Il Contratto quadro di fornitura
20 Marzo 2023
- Commercio internazionale
- Contratti
- Distribuzione
Riassunto
Per evitare dispute con i fornitori importanti, è consigliabile pianificare gli acquisti a medio e lungo termine e non operare solo sulla base si ordini e conferme d’ordine. La pianificazione consente di concordare la durata dell’ accordo di fornitura, i volumi minimi dei prodotti da consegnare e le tempistiche di consegna, i prezzi e le condizioni alle quali i prezzi possono essere variati nel tempo.
L’utilizzo di un contratto quadro di acquisto può aiutare a evitare incertezze future e consente di utilizzare varie opzioni per gestire le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime a seconda della tipologia di prodotti , come l’indicizzazione automatica del prezzo o l’accordo di rinegoziazione in caso di oscillazioni della materia prima oltre un certo termine di tolleranza stabilito.
Leggo in un comunicato stampa: “In questi giorni l’industria del vetro sta inviando alle imprese vitivinicole nuove modifiche unilaterali dei contratti con variazioni dei prezzi del 20%...”
Cosa si può fare per evitare l’imposizione di aumenti da parte dei fornitori?
- Conoscere i propri diritti e agire in modo informato
- Pianificare e organizzare la supply chain
Il mio fornitore ha diritto ad aumentare i prezzi?
Se i contratti sono già stati conclusi, ad esempio gli ordini sono già stati confermati dal fornitore, la risposta è spesso no.
Non è legittimo richiedere la variazione del prezzo, e meno ancora comunicarla in via unilaterale, con la minaccia di annullare l’ordine o non consegnare la merce se non venisse accolta la richiesta.
Se mi dice che si tratta di forza maggiore?
È sbagliato: l’aumento dei costi non rappresenta una causa di forza maggiore, ma semmai di eccessiva onerosità sopravvenuta, che è molto difficile ricorra.
Per approfondire questo punto puoi vedere questo video.
E se il fornitore annullasse l’ordine, aumentasse unilateralmente il prezzo, o non consegnasse la merce?
Sarebbe inadempiente e sarebbe tenuto a risarcire i danni causati dal mancato rispetto dei suoi obblighi contrattuali.
Come si può evitare il braccio di ferro con i fornitori?
Gli strumenti ci sono, basta conoscerli e usarli.
Occorre pianificare gli acquisti a medio termine, concordando con i fornitori un programma nel quale si stabiliscano:
- le quantità di prodotti che verranno ordinate
- i termini di consegna
- la durata dell’accordo
- i prezzi dei prodotti o delle materie prime
- le condizioni alle quali i prezzi possono essere variati
Esiste uno strumento molto efficace
L’accordo che si può utilizzare è il contratto quadro di acquisto, con il quale le parti negoziano gli elementi sopra indicati, che saranno validi per il periodo di tempo stabilito.
Una volta concluso l’accordo, seguiranno gli ordini dei prodotti, che saranno regolati dal contratto quadro, senza bisogno di rinegoziare ogni volta il contenuto delle singole forniture.
Per un approfondimento su questo contratto, vedi questo articolo.
- Sì ma: i miei fornitori non me lo firmeranno mai!
Perché? Fatevelo spiegare.
Questo tipo di accordo è nell’interesse di entrambe le parti, perché consente di pianificare i futuri ordinativi e di avere certezza sul se, quando e quanto possa essere cambiato il prezzo.
Al contrario, agire senza accordi scritti obbliga le parti ad operare in un contesto di incertezza, nel quale da un giorno all’altro si possono chiedere aumenti di prezzi e rifiutare le forniture se le richieste non vengono accettate.
Come si disciplinano i cambiamenti del prezzo per le forniture future?
Esistono diverse possibilità, a seconda della tipologia di prodotti o servizi e delle materie prime o dell’energia rilevanti nella determinazione del prezzo finale.
- Una prima opzione è quella di indicizzare automaticamente il prezzo: ad esempio se il costo del barile del petrolio Brent aumenta / diminuisce del 10%, la parte interessata ha diritto a richiedere un corrispettivo adeguamento del prezzo del prodotto in tutti gli ordinativi trasmessi a partire dalla settimana successiva.
- Un’alternativa è prevedere che in caso di oscillazione della materia prima di riferimento (ad esempio l’indice LME Aluminium del London Stock Exchange) oltre una certa soglia, la parte interessata possa chiedere di rinegoziare il prezzo per gli ordinativi del periodo successivo all’aumento.
E se le parti non si mettessero d’accordo sui nuovi prezzi?
- È possibile prevedere che il contratto si sciolga, o che la determinazione sia rimessa ad un terzo soggetto, che agisca come arbitratore e indichi i nuovi prezzi per i futuri ordini.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Phil Knight, fondatore di Nike, iniziò la sua carriera nel 1964, importando negli USA il marchio giapponese Onitsuka Tiger, conquistando rapidamente una quota del 70% del mercato delle scarpe da corsa.
Quando Knight seppe che Onitsuka stava cercando un altro distributore, creò il marchio Nike.
Questo portò a due cause legali tra le aziende, risolte con accordo che consentì a Nike di divenire il marchio di abbigliamento sportivo di maggior successo al mondo.
Questo articolo esamina in modo pratico gli insegnamenti che si possono trarre da questa controversia, come ad esempio come negoziare un accordo di distribuzione internazionale, come definire l’esclusività contrattuale e le clausole di fatturato minimo, la durata del contratto, la proprietà dei marchi, le clausole di risoluzione delle controversie e altro ancora.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La vertenza tra Blue Ribbon vs. Onitsuka Tiger e la nascita del marchio Nike
- Come negoziare un contratto di distribuzione internazionale
- L’esclusiva contrattuale in un accordo di distribuzione commerciale
- Gli obiettivi del contratto di distribuzione in esclusiva
- La durata del contratto di distribuzione all’estero
- Il periodo di preavviso per il recesso da un contratto di distribuzione commerciale
- La gestione dello stock di prodotti dopo la cessazione del contratto
- La titolarità dei marchi nella distribuzione commerciale
- L’importanza della mediazione nei contratti di distribuzione commerciale internazionale
- Le clausole di risoluzione delle controversie internazionali
La vertenza Blue Ribbon vs Onitsuka Tiger e la nascita di Nike
Perché il marchio di abbigliamento sportivo più celebre al mondo è Nike e non Onitsuka Tiger?
Shoe Dog è la biografia del creatore di Nike, Phil Knight: per gli amanti del genere, ma non solo, il libro è veramente molto bello e ne consiglio la lettura.
Mosso dalla propria passione per la corsa e dall’intuizione che vi fosse uno spazio nel mercato americano delle scarpe da atletica, al tempo dominato da Adidas, Knight iniziò per primo, nel 1964, ad importare negli USA un brand di scarpe da atletica giapponese, Onitsuka Tiger, arrivando a conquistare in 6 anni una quota del 70% del mercato.
La società fondata da Knight e dal suo ex-allenatore di atletica ai tempi del college, Bill Bowerman, si chiamava Blue Ribbon Sports.
