un impatto sul produttore un anno dopo, quando questi dichiarerà e verserà l’eco-contributo a Refashion e si applica esclusivamente ai produttori di prodotti di fast fashion. I fondi raccolti verranno utilizzati dagli organismi ecologici per finanziare infrastrutture di raccolta e riciclo in paesi al di fuori dell’Unione Europea.

    Le società straniere sono soggette a questi obblighi?

    Sì, se l’azienda ha sede legale all’estero, ma effettua vendite in Francia, sarà soggetta alle stesse obbligazioni e sanzioni previste dalla legislazione francese, secondo il principio del “produttore esteso”, stabilito dall’articolo L541-10 del codice dell’ambiente francese.

    Le società straniere dovranno nominare un rappresentante in Francia a tal fine e non potranno in alcun modo aggirare gli obblighi e le sanzioni stabilite dalla normativa in oggetto.

    A cosa prestare attenzione, adesso?

    Il Senato sta attualmente esaminando il testo legislativo.

    Parallelamente, il governo francese sta pianificando due iniziative aggiuntive: primo, avviare una campagna comunicativa per valorizzare il settore tessile francese e combattere l’ultra fast-fashion; secondo, proporre la creazione di una coalizione internazionale con l’obiettivo di vietare l’esportazione di rifiuti tessili verso i paesi incapaci di gestirli in maniera sostenibile, in linea con le disposizioni della Convenzione di Basilea. è attualmente all’esame del Senato.

    Inoltre, è prevista la pubblicazione di un decreto che stabilirà i livelli di produzione, definendo così i produttori interessati da queste misure. Chiaramente questo decreto avrà un impatto estremamente rilevante, perché a seconda dei limiti individuati (si sta discutendo se individuare un limite giornaliero o annuale minimo di capi di abbigliamento) definirà il perimetro di applicazione della norma.

    The commercial agent has the right to obtain certain information about the sales of the principal. The Spanish Law on Agency Contracts provides (15.2 LCA) that the agent has the right to demand to see the accounts of the principal in order to verify all matters relating to the commissions due to him. And also, to be provided with the information available to the principal and necessary to verify the amount of such commissions.

    This article is in line with the 1986 Commercial Agents Directive, according to which (12.3) the agent is entitled to demand to be provided with all information at the disposal of the principal, particularly an extract from the books of account, which is necessary to verify the amount of commission due to the agent. This may not be altered to the detriment of the commercial agent by agreement.

    The question is, does this right remain even after the termination of the agency contract? In other words: once the agency contract is terminated, can the agent request the information and documentation mentioned in these articles and is the Principal obliged to provide it?

    In our opinion, the rule does not say anything that limits this right, rather the opposite is to be expected. Therefore, to the extent that there is still any possible commission that may arise from such verification, the answer must be yes. Let us see.

    The right to demand the production of accounts exists so that the agent can verify the amount of commissions. And the agent is entitled to commissions for acts and operations concluded during the term of the contract (art. 12 LCA), but also for acts or operations concluded after the termination of the contract (art. 13 LCA), and for operations not carried out due to circumstances attributable to the principal (art. 17 LCA). In addition, the agent is entitled to have the commission accrued at the time when the act or transaction should have been executed (art. 14 LCA).

    All these transactions can take place after the conclusion of the contract. Consider the usual situation where orders are placed during the contract but are accepted or executed afterwards. To reduce the agent’s right to be informed only during the term of the contract would be to limit his entitlement to the corresponding commission unduly. And it should be borne in mind that the amount of the commissions during the last five years may also influence the calculation of the client (goodwill) indemnity (art. 28 LCA), so that the agent’s interest in knowing them is twofold: what he would receive as commission, and what could increase the basis for future indemnity.

    This has been confirmed, for example, by the Provincial Court (Audiencia Provincial) of Madrid (AAP 227/2017, of 29 June [ECLI:ES:APM:2017:2873A]) which textually states:

    […] art. 15.2 of the Agency Contract Act provides for the right of the agent to demand the exhibition of the Principal’s accounts in the particulars necessary to verify everything relating to the commissions corresponding to him, as well as to be provided with the information available to the Principal and necessary to verify the amount. This does not prevent, […], the agency contract having already been terminated, as this does not imply that commissions would cease to accrue for policies, contracted with the mediation of the agent, which remain in force.