La relazione commerciale tra Blue Ribbon-Nike e il produttore giapponese Onitsuka Tiger fu, sin dall’inizio, molto movimentata, nonostante le vendite delle scarpe negli USA andassero molto bene e le prospettive di crescita fossero positive.
Quando, poco tempo dopo avere rinnovato il contratto con il produttore giapponese, Knight venne a sapere che Onitsuka stava cercando un altro distributore negli USA, temendo di trovarsi tagliato fuori dal mercato, decise di cercare un altro fornitore in Giappone e di creare un proprio marchio, Nike.
Venuto a conoscenza del progetto Nike, il produttore giapponese contestò a Blue Ribbon la violazione del patto di non concorrenza, che vietava al distributore di importare altri prodotti fabbricati in Giappone, dichiarando l’immediata risoluzione del contratto per inadempimento di Blue Ribbon.
A sua volta, Blue Ribbon sostenne che l’inadempimento sarebbe stato di Onitsuka Tiger, che aveva iniziato ad incontrare altri potenziali distributori quando il contratto era ancora in corso di validità e l’andamento dell’attività molto positivo.
Ne derivarono due cause, una in Giappone e una negli USA, che avrebbero potuto porre termine prematuramente alla storia di Nike. Fortunatamente (per Nike) il Giudice americano decise a favore del distributore e la vertenza si chiuse con un accordo: Nike iniziava così il percorso che l’avrebbe portata 15 anni dopo a diventare il brand di articoli sportivi più importante al mondo.
Vediamo cosa ci insegna la storia di Nike e quali errori è bene evitare in un contratto di distribuzione internazionale.
Come negoziare un contratto di distribuzione commerciale internazionale
Come accade molto spesso a tanti imprenditori, Knight aveva negoziato il rinnovo dell’accordo di distribuzione dei prodotti Onitusuka negli USA da solo, senza l’assistenza di un avvocato.
Nella sua biografia Knight scrive che si pentì subito di avere legato il futuro della sua società ad un accordo di poche righe, scritto frettolosamente al termine di una riunione in cui le parti si erano focailizzate sugli aspetti commerciali del rapporto.
Il contratto prevedeva solamente il rinnovo del diritto di Blue Ribbon di distribuire i prodotti in esclusiva per gli USA per altri tre anni.
Accade spesso che i contratti di distribuzione internazionale siano affidati ad accordi verbali o contratti molto semplici e di durata breve: la spiegazione che viene fornita, solitamente, è che così facendo si può testare la relazione commerciale sul campo, senza vincolarsi troppo alla controparte.
Questo modo di fare, però, è sbagliato e pericoloso: il contratto non va visto come un onere o un vincolo, ma come una garanzia dei diritti di entrambe le parti. Non concludere un contratto scritto, o farlo in modo molto sbrigativo, significa lasciare senza patti chiari elementi fondamentali del futuro rapporto, come quelli che hanno portato alla vertenza tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger: obiettivi commerciali, investimenti, titolarità dei marchi.
Se il contratto è internazionale l’esigenza di redigere un accordo completo ed equilibrato è ancor più forte, visto che in assenza di patti tra le parti, o in via integrativa a questi accordi, si applica una legge con la quale una delle parti non ha familiarità, che generalmente è quella del paese in cui opera il distributore.
Nel caso di Blue Ribbon si trattava di un accordo dal quale dipendeva l’esistenza stessa della società, motivo per il quale non coinvolgere un legale specializzato, che potesse aiutare l’imprenditore ad individuare e negoziare le clausole importanti dell’accordo, era stato un comportamento molto imprudente.
L’esclusiva territoriale, gli Obiettivi commerciali e i Target di fatturato minimo
Il primo motivo di contrasto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger fu la diversa valutazione dell’andamento delle vendite sul mercato USA.
Onitsuka sosteneva che il fatturato fosse inferiore alle potenzialità del mercato USA, mentre secondo Blue Ribbon il trend di vendite era molto positivo, visto che sino a quel momento aveva raddoppiato ogni anno il fatturato, conquistando una fetta importante del mercato del settore.
Venuta a conoscenza che Onituska stava valutando altri candidati per la distribuzione dei prodotti negli USA e temendo di trovarsi fuori dal mercato, Blue Ribbon preparò come Piano B il brand Nike: quando ciò venne scoperto dal produttore giapponese la situazione precipitò e sfociò nel contenzioso giudiziario tra le parti.
La vertenza avrebbe forse potuto essere evitata se le parti avessero condiviso gli obiettivi commerciali e il contratto avesse previsto una clausola abbastanza standard negli accordi di distribuzione esclusiva, ossia un obiettivo minimo di vendita da parte del distributore (in inglese spesso definite “Minimum Turnover Clause”).
In un contratto di distribuzione in esclusiva il produttore concede al distributore una forte protezione territoriale a fronte degli investimenti che il distributore pone in essere per sviluppare il mercato assegnatogli.
Per bilanciare la concessione dell’esclusiva è normale che il produttore richieda al distributore il cosiddetto Fatturato Minimo Garantito o Target Minimo, che deve essere raggiunto dal distributore ogni anno per mantenere lo status privilegiato che gli è stato concesso.
In caso di mancato raggiungimento del Target Minimo, il contratto generalmente prevede che il produttore abbia il diritto di recedere dal contratto (nel caso di accordo a tempo indeterminato) o di non rinnovare l’accordo (se il contratto è a tempo determinato) o di revocare o restringere l’esclusiva territoriale.
Nel contratto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger l’accordo non prevedeva alcun obiettivo (ed infatti per le parti si trovarono in disaccordo nel valutare i risultati del distributore) ed era stato appena rinnovato per tre anni, senza però che le parti avessero voluto, o saputo, fissare gli obiettivi del distributore. Un elemento cardine dell’accordo, quindi, era rimasto indeterminato.
Come si possono prevedere gli obiettivi di fatturato minimo in un contratto pluriennale?
In mancanza di elementi certi, spesso le parti si affidano a meccanismi di incremento percentuale predeterminati: +10% il secondo anno, + 30% il terzo anni, + 50% il quarto, e così via.
Il problema di tale automatismo è che i target vengono concordati senza avere a disposizione i dati reali sulle potenzialità del prodotto sul mercato e sull’andamento delle vendite dei concorrenti e possono quindi rivelarsi molto distanti dalle attuali possibilità di vendita da parte del distributore.
Contestare al distributore di non avere raggiunto il target del secondo o terzo anno in una congiuntura economica recessiva, ad esempio, o nel caso in cui siano arrivati sul mercato nuovi prodotti o concorrenti, sarebbero decisioni certamente discutibili e fonte di probabili divergenze.
Meglio prevedere una procedura di determinazione consensuale dei target di anno in anno, stabilendo che gli obiettivi verranno concordati tra le parti alla luce dei dati raccolti e dell’andamento delle vendite nei mesi precedenti, con un certo preavviso prima del termine dell’anno in corso. In caso di mancato accordo sul nuovo target, il contratto può prevedere che si applichi il target dell’anno precedente, o il diritto di recesso in capo alle parti, con un certo preavviso.
Va ricordato, d’altro canto, che il target può anche essere utilizzato come incentivo positivo per il distributore: si può prevedere, ad esempio, che se verrà raggiunto un certo fatturato ciò consentirà di rinnovare l’accordo per un periodo più lungo, o di estendere l’esclusiva territoriale, o di ottenere certi sconti o agevolazioni commerciali per l’anno successivo.
Un ultimo consiglio è quello di ricordarsi che il contratto, una volta negoziato e concluso, va gestito nel tempo in maniera puntuale e corretta.
Accade spesso che il produttore non contesti il mancato raggiungimento del target, o decida di farlo solo dopo un lungo periodo nel quale i target annuali non erano stati raggiunti, o non erano stati aggiornati, senza che ciò portasse ad alcuna conseguenza sul contratto.
In tali casi è possibile che il distributore sostenga che vi era stata una rinuncia implicita ad azionare questa tutela contrattuale e quindi che il recesso non sia valido o il produttore non si sia comportato in buona fede.
Per evitare dispute sul tema è opportuno ricordarsi di aggiornare ogni anno il Target e nel caso di mancato raggiungimento di comunicare al distributore l’intenzione del produttore di non avvalersi della clausola di salvaguardia, ricordando che rimane valida pro futuro.
E’ anche importante prevedere espressamente nella clausola di Target Minimo che la non contestazione del mancato raggiungimento dell’obiettivo di un certo periodo non comporta una rinuncia tacita e quindi non viene meno il diritto di azionare la clausola di salvaguardia in futuro.
Da ultimo, è molto utile redigere dei verbali (“meeting minutes”) delle riunioni in cui le parti discutono dell’andamento delle vendite, formulano eventuali contestazioni, concordano le conseguenze del mancato raggiungimento dei target e gli obiettivi futuri: a distanza di tempo, magari di anni, questi appunti saranno preziosi per ricostruire la volontà delle parti in un certo momento storico.
Nel caso di Blue Ribbon vs. Onitsuka, ad esempio, le parti avrebbero potuto evitare il malinteso sull’andamento delle vendite scrivendo che il produttore si attendeva un certo miglioramento delle quote di mercato in certi stati della east coast nei successivi 48 mesi e in mancanza si sarebbe potuto muovere per ricercare un nuovo distributore per quella zona, da attivare dopo la scadenza del contratto.
Il periodo di preavviso per il recesso da un contratto di distribuzione internazionale
L’altra contestazione insorta tra le parti era la violazione di un patto di non concorrenza: la vendita del brand Nike da parte di Blue Ribbon, quando il contratto vietava di vendere altre scarpe fabbricate in Giappone.
Onitsuka Tiger sosteneva che Blue Ribbon avesse violato il patto di non concorrenza, mentre il distributore riteneva di non avere avuto altra possibilità, vista l’imminente decisione del produttore di terminare l’accordo.
Questo tipo di vertenze si può evitare prevedendo con chiarezza un termine per il recesso (o per il mancato rinnovo): questo periodo ha la funzione fondamentale di permettere alle parti di prepararsi alla cessazione del rapporto e organizzare la propria attività dopo il termine.
In particolare, proprio per evitare malintesi tipo quello insorto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger, si può prevedere che in tale periodo le parti avranno facoltà di prendere contatto con altri potenziali distributori e produttori, e che ciò non violi gli obblighi di esclusiva e di non concorrenza.
Nel caso di Blue Ribbon, in realtà, il distributore era andato ben oltre la ricerca di un altro fornitore, posto che aveva iniziato a vendere i prodotti Nike quando il contratto con Onitsuka era ancora valido: questo comportamento rappresenta una violazione grave di un accordo di esclusiva e avrebbe potuto costare molto caro al distributore.
Un aspetto particolare da considerare, a proposito del periodo di preavviso, è la durata: quanto deve essere lungo il periodo di preavviso per essere considerato congruo? Nel caso di rapporti commerciali di lungo corso, è importante dare alla parte destinataria del recesso un periodo di tempo sufficiente per riposizionarsi sul mercato, cercando distributori o fornitori alternativi oppure (come nel caso di Blue Ribbon/Nike) per creare e lanciare un proprio brand.
L’altro elemento da valutare, al momento di comunicare il recesso, è che il preavviso deve essere tale da consentire al distributore di ammortizzare gli investimenti fatti per fare fronte alle proprie obbligazioni durante il contratto; nel caso di Blue Ribbon il distributore, su espressa richiesta del produttore, aveva aperto una serie di negozi mono-marca sia sulla West che sulla East Coast.
Una chiusura del contratto poco tempo dopo il suo rinnovo e con un preavviso troppo breve non avrebbe consentito dal distributore di riorganizzare la rete di vendita con un prodotto sostituivo, forzando la chiusura dei negozi che fino a quel momento avevano venduto le scarpe giapponesi.
Generalmente è consigliabile prevedere un periodo di preavviso per il recesso di almeno 6 mesi, ma nei contratti di distribuzione internazionale va prestata attenzione, oltre agli investimenti effettuati dalle parti, anche alla quota di fatturato del distributore rappresentata dai prodotti del produttore.
Nel caso in cui questa quota nel tempo sia divenuta molto alta sarà difficile per il distributore trovare un prodotto alternativo in pochi mesi: le parti, in tal caso, dovranno tenere in considerazione l’evoluzione del rapporto, la situazione di mercato e le prospettive di riposizionamento del distributore e concordare un preavviso adeguato, anche più lungo di quello originariamente previsto nel contratto.
E’ anche importante verificare se esistono norme specifiche sulla durata del periodo di preavviso per il recesso nella legge applicabile al contratto (si veda ad esempio, un approfondimento per la distribuzione in Francia) e cosa preveda, anche in mancanza di norme sul punto, la giurisprudenza in materia di recesso dai rapporti commerciali (in taluni casi il termine ritenuto congruo per un contratto di concessione di vendita di lunga durata può arrivare a 24 mesi).
Infine, è normale che al momento della chiusura del contratto il distributore sia ancora in possesso di importanti stock di prodotti: ciò può essere problematico, ad esempio perché il distributore può porre in essere iniziative commerciali per liquidare lo stock (vendite flash o vendite tramite canali web con forti sconti) che possono andare in contrasto con le politiche commerciali del produttore e dei nuovi distributori.
Per evitare queste situazioni una clausola che si può prevedere nel contratto di distribuzione è quella relativa al diritto del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, fissando già il prezzo di riacquisto (ad esempio pari al prezzo di vendita al distributore per i prodotti della stagione in corso, con uno sconto del 30% per i prodotti della stagione precedente e con uno sconto più alto per i prodotti venduti più di 24 mesi prima).
La titolarità dei marchi in un contratto di distribuzione internazionale
Nel corso del rapporto di distribuzione Blue Ribbon aveva creato un nuovo tipo di suola per le scarpe da corsa e coniato i marchi Cortez e Boston per i modelli di punta della collezione, che avevano riscosso un grande successo tra il pubblico, guadagnando una grande popolarità: al termine del contratto entrambe le parti rivendicarono la titolarità dei marchi.