    The question then arises as to whether this right to information is unlimited in time. And here the answer would be in the negative. The limitation of the right to receive information would be linked to the statute of limitations of the right to claim the corresponding commission. If the right to receive the commission were undoubtedly time-barred, it could be argued that it would not be possible to receive information about it. But for such an exception, the statute of limitations must be clear, therefore, taking into account possible interruptions due to claims, even extrajudicial ones. In case of doubt, it will be necessary to recognise the right to demand the information, without prejudice to later invoking and recognising the impossibility of claiming the commission if the right is time-barred. And for this we must consider the limitation period for claiming commissions (in general, three years) and that of the right to claim compensation for clientele (one year).

    In short: it does not seem that the right to receive information and to examine the principal’s documentation is limited by the term of the agency contract; although, on the other hand, it would be appropriate to analyse the possible limitation period for claiming commissions. In the absence of a clear answer to this question, the right to information should, in our opinion, prevail, without prejudice to the fact that the result may not entitle the claim because it is time-barred.

    SUMMARY: In large-scale events such as the Paris Olympics certain companies will attempt to “wildly” associate their brand with the event through a practice called “ambush marketing”, defined by caselaw as “an advertising strategy implemented by a company in order to associate its commercial image with that of an event, and thus to benefit from the media impact of said event, without paying the related rights and without first obtaining the event organizer’s authorization” (Paris Court of Appeal, June 8, 2018, Case No 17/12912). A risky and punishable practice, that might sometimes yet be an option yet.

    Key takeaways

    • Ambush marketing might be a punished practice but is not prohibited as such;
    • As a counterpart of their investment, sponsors and official partners benefit from an extensive legal protection against all forms of ambush marketing in the event concerned, through various general texts (counterfeiting, parasitism, intellectual property) or more specific ones (e.g. sport law);
    • The Olympics Games are subject to specific regulations that further strengthen this protection, particularly in terms of intellectual property.
    • But these rights are not absolute, and they are still thin opportunities for astute ambush marketing.

    The protection offered to sponsors and official partners of sporting and cultural events from ambush marketing

    With a budget of over 4 billion euros, the 2024 Olympic and Paralympic Games are financed mostly by various official partners and sponsors, who in return benefit from a right to use Olympic and Paralympic properties to be able to associate their own brand image and distinctive signs with these events.

    Ambush marketing is not punishable as such under French law, but several scattered texts provide extensive protection against ambush marketing for sponsors and partners of sporting or cultural continental-wide or world-wide events. Indeed, sponsors are legitimately entitled to peacefully enjoy the rights offered to them in return for large-scale investments in events such as the FIFA or rugby World Cups, or the Olympic Games.

    In particular, official sponsors and organizers of such events may invoke:

    • the “classic” protections offered by intellectual property law (trademark law and copyright) in the context of infringement actions based on the French Intellectual Property Code,
    • tort law (parasitism and unfair competition based on article 1240 of the French Civil Code);
    • consumer law (misleading commercial practices) based on the French Consumer Code,
    • but also more specific texts such as the protection of the exploitation rights of sports federations and sports event organizers derived from the events or competitions they organize, as set out in article L.333-1 of the French Sports Code, which gives sports event organizers an exploitation monopoly.

    The following ambush marketing practices were sanctioned on the abovementioned grounds:

    • The use of a tennis competition name and of the trademark associated with it during the sporting event: The organization of online bets, by an online betting operator, on the Roland Garros tournament, using the protected sign and trademark Roland Garros to target the matches on which the bets were organized. The unlawful exploitation of the sporting event, was punished and 400 K€ were allowed as damages, based on article L. 333-1 of the French Sports Code, since only the French Tennis Federation (F.F.T.) owns the right to exploit Roland Garros. The use of the trademark was also punished as counterfeiting (with 300 K€ damages) and parasitism (with 500 K€ damages) (Paris Court of Appeal, Oct. 14, 2009, Case No 08/19179);
    • An advertising campaign taking place during a film festival and reproducing the event’s trademark: The organization, during the Cannes Film Festival, of a digital advertising campaign by a cosmetics brand through the publication on its social networks of videos showing the beauty makeovers of the brand’s muses, in some of which the official poster of the Cannes Film Festival was visible, one of which reproduced the registered trademark of the “Palme d’Or”, was punished on the grounds of copyright infringement and parasitism with a 50 K€ indemnity (Paris Judicial Court, Dec. 11, 2020, Case No19/08543);
    • An advertising campaign aimed at falsely claiming to be an official partner of an event: The use, during the Cannes Film Festival, of the slogan “official hairdresser for women” together with the expressions “Cannes” and “Cannes Festival”, and other publications falsely leading the public to believe that the hairdresser was an official partner, to the detriment of the only official hairdresser of the Cannes festival, was punished on the grounds of unfair competition and parasitism with a 50 K€ indemnity (Paris Court of Appeal, June 8, 2018, Case No 17/12912).

    These financial penalties may be combined with injunctions to cease these behaviors, and/or publication in the press under penalty.

    An even greater protection for the Paris 2024 Olympic Games

    The Paris 2024 Olympic Games are also subject to specific regulations.

    Firstly, Article L.141-5 of the French Sports Code, enacted for the benefit of the “Comité national olympique et sportif français” (CNOSF) and the “Comité de l’organisation des Jeux Olympiques et Paralympiques de Paris 2024” (COJOP), protects Olympic signs such as the national Olympic emblems, but also the emblems, the flag, motto and Olympic symbol, Olympic anthem, logo, mascot, slogan and posters of the Olympic Games, the year of the Olympic Games “city + year”, the terms “Jeux Olympiques”, “Olympisme”, “Olympiade”, “JO”, “olympique”, “olympien” and “olympienne”. Under no circumstances may these signs be reproduced or even imitated by third-party companies. The COJOP has also published a guide to the protection of the Olympic trademark, outlining the protected symbols, trademarks and signs, as well as the protection of the official partners of the Olympic Games.

    Secondly, Law no. 2018-202 of March 26, 2018 on the organization of the 2024 Olympic and Paralympic Games adds even more specific prohibitions, such as the reservation for official sponsors of advertising space located near Olympic venues, or located on the Olympic and Paralympic torch route. This protection is unique in the context of the Olympic Games, but usually unregulated in the context of simple sporting events.

    The following practices, for example, have already been sanctioned on the above-mentioned grounds:

    • Reproduction of a logo imitating the well-known “Olympic” trademark on a clothing collection: The marketing of a collection of clothing, during the 2016 Olympic Games, bearing a logo (five hearts in the colors of the 5 Olympic colors intersecting in the image of the Olympic logo) imitating the Olympic symbol in association with the words “RIO” and “RIO 2016”, was punished on the grounds of parasitism (10 K€ damages) and articles L. 141-5 of the French Sports Code (35 K€) and L. 713-1 of the French Intellectual Property Code (10 K€ damages) (Paris Judicial Court, June 7, 2018, Case No16/10605);
    • The organization of a contest on social networks using protected symbols: During the 2018 Olympic Games in PyeongChang, a car rental company organized an online game inviting Internet users to nominate the athletes they wanted to win a clock radio, associated with the hashtags “#JO2018” (“#OJ2018”), “#Jeuxolympiques” (“#Olympicsgame”) or “C’est parti pour les jeux Olympiques” (“let’s go for the Olympic Games”) without authorization from the CNOSF, owner of these distinctive signs under the 2018 law and article L.141-5 of the French Sport Code and punished on these grounds with 20 K€ damages and of 10 K€ damages for parasitism (Paris Judicial Court, May 29, 2020, n°18/14115).

    These regulations offer official partners greater protection for their investments against ambush marketing practices from non-official sponsors.