Ciò può accadere di frequente in rapporti di distribuzione internazionale: il distributore registra il marchio del produttore nel paese in cui opera, per evitare che lo faccia qualche concorrente e per poter tutelare il marchio nel caso di vendita di prodotti contraffatti; oppure accade che il distributore, come nella vertenza di cui parliamo, collabori nella creazione di nuovi marchi destinati al suo mercato.
Al termine del rapporto, in mancanza di un patto chiaro tra le parti, si può generare una vertenza come quella del caso Nike: chi è titolare, produttore o distributore?
Per evitare malintesi il primo consiglio è quello di registrare il marchio in tutti i paesi in cui vengono distribuiti i prodotti, e non solo: nel caso della Cina, ad esempio, la registrazione è bene farla comunque, per prevenire che terzi in mala fede si accaparrino il marchio (per un approfondimento vedi questo post su Legalmondo).
È poi opportuno prevedere nel contratto di distribuzione una clausola che vieta al distributore di registrare il marchio (o marchi simili) nel paese in cui opera, con espressa previsione del diritto del produttore di chiederne il trasferimento nel caso in cui ciò accadesse.
Una clausola di questo tipo avrebbe impedito l’insorgere della vertenza tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger.
I fatti che raccontiamo risalgono ai primi anni ‘70: oggi oltre a fare chiarezza sulla titolarità del marchio e sulle modalità di utilizzo da parte del distributore e della sua rete commerciale è bene che il contratto ne disciplini anche l’uso del marchio e dei segni distintivi del produttore sui canali di comunicazione, in particolare i social media.
È consigliabile si preveda in modo chiaro che il produttore è il titolare dei profili social media, dei contenuti che vengono creati, e dei dati generati dell’attività di vendita, marketing e comunicazione nel paese in cui opera il distributore, che ha solo la licenza di utilizzarli, in conformità alle istruzioni del titolare.
Inoltre, è bene che l’accordo stabilisca come verrà utilizzato il marchio e la condivisione delle politiche di comunicazione e promozione delle vendite sul mercato, per evitare iniziative che possono dare effetti negativi o controproducenti.
La clausola può anche essere rafforzata con la previsione di penali contrattuali nel caso in cui, al termine dell’accordo, il distributore si rifiuti di trasferire il controllo dei canali digitali e dei dati generati nel corso dell’attività.
La mediazione nei contratti di distribuzione commerciale internazionale
Un altro spunto interessante offerto dalla vicenda Blue Ribbon vs. Onitsuka Tiger è legato alla gestione dei conflitti nei rapporti di distribuzione internazionale: situazioni come quella che abbiamo visto possono essere risolte con efficacia grazie all’utilizzo della mediazione.
Si tratta di un tentativo di conciliazione del contenzioso, affidato ad un ente specializzato, con l’obiettivo di trovare un accordo bonario che consenta di evitare l’azione giudiziaria.
La mediazione può essere prevista in contratto come primo step, prima dell’eventuale causa o arbitrato, oppure può essere iniziata volontariamente all’interno di una procedura giudiziaria o arbitrale già in corso.
I vantaggi sono molteplici: il principale è la possibilità di trovare una soluzione commerciale che soddisfi gli interessi di entrambe le parti e possibilmente consenta la prosecuzione del rapporto, invece di limitare il confronto alle posizioni sulle quali le parti si sono arenate e che hanno portato al contenzioso.
Un altro aspetto interessante della mediazione è quello di superare i conflitti personali: nel caso di Blue Ribbon vs. Onitsuka, ad esempio, un elemento decisivo per l’escalation dei problemi tra le parti era stato il difficile rapporto personale tra il CEO di Blue Ribbon e l’Export manager del produttore giapponese, aggravato da forti differenze culturali.
La mediazione prevede l’introduzione di una figura terza, in grado di dialogare con le parti e di guidarle nell’esplorazione di soluzioni di reciproco interesse, che può rivelarsi decisiva per superare i problemi di comunicazione o le ostilità personali.
Per chi fosse interessato all’argomento rimandiamo a questo ottimo approfondimento e al replay di un recente webinar sulla mediazione dei conflitti internazionali.
Le modalità di risoluzione delle controversie
Il contenzioso tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger portò le parti ad iniziare due cause parallele, una negli USA (iniziata dal distributore) e una in Giappone (radicata dal produttore).
Ciò si rese possibile perché il contratto non prevedeva in modo espresso la modalità di risoluzione delle eventuali future controversie, generando così una situazione molto complicata, per di più su due fronti giudiziari in diversi paesi.
Le clausole che stabiliscono quale legge si applica ad un contratto e quale sia la modalità di risoluzione delle vertenze vengono dette “midnight clauses”, perché spesso sono le ultime clausole del contratto, negoziate a notte fonda.
Si tratta, in realtà, di clausole molto importanti, che devono essere definite in modo consapevole, per evitare soluzioni che siano inefficaci o controproducenti: rimando per un approfondimento a questo articolo su Legalmondo.
Come possiamo aiutarti
La costruzione di un accordo di distribuzione commerciale internazionale è un investimento importante, perché fissa le regole del rapporto tra le parti per il futuro e mette a loro disposizione gli strumenti per gestire tutte le situazioni che si verranno a creare nella futura collaborazione.
È fondamentale non solo negoziare e concludere un accordo corretto, completo ed equilibrato, ma anche saperlo gestire nel corso degli anni, soprattutto quando insorgono situazioni di contrapposizione.
Legalmondo offre la possibilità di lavorare con legali esperti in materia di distribuzione commerciale internazionale in oltre 63 paesi: scrivici la tua esigenza.
La legge antispreco detta « Anti-gaspillage pour une économie circulaire » AGEC n°2020-105 è stata promulgata il 10.02.2020 ed è entrata in vigore il 1.08.2021, nata con l’obiettivo di cambiare profondamente il sistema attuale da un’economia lineare (produrre, consumare, smaltire) ad una economia circolare.
Cosa prevede la normativa:
- introduzione del principio «chi inquina paga»;
- un migliore sistema di informazione del consumatore.
La legge è composta da 130 articoli delimitata in 5 aree principali di intervento:
- abbandonare la plastica mono-uso;
- informare meglio i consumatori;
- lotta allo spreco e al riutilizzo solidale;
- agire contro l’obsolescenza programmata;
- miglioramento della produzione
Lotta al greenwashing
Inoltre, la legge protegge il consumatore dell’effeto greenwashing vietando l’uso delle parole “biodegradabile”, “ecologico” o qualsiasi altra indicazione simile per qualsiasi prodotto o imballaggio.
Cosa cambia
Dal 1° gennaio 2022, tutti “metteurs sur le marché” cioè quelli che fabbricano o fanno fabbricare, quelli che importano o introducono sul territorio nazionale e che non hanno un proprio sistema di riciclaggio approvato dal governo devono secondo il tipo di prodotto venduto :
- aderire ad un eco-organismo (ce ne sono per ciascun tipologia di prodotto),
- dichiarare il volume di vendita e pagare il contributo corrispondente
- adattare l’etichetta del prodotto con le menzione obbligatorie in Francia ed il logo Triman.