    Some marketing operations might be exempted

    An analysis of case law and promotional practices nonetheless reveals the contours of certain advertising practices that could be authorized (i.e. not sanctioned by the above-mentioned texts), provided they are skillfully prepared and presented. Here are a few exemples :

    • Communication of information for advertising purposes: The use of the results of a rugby match and the announcement of a forthcoming match in a newspaper to promote a motor vehicle and its distinctive features was deemed lawful: “France 13 Angleterre 24 – the Fiat 500 congratulates England on its victory and looks forward to seeing the French team on March 9 for France-Italy” (France 13 Angleterre 24 – la Fiat 500 félicite l’Angleterre pour sa victoire et donne rendez-vous à l’équipe de France le 9 mars pour France-Italie) the judges having considered that this publication “merely reproduces a current sporting result, acquired and made public on the front page of the sports newspaper, and refers to a future match also known as already announced by the newspaper in a news article” (Court of cassation, May 20, 2014, Case No 13-12.102).
    • Sponsorship of athletes, including those taking part in Olympic competitions: Subject to compliance with the applicable regulatory framework, particularly as regards models, any company may enter into partnerships with athletes taking part in the Olympic Games, for example by donating clothing bearing the desired logo or brand, which they could wear during their participation in the various events. Athletes may also, under certain conditions, broadcast acknowledgements from their partner (even if unofficial). Rule 40 of the Olympic Charter governs the use of athletes’, coaches’ and officials’ images for advertising purposes during the Olympic Games.

    The combined legal and marketing approach to the conception and preparation of the message of such a communication operation is essential to avoid legal proceedings, particularly on the grounds of parasitism; one might therefore legitimately contemplate advertising campaigns, particularly clever, or even malicious ones.

    In questo primo episodio delle serie Distribution Talks di Legalmondo, ho parlato con Ignacio Alonso, avvocato di Madrid con una vasta esperienza in materia di distribuzione commerciale internazionale.

    Principali punti della discussione:

    • in Spagna non esiste una legge specifica per gli accordi di distribuzione, che sono regolati dalle norme generali del codice del commercio;
    • è importante dunque redigere un contratto chiaro e completo, che sarà la fonte principale dei diritti e delle obbligazioni delle parti;
    • è anche bene conoscere la giurisprudenza spagnola in materia di distribuzione commerciale, che in alcuni casi applica per analogia la legge sull’agenzia commerciale.
    • le problematiche più comuni che coinvolgono produttori stranieri che distribuiscono in Spagna nascono al momento della cessazione del rapporto, in particolare perché la giurisprudenza riconosce al distributore cessato un’indennità di clientela o avviamento, se ricorrono presupposti simili a quelli previsti dalla normativa agenziale.
    • un’altra vertenza frequente riguarda la congruità del preavviso per il recesso dal contratto, specie se non esiste un patto tra le parti: il consiglio è di seguire quanto prevede la normativa agenziale, e dunque stabilire un preavviso minimo di un mese per ogni anno di durata del contratto, sino a 6 mesi per accordi che durano da più di 5 anni;
    • per quanto riguarda gli strumenti per la risoluzione delle controversie, la mediazione è una possibilità da considerare con attenzione, perché è rapida, economica e consente di ricercare una soluzione condivisa in modo flessibile, senza interrompere la relazione commerciale.
    • se la mediazione fallisce, le parti possono prevedere il ricorso all’arbitrato o al giudice statale: la scelta dipende dalle circostanze specifiche del caso e un fattore a favore della giurisdizione è la possibilità di appello, che è invece esclusa nel caso di arbitrato.

     

    Approfondimenti

    https://youtu.be/ZmNjMrdKDJM?si=ySCcUf_Hz25nQN3Y

    Sintesi

    il 1° giugno 2022, il Regolamento UE n. 720/2022, ovvero il nuovo Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (anche “Vertical Block Exemption Regulation”, di seguito: “VBER”), ha sostituito la precedente versione (Regolamento UE n. 330/2010), scaduta il 31 maggio 2022.

    Il nuovo VBER e le nuove linee guida verticali (di seguito: “Linee guida”) hanno recepito le principali osservazioni raccolte durante la vigenza del precedente VBER e contengono alcune disposizioni rilevanti per la disciplina di tutti gli accordi B2B tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura.

    In questo articolo ci concentreremo sull’impatto del nuovo VBER sulle vendite tramite le piattaforme digitali, elencando le principali novità che impattano sulle catene distributive, tra cui anche le piattaforme per la commercializzazione di prodotti/servizi.