Le filiere esistenti
Il logo Triman
Esistono diversi tipi di logo Triman a seconda del tipo di prodotti. Ecco alcuni esempi e scadenze
- TESSILI, BIANCHERIA E CALZATURE
Al 01.02.2023 (oppure 01.08.2023 per I prodotti fabbricati prima del 01.02.2023), il logo deve essere apposto su tutti i prodotti tessili, la biancheria per la casa e le calzature. Inoltre va apposto il logo della raccolta differenziata e vanno indicate le informazioni obbligatorie su come smaltire i rifiuti.
Le altre informazioni obbligatorie devono essere riportate in lingua francese su vari supporti come l’etichetta di composizione, temporanea, direttamente sul prodotto mediante stampa o ricamo, adesivo.
Infine, si deve aderire all’eco-organismo Re-fashion.
- MOBILI
Tutti i mobili prodotti dopo il 9.12.2022 per essere venduti in Francia devono avere il logo Triman con il corretto avviso di smistamento sul prodotto o sull’imballaggio. Gli articoli già prodotti senza il marchio possono essere venduti fino al 9.06.2023.
A partire dal momento che i distributori/ fornitori vendono direttamente sul territorio francese, devono essere iscritti all’organismo Eco-mobilier ed indicare la tassa corrispondente per ciascun mobile durante tutto il percorso di acquisto del consumatore.
- PACKAGING
Il logo è obbligatorio dal 30.11.2022 con periodo di transizione per i prodotti già immessi sul mercato francese prima di tale data, fino al 30.05.2023.
Se l’etichetta italiana corrisponde agli standard francesi, oltre ad apporre il logo Triman qui sotto, si dovrà tradurre il testo in francese.
Sanzioni
Ai sensi dell’art. L541-9-4 della legge AGEC , qualsiasi violazione degli obblighi di marcatura e di informazione comporta sanzioni pecuniarie. Tali sanzioni possono arrivare a 3.000 euro per le persone fisiche e a 15.000 euro per le persone giuridiche.
Conclusioni
Ho indicato in questo articolo sono solo esempi: gli obblighi per certi prodotti (come gli articoli sportivi) sono ancora in fase di elaborazione, ma generalmente l’iscrizione all’eco-organismo corrispondente è già obbligatoria.
E’ importante dunque, per chi esporta i propri prodotti in Francia, tenere monitorata la situazione per essere certi di adempiere alle normative, che son sempre più puntuali e stringenti.
Dopo oltre 30 anni di negoziati, gli occhi del mondo sono ora puntati sul primo accordo commerciale panafricano, entrato in vigore nel 2019: l’Area Continentale Africana di Libero Scambio (African Continental Free Trade Area – AfCFTA).
Con 55 Paesi e circa 1,3 miliardi di persone, l’Africa è il secondo continente più grande del mondo dopo l’Asia. Il potenziale del continente è enorme: più del 50 % della popolazione africana ha meno di 20 anni e la crescita demografica è la più rapida al mondo. Entro il 2050, si stima che un neonato su quattro sarà africano. Inoltre, il continente è ricco di terreni fertili e di materie prime.
Per gli investitori occidentali, negli ultimi anni l’Africa è diventata molto più importante. È emersa così una notevole quantità di scambi internazionali, anche grazie all’iniziativa “Compact with Africa”, nota anche come “Piano Marshall con l’Africa”, adottata nel 2017 dai Paesi del G20. L’obiettivo è sviluppare la cooperazione economica dell’Africa con i Paesi del G20 attraverso l’aumento degli investimenti privati.
Il commercio intra-africano, invece, è stato finora stagnante: tariffe elevate, barriere non tariffarie (non-tariff barriers – NTBs), infrastrutture deboli, corruzione, burocrazia pesante e mancanza di trasparenza e coerenza nei regolamenti hanno impedito alle esportazioni interregionali di crescere e recentemente hanno rappresentato solo il 17 % del commercio intra-africano e solo lo 0,36 % del commercio mondiale. Per questo motivo, l’Unione Africana (UA) ha da tempo messo in agenda la creazione di un’area commerciale comune.
Cosa c’è dietro l’AfCFTA?
La creazione di un’area commerciale panafricana è stata preceduta da decenni di negoziati che hanno infine portato all’entrata in vigore dell’AfCFTA il 30 maggio 2019.
L’AfCFTA è un’area di libero scambio istituita dai suoi membri che copre l’intero continente africano (con l’eccezione dell’Eritrea), rendendola la più grande area di libero scambio al mondo dopo l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) in termini di numero di Stati membri.
L’organizzazione del mercato comune è stata oggetto di diversi negoziati individuali, condotti durante le fasi I e II.
La fase I comprende i negoziati su tre protocolli ed è quasi conclusa.
Il Protocollo sugli scambi di merci
Il Protocollo prevede l’eliminazione del 90% di tutte le tariffe intra-africane in tutte le categorie di prodotti entro cinque anni dalla sua entrata in vigore. Di questi, fino al 7 % dei prodotti può essere considerato sensibile e ricevere un periodo di dieci anni per l’eliminazione delle tariffe. Per i Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs), il periodo di preparazione è esteso da cinque a dieci anni e per i prodotti sensibili da dieci a tredici anni, a condizione che ne dimostrino la necessità. Il restante 3 % dei dazi è completamente escluso dallo smantellamento tariffario.
Il presupposto per lo smantellamento delle tariffe è una chiara delimitazione delle regole di origine. Altrimenti, le importazioni da Paesi terzi potrebbero beneficiare dei vantaggi tariffari negoziati. È già stato raggiunto un accordo sulla maggior parte delle norme di origine.
Il Protocollo sul commercio dei servizi
Finora l’Assemblea generale dell’UA ha concordato cinque aree prioritarie (trasporti, comunicazioni, turismo, servizi finanziari e servizi alle imprese) e le linee guida per gli impegni corrispondenti. 47 Stati membri dell’UA hanno già presentato le loro offerte di impegni specifici e l’esame di 28 di essi è stato completato. Inoltre, sono ancora in corso negoziati, ad esempio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.
Il Protocollo sulla risoluzione delle controversie
Con il Protocollo sulle regole e le procedure per la risoluzione delle controversie, l’AfCFTA crea un sistema di risoluzione delle controversie sulla falsariga dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie dell’OMC. L’organo di risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Body – DSB) amministra il Protocollo di risoluzione delle controversie dell’AfCFTA e istituisce un gruppo arbitrale (Adjudicating Panel – Panel) e un organo di appello (Appellate Body – AB). Il DSB è composto da un rappresentante per ogni Stato membro e interviene in caso di disaccordo tra gli Stati contraenti sull’interpretazione e/o l’applicazione dell’accordo in relazione ai loro diritti e obblighi.
Per la restante fase II, sono previsti negoziati sulla politica degli investimenti e della concorrenza, sulle questioni relative alla proprietà intellettuale, sul commercio elettronico e sulle donne e i giovani nel commercio, i cui risultati saranno incorporati in ulteriori protocolli.
L’attuazione dell’AfCFTA
In linea di principio, il commercio nell’ambito di un accordo commerciale può iniziare solo dopo la definizione definitiva del quadro giuridico. Tuttavia, nel dicembre 2020 i capi di Stato e di governo dell’UA hanno deciso che il commercio potrà iniziare con i prodotti per i quali sono stati conclusi i negoziati. In questo regime transitorio, dopo un ritardo dovuto alla pandemia, la prima transazione commerciale AfCFTA ha avuto luogo il 4 gennaio 2021 dal Ghana al Sudafrica.
Componenti dell’AfCFTA
Tutti i 55 membri dell’UA hanno partecipato ai negoziati dell’AfCFTA. Di questi, 47 appartengono ad almeno una delle Comunità Economiche Regionali (Regional Economic Communities – RECs) riconosciute che, secondo il preambolo dell’AfCFTA, continueranno a servire come elementi costitutivi dell’accordo commerciale. Di conseguenza, sono state le RECs a rappresentare i rispettivi membri nei negoziati dell’AfCFTA. L’AfCFTA prevede che le RECs mantengano i loro strumenti giuridici, le loro istituzioni e i loro meccanismi di risoluzione delle controversie.
All’interno dell’UA esistono otto comunità economiche regionali riconosciute, che si sovrappongono in alcuni Paesi e sono costituite da aree di libero scambio (Free Trade Areas – FTAs) o unioni doganali.
Nell’ambito dell’AfCFTA, le RECs hanno diverse missioni. Questi includono:
- coordinamento delle posizioni negoziali e sostegno agli Stati membri nell’attuazione dell’accordo;
- mediazione orientata alla soluzione in caso di disaccordo tra gli Stati membri;
- aiutare gli Stati membri ad armonizzare i dazi doganali e le altre norme di protezione delle frontiere;
- promuovere l’uso della procedura di notifica dell’AfCFTA per ridurre le NTBs.
Prospettive dell’AfCFTA
L’AfCFTA ha il potenziale per facilitare l’integrazione dell’Africa nell’economia globale e crea una reale opportunità di riorientare i modelli di integrazione e cooperazione internazionale.
Un accordo commerciale da solo non garantisce il successo economico. Affinché l’accordo raggiunga l’obiettivo prefissato, gli Stati membri devono avere la volontà politica di attuare le nuove norme in modo coerente e di costruire la capacità necessaria per farlo. In particolare, dovrebbero essere fondamentali l’eliminazione a breve termine delle barriere al commercio e lo sviluppo di un’infrastruttura fisica e digitale sostenibile.
Se siete interessati all’AfCFTA, potete leggere qui una versione estesa di questo articolo.
Lo sportello africano di Legalmondo
Con i nostri esperti in Algeria, Camerun, Côte d’Ivoire, Egitto, Ghana, Libia, Marocco, Senegal, Sudan, Tunisia e Malawi, supportiamo le aziende nei loro investimenti e progetti commerciali in Africa.
Possiamo anche supportare le aziende straniere nei Paesi africani in cui non siamo direttamente rappresentati da un ufficio, attraverso la nostra rete di partner locali.
Come funziona
- Organizziamo un incontro (di persona o online) con uno dei nostri esperti per capire le esigenze del cliente.
- Una volta iniziata la collaborazione, accompagniamo il cliente con un avvocato in tutte le sue questioni legali (casi singoli o assistenza legale continua).
Contattateci per saperne di più.
Summary
Political, environmental or health crises (like the Covid-19 outbreak and the attack of Ukraine by the Russian army) can cause an increase in the price of raw materials and components and generalized inflation. Both suppliers and distributors find themselves faced with problems related to the often sudden and very substantial increase in the price of their own supplies. French law lays down specific rules in that regard.
Two main situations can be distinguished: where the parties have just established a simple flow of orders and where the parties have concluded a framework agreement fixing firm prices for a fixed term.
Price increase in a business relationship
The situation is as follows: the parties have not concluded a framework agreement, each sales contract concluded (each order) is governed by the General T&Cs of the supplier; the latter has not undertaken to maintain the prices for a minimum period and applies the prices of the current tariff.
In principle, the supplier can modify its prices at any time by sending a new tariff. However, it must give written and reasonable notice in accordance with the provisions of Article L. 442-1.II of the Commercial Code, before the price increase comes into effect. Failure to respect sufficient notice, it could be accused of a sudden “partial” termination of commercial relations (and subject to damages).
A sudden termination following a price increase would be characterized when the following conditions are met:
- the commercial relationship must be established: broader concept than the simple contract, taking into account the duration but also the importance and the regularity of the exchanges between the parties;
- the price increase must be assimilated to a rupture: it is mainly the size of the price increase (+1%, 10% or 25%?) that will lead a judge to determine whether the increase constitutes a “partial” termination (in the event of a substantial modification of the relationship which is nevertheless maintained) or a total termination (if the increase is such that it involves a termination of the relationship) or if it does not constitute a termination (if the increase is minimal);
- the notice granted is insufficient by comparing the duration of the notice actually granted with that of the notice in accordance with Article L. 442-1.II, taking into account in particular the duration of the commercial relationship and the possible dependence of the victim of the termination with respect to the other party.
Article L. 442-1.II must be respected as soon as French law applies to the relation. In international business relations, to know how to deal with Article L.442-1.II and conflicts of laws and jurisdiction of competent courts, please see our previous article published on Legalmondo blog.
Price increase in a framework contract
If the parties have concluded a framework contract (such as supply, manufacturing, …) for several years and the supplier has committed to fixed prices, how, in this case, can it change these prices?
In addition to any indexation clause or renegotiation (hardship) clause which would be stipulated in the contract (and besides specific legal provisions applicable to special agreements as to their nature or economic sector), the supplier may seek to avail himself of the legal mechanism of “unforeseeability” provided for by article 1195 of the civil code.
Three prerequisites must be cumulatively met:
- an unforeseeable change in circumstances at the time of the conclusion of the contract (i.e.: the parties could not reasonably anticipate this upheaval);
- a performance of the contract that has become excessively onerous (i.e.: beyond the simple difficulty, the upheaval must cause a disproportionate imbalance);
- the absence of acceptance of these risks by the debtor of the obligation when concluding the contract.
The implementation of this mechanism must stick to the following steps:
- first, the party in difficulty must request the renegotiation of the contract from its co-contracting party;
- then, in the event of failure of the negotiation or refusal to negotiate by the other party, the parties can (i) agree together on the termination of the contract, on the date and under the conditions that they determine, or (ii) ask together the competent judge to adapt it;
- finally, in the absence of agreement between the parties on one of the two aforementioned options, within a reasonable time, the judge, seized by one of the parties, may revise the contract or terminate it, on the date and under the conditions that he will set.
The party wishing to implement this legal mechanism must also anticipate the following points:
- article 1195 of the Civil Code only applies to contracts concluded on or after October 1, 2016 (or renewed after this date). Judges do not have the power to adapt or rebalance contracts concluded before this date;
- this provision is not of public order. Therefore, the parties can exclude it or modify its conditions of application and/or implementation (the most common being the framework of the powers of the judge);
- during the renegotiation, the supplier must continue to sell at the initial price because, unlike force majeure, unforeseen circumstances do not lead to the suspension of compliance with the obligations.