    La disciplina generale degli accordi verticali

    L’articolo 101(1) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) vieta tutti gli accordi che impediscono, restringono o falsano la concorrenza all’interno del mercato dell’UE, e ne elenca anche le principali tipologie, tra cui la fissazione dei prezzi, la compartimentazione dei mercati, le limitazioni alla produzione/sviluppo/investimenti, le clausole abusive, ecc.

    Tuttavia, l’articolo 101(3) del TFUE esenta da tali restrizioni gli accordi che contribuiscono a migliorare il mercato dell’UE, i quali dovranno essere individuati in un apposito regolamento di categoria. Il VBER è il regolamento che definisce la categoria degli accordi verticali (cioè gli accordi tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura), determinando quali di questi accordi sono esenti dal divieto di cui all’articolo 101(1) del TFUE.

    In breve, si presume che gli accordi verticali siano esenti (e quindi validi) se non contengono le cosiddette “restrizioni fondamentali” (cioè gravi restrizioni della concorrenza, come il divieto assoluto di vendita in un territorio o la determinazione da parte del produttore del prezzo di rivendita del distributore) e se la quota di mercato di nessuna delle parti supera il 30%.

    Gli accordi esenti beneficiano di quello che è stato definito il “safe harbour” (porto sicuro) del VBER. Gli altri, invece, saranno soggetti al divieto generale di cui all’articolo 101(1) del TFUE, a meno che non possano beneficiare di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101(3) del TFUE.

    Le novità introdotte dal nuovo VBER per le piattaforme online

    Il primo aspetto rilevante riguarda la classificazione delle piattaforme, in quanto la Commissione europea ha escluso che le piattaforme online generalmente operino come agenti di commercio.

    Mentre non ci sono mai stati dubbi riguardo alle piattaforme che operano acquistando e rivendendo prodotti (esempio classico: Amazon Retail), ne erano sorti diversi riguardo a quelle piattaforme che si limitano a promuovere i prodotti di terzi, senza svolgere l’attività di acquisto e rivendita (esempio classico: Amazon Marketplace).

    Con l’introduzione della nuova versione del VBER, la Commissione europea ha voluto sgombrare il campo da qualunque dubbio, esplicitando che i fornitori di servizi di intermediazione (come le piattaforme online) si qualificano come fornitori (e non come agenti commerciali) ai sensi del VBER. Ciò riflette l’approccio del Regolamento (UE) 2019/1150 (“Regolamento P2B”), che per la prima volta ha dettato una disciplina specifica per le piattaforme digitali. Il regolamento prevede una serie di regole per creare un “ambiente equo, trasparente e prevedibile per le imprese e i clienti più piccoli” e secondo la ratio del Digital Markets Act, che vieta alcune pratiche utilizzate dalle grandi piattaforme che agiscono come “gatekeeper”.

    Di conseguenza, tutti i contratti conclusi tra produttori e piattaforme (definite come “fornitori di servizi di intermediazione online”) sono soggetti a tutte le restrizioni imposte dal VBER, come quelle inerenti alla determinazione del prezzo, dei territori in cui o i clienti ai quali possono essere venduti i beni o i servizi intermediati, o ancora le restrizioni relative alla pubblicità e alla vendita online.

    Così, per fare un esempio, l’operatore di una piattaforma non può imporre al produttore un prezzo di vendita fisso o minimo per una transazione promossa attraverso la piattaforma stessa.

    Il secondo aspetto di maggiore impatto riguarda le piattaforme ibride, ossia le piattaforme che operano anche nel mercato rilevante per la vendita di beni o servizi intermediati. Amazon è l’esempio più noto, in quanto è al contempo un fornitore di servizi di intermediazione (“Amazon Marketplace”) e, allo stesso tempo, distribuisce i prodotti di queste parti (“Amazon Retail”). Abbiamo già approfondito la distinzione tra questi due modelli di business (e le conseguenze in termini di violazione della proprietà intellettuale) qui.

    Il nuovo VBER esplicitamente non si applica alle piattaforme ibride. Pertanto, gli accordi conclusi tra tali piattaforme e i produttori sono soggetti alle limitazioni del TFUE, in quanto tali fornitori possono avere un incentivo a favorire le proprie vendite, nonché la capacità di influenzare l’esito della concorrenza tra le imprese che utilizzano i loro servizi di intermediazione online.