Key takeaways:
- analyse carefully the framework of the commercial relationship before deciding to notify a price increase, in order to identify whether the prices are firm for a minimum period and the contractual levers for renegotiation;
- correctly anticipate the length of notice that must be given to the partner before the entry into force of the new pricing conditions, depending on the length of the relationship and the degree of dependence;
- document the causes of the price increase;
- check if and how the legal mechanism of unforeseeability has been amended or excluded by the framework contract or the General T&Cs;
- consider alternatives strategies, possibly based on stopping production/delivery justified by a force majeure event or on the significant imbalance of the contractual provisions.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Under French Law, franchisors and distributors are subject to two kinds of pre-contractual information obligations: each party has to spontaneously inform his future partner of any information which he knows is decisive for his consent. In addition, for certain contracts – i.e franchise agreement – there is a duty to disclose a limited amount of information in a document. These pre-contractual obligations are mandatory. Thus these two obligations apply simultaneously to the franchisor, distributor or dealer when negotiating a contract with a partner.
General duty of disclosure for all contractors
What is the scope of this pre-contractual information?
This obligation is imposed on all co-contractors, to any kind of contract. Indeed, article 1112-1 of the Civil Code states that:
(§. 1) The party who knows information of decisive importance for the consent of the other party must inform the other party if the latter legitimately ignores this information or trusts its co-contractor.
(§. 3) Of decisive importance is the information that is directly and necessarily related to the content of the contract or the quality of the parties. »
This obligation applies to all contracting parties for any type of contract.
Who must prove the compliance with such provision ?
The burden of proof rests on the person who claims that the information was due to him. He must then prove (i) that the other party owed him the information but (ii) did not provide it (Article 1112-1 (§. 4) of the Civil Code)
Special duty of disclosure for franchise and distribution agreements
Which contracts are subject to this special rule?
French law requires (art. L.330-3 French Commercial Code) communication of a pre-contractual information document (in French “DIP”) and the draft contract, by any person:
- which grants another person the right to use a trade mark, trade name or sign,
- while requiring an exclusive or quasi-exclusive commitment for the exercise of its activity (e.g. exclusive purchase obligation).
Concretely, DIP must be provided, for example, to the franchisee, distributor, dealer or licensee of a brand, by its franchisor, supplier or licensor as soon as the two above conditions are met.
When the DIP must be provided?
DIP and draft contract must be provided at least 20 days before signing the contract, and, where applicable, before the payment of the sum required to be paid prior to the signature of the contract (for a reservation).
What information must be disclosed in the DIP?
Article R. 330-1 of the French Commercial Code requires that DIP mentions the following information (non-detailed list) concerning:
- Franchisor (identity and experience of the managers, career path, etc.);
- Franchisor’s business (in particular creation date, head office, bank accounts, historical of the development of the business, annual accounts, etc.);
- Operating network (members list with indication of signing date of contracts, establishments list offering the same products/services in the area of the planned activity, number of members having ceased to be part of the network during the year preceding the issue of the DIP with indication of the reasons for leaving, etc.);
- Trademark licensed (date of registration, ownership and use);
- General state of the market (about products or services covered by the contract)and local state of the market (about the planned area) and information relating to factors of competition and development perspective;
- Essential element of the draft contract and at least: its duration, contract renewal conditions, termination and assignment conditions and scope of exclusivities;
- Financial obligations weighing in on contracting party: nature and amount of the expenses and investments that will have to be incurred before starting operations (up-front entry fee, installation costs, etc.).
How to prove the disclosure of information?
The burden of proof for the delivery of the DIP rests on the debtor of this obligation: the franchisor (Cass. Com., 7 July 2004, n°02-15.950). The ideal for the franchisor is to have the franchisee sign and date his DIP on the day it is delivered and to keep the proof thereof.
The clause of contract indicating that the franchisee acknowledges having received a complete DIP does not provide proof of the delivery of a complete DIP (Cass. com, 10 January 2018, n° 15-25.287).
Sanction for breach of pre-contractual information duties
Criminal sanction
Failing to comply with the obligations relating to the DIP, franchisor or supplier can be sentenced to a criminal fine of up to 1,500 euros and up to 3,000 euros in the event of a repeat offence, the fine being multiplied by five for legal entities (article R.330-2 French commercial Code).
Cancellation of the contract for deceit
The contract may be declared null and void in case of breach of either article 1112-1 or article L. 330-3. In both cases, failure to comply with the obligation to provide information is sanctioned if the applicant demonstrates that his or her consent has been vitiated by error, deceit or violence. Where applicable, the parties must return to the state they were in before the contract.
Regarding deceit, Courts strictly assess its two conditions which are:
- (a material element) the existence of a lie or deceptive reticence (article 1137 French Civil Code);
- And (an intentional element) the intention to deceive his co-contractor (article 1130 French Civil Code).
Damages
Although the claims for contract cancellation are subject to very strict conditions, it remains that franchisees/distributors may alternatively obtain damages on the basis of tort liability for non-compliance with the pre-contractual information obligation, subject to proof of fault (incomplete or incorrect information), damage (loss of chance of not contracting or contracting on more advantageous terms) and the causal link between the two.
French case law
Franchisee/distributor must demonstrate that he would not have actually entered into the contract if he had had the missing or correct information
Courts reject motion for cancellation of a franchise contract when the franchisee cannot prove that this deceit would have misled its consent or that it would not have entered into the contract if it had had such information (for instance: Versailles Court of Appeal, December 3, 2020, no. 19/01184).
The significant experience of the franchisee/distributor greatly mitigates the possible existence of a defect in consent.
In a ruling of January 20, 2021 (no. 19/03382) the Paris Court of Appeal rejected an application for cancellation of a franchise contract where the franchisor had submitted a DIP manifestly and deliberately deficient and an overly optimistic turnover forecast.
Thus, while the presentation of the national market was not updated and too vague and that of the local market was just missing, the Court rejected the legal qualification of the franchisee’s error or the franchisor’s willful misrepresentation, because the franchisee “had significant experience” for several years in the same sector (See another example for a Master franchisee)
Similarly, the Court reminds that “An error concerning the profitability of the concept of a franchise cannot lead to the nullity of the contract for lack of consent of the franchisee if it does not result from data established and communicated by the franchisor“, it does not accept the error resulting from the communication by the franchisor of a very optimistic turnover forecast tripling in three years. Indeed, according to the Court, “the franchisee’s knowledge of the local market was likely to enable it to put the franchisor’s exaggerations into perspective, at least in part. The franchisee was well aware that the forecast document provided by the franchisor had no contractual value and did not commit the franchisor to the announced results. It was in fact the franchisee’s responsibility to conduct its own market research, so that if the franchisee misunderstood the profitability of the operation at the business level, this error was not caused by information prepared and communicated by the franchisor“.
The path is therefore narrow for the franchisee: he cannot invoke error concerning profitability when it is him who draws up his plan, and even when this plan is drawn up by the franchisor or based on information drawn up and transmitted by the franchisor, the experience of the franchisee who knew the local market may exonerate the franchisor.