    Tali accordi devono essere valutati singolarmente ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, in quanto non limitano necessariamente la concorrenza ai sensi del TFUE, oppure possono soddisfare le condizioni di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

    Il terzo aspetto più rilevante riguarda gli obblighi di parità (detti anche clausole della nazione più favorita o “most favoured nation”, MFN), ossia le disposizioni contrattuali tramite cui un venditore (direttamente o anche indirettamente) si impegna a offrire all’acquirente le migliori condizioni tra quelle che mette a disposizione di qualsiasi altro acquirente. La previsione è di particolare rilievo perché i termini contrattuali delle piattaforme contengono spesso clausole di obbligo di parità, al fine di impedire agli utenti di offrire i loro prodotti/servizi a prezzi inferiori o a condizioni migliori sui loro siti web o su altre piattaforme.

    Il nuovo VBER si occupa esplicitamente delle clausole di parità, distinguendo tra clausole il cui scopo è quello di vietare agli utenti di una piattaforma di vendere beni o servizi a condizioni più favorevoli attraverso piattaforme concorrenti (le cosiddette “clausole di parità ampia“), e clausole che vietano le vendite a condizioni più favorevoli solo per quanto riguarda i canali gestiti direttamente dagli utenti (le cosiddette “clausole di parità stretta“).

    Le clausole di parità ampia non beneficiano dell’esenzione VBER; pertanto, tali obblighi devono essere valutati individualmente ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

    D’altro canto, le clausole di parità stretta continuano a beneficiare dell’esenzione già concessa dal vecchio VBER se non superano la soglia del 30% della quota di mercato rilevante stabilita dall’articolo 3 del nuovo VBER. Tuttavia, le nuove linee guida mettono in guardia rispetto all’utilizzo di obblighi di parità eccessivamente ristretti da parte di piattaforme online che coprono una quota significativa di utenti, affermando che se non vi sono prove di effetti pro-concorrenziali, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato.

    Impatto e conseguenze

    Il nuovo VBER è entrato in vigore il 1° giugno 2022 ed è già applicabile agli accordi firmati dopo tale data. Gli accordi già in vigore al 31 maggio 2022 che soddisfano le condizioni per l’esenzione ai sensi dell’attuale VBER ma non soddisfano i requisiti del nuovo VBER beneficeranno di un periodo di transizione di un anno.

    Il nuovo regime sarà il campo di gioco per tutte le vendite su piattaforma nei prossimi 12 anni (il regolamento scade il 31 maggio 2034). Ad oggi, le novità piuttosto restrittive sulle piattaforme ibride e gli obblighi di parità renderanno probabilmente necessarie revisioni sostanziali degli accordi commerciali esistenti.

    Ecco, quindi, alcuni consigli per gestire i contratti e i rapporti con le piattaforme online:

    • il nuovo VBER è l’occasione giusta per rivedere le reti di distribuzione esistenti. La revisione dovrà considerare non solo i nuovi limiti normativi (ad esempio, il divieto di clausole di parità ampia), ma anche la nuova disciplina riservata alle piattaforme ibride e alla distribuzione duale, al fine di coordinare i diversi canali distributivi nel modo più efficiente possibile, secondo i paletti fissati dal nuovo VBER e dalle Linee Guida;
    • è probabile che le piattaforme giochino un ruolo ancora più importante nel prossimo decennio; è quindi essenziale considerare questi canali di vendita fin dall’inizio, coordinandoli con gli altri già esistenti (vendita al dettaglio, vendita diretta, distributori, ecc.) per evitare di compromettere la commercializzazione di prodotti o servizi;
    • l’attenzione del legislatore europeo verso le piattaforme sta crescendo. Osservando la disciplina a partire dal VBER, non bisognerebbe dimenticare che le piattaforme sono soggette a una moltitudine di altri regolamenti europei, che stanno gradualmente disciplinando il settore e che devono essere presi in considerazione quando si stipulano contratti con le piattaforme stesse. Il riferimento non è solo al recente Digital Market Act e al Regolamento P2B, ma anche alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale sulle piattaforme, che – come abbiamo già visto – è una questione tuttora aperta.

    Matthia Hesshaus

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