Takeaways
- The information required by the DIP must be fully completed and updated ;
- The information not required by the DIP but communicated by the franchisor must be carefully selected and sincere;
- Franchisee must be given the opportunity to request additional information from the franchisor;
- Franchisee’s experience in the economic sector enables the franchisor to considerably limit its exposure to the risk of contract cancellation due to a defect in the franchisee’s consent;
- Franchisor must keep the proof of the actual disclosure of pre-contractual information (whether mandatory or not).
Scrivi a Roberto
Il Contratto di distribuzione commerciale internazionale | 7 insegnamenti dalla storia di Nike
25 Febbraio 2023
- Italia
- Contratti
- Distribuzione
- Marchi e brevetti
- Proprietà industriale e intellettuale
Riassunto
Per evitare dispute con i fornitori importanti, è consigliabile pianificare gli acquisti a medio e lungo termine e non operare solo sulla base si ordini e conferme d’ordine. La pianificazione consente di concordare la durata dell’ accordo di fornitura, i volumi minimi dei prodotti da consegnare e le tempistiche di consegna, i prezzi e le condizioni alle quali i prezzi possono essere variati nel tempo.
L’utilizzo di un contratto quadro di acquisto può aiutare a evitare incertezze future e consente di utilizzare varie opzioni per gestire le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime a seconda della tipologia di prodotti , come l’indicizzazione automatica del prezzo o l’accordo di rinegoziazione in caso di oscillazioni della materia prima oltre un certo termine di tolleranza stabilito.
Leggo in un comunicato stampa: “In questi giorni l’industria del vetro sta inviando alle imprese vitivinicole nuove modifiche unilaterali dei contratti con variazioni dei prezzi del 20%...”
Cosa si può fare per evitare l’imposizione di aumenti da parte dei fornitori?
- Conoscere i propri diritti e agire in modo informato
- Pianificare e organizzare la supply chain
Il mio fornitore ha diritto ad aumentare i prezzi?
Se i contratti sono già stati conclusi, ad esempio gli ordini sono già stati confermati dal fornitore, la risposta è spesso no.
Non è legittimo richiedere la variazione del prezzo, e meno ancora comunicarla in via unilaterale, con la minaccia di annullare l’ordine o non consegnare la merce se non venisse accolta la richiesta.
Se mi dice che si tratta di forza maggiore?
È sbagliato: l’aumento dei costi non rappresenta una causa di forza maggiore, ma semmai di eccessiva onerosità sopravvenuta, che è molto difficile ricorra.
Per approfondire questo punto puoi vedere questo video.
E se il fornitore annullasse l’ordine, aumentasse unilateralmente il prezzo, o non consegnasse la merce?
Sarebbe inadempiente e sarebbe tenuto a risarcire i danni causati dal mancato rispetto dei suoi obblighi contrattuali.
Come si può evitare il braccio di ferro con i fornitori?
Gli strumenti ci sono, basta conoscerli e usarli.
Occorre pianificare gli acquisti a medio termine, concordando con i fornitori un programma nel quale si stabiliscano:
- le quantità di prodotti che verranno ordinate
- i termini di consegna
- la durata dell’accordo
- i prezzi dei prodotti o delle materie prime
- le condizioni alle quali i prezzi possono essere variati
Esiste uno strumento molto efficace
L’accordo che si può utilizzare è il contratto quadro di acquisto, con il quale le parti negoziano gli elementi sopra indicati, che saranno validi per il periodo di tempo stabilito.
Una volta concluso l’accordo, seguiranno gli ordini dei prodotti, che saranno regolati dal contratto quadro, senza bisogno di rinegoziare ogni volta il contenuto delle singole forniture.
Per un approfondimento su questo contratto, vedi questo articolo.
- Sì ma: i miei fornitori non me lo firmeranno mai!
Perché? Fatevelo spiegare.
Questo tipo di accordo è nell’interesse di entrambe le parti, perché consente di pianificare i futuri ordinativi e di avere certezza sul se, quando e quanto possa essere cambiato il prezzo.
Al contrario, agire senza accordi scritti obbliga le parti ad operare in un contesto di incertezza, nel quale da un giorno all’altro si possono chiedere aumenti di prezzi e rifiutare le forniture se le richieste non vengono accettate.
Come si disciplinano i cambiamenti del prezzo per le forniture future?
Esistono diverse possibilità, a seconda della tipologia di prodotti o servizi e delle materie prime o dell’energia rilevanti nella determinazione del prezzo finale.
- Una prima opzione è quella di indicizzare automaticamente il prezzo: ad esempio se il costo del barile del petrolio Brent aumenta / diminuisce del 10%, la parte interessata ha diritto a richiedere un corrispettivo adeguamento del prezzo del prodotto in tutti gli ordinativi trasmessi a partire dalla settimana successiva.
- Un’alternativa è prevedere che in caso di oscillazione della materia prima di riferimento (ad esempio l’indice LME Aluminium del London Stock Exchange) oltre una certa soglia, la parte interessata possa chiedere di rinegoziare il prezzo per gli ordinativi del periodo successivo all’aumento.
E se le parti non si mettessero d’accordo sui nuovi prezzi?
- È possibile prevedere che il contratto si sciolga, o che la determinazione sia rimessa ad un terzo soggetto, che agisca come arbitratore e indichi i nuovi prezzi per i futuri ordini.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Phil Knight, fondatore di Nike, iniziò la sua carriera nel 1964, importando negli USA il marchio giapponese Onitsuka Tiger, conquistando rapidamente una quota del 70% del mercato delle scarpe da corsa.
Quando Knight seppe che Onitsuka stava cercando un altro distributore, creò il marchio Nike.
Questo portò a due cause legali tra le aziende, risolte con accordo che consentì a Nike di divenire il marchio di abbigliamento sportivo di maggior successo al mondo.
Questo articolo esamina in modo pratico gli insegnamenti che si possono trarre da questa controversia, come ad esempio come negoziare un accordo di distribuzione internazionale, come definire l’esclusività contrattuale e le clausole di fatturato minimo, la durata del contratto, la proprietà dei marchi, le clausole di risoluzione delle controversie e altro ancora.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La vertenza tra Blue Ribbon vs. Onitsuka Tiger e la nascita del marchio Nike
- Come negoziare un contratto di distribuzione internazionale
- L’esclusiva contrattuale in un accordo di distribuzione commerciale
- Gli obiettivi del contratto di distribuzione in esclusiva
- La durata del contratto di distribuzione all’estero
- Il periodo di preavviso per il recesso da un contratto di distribuzione commerciale
- La gestione dello stock di prodotti dopo la cessazione del contratto
- La titolarità dei marchi nella distribuzione commerciale
- L’importanza della mediazione nei contratti di distribuzione commerciale internazionale
- Le clausole di risoluzione delle controversie internazionali
La vertenza Blue Ribbon vs Onitsuka Tiger e la nascita di Nike
Perché il marchio di abbigliamento sportivo più celebre al mondo è Nike e non Onitsuka Tiger?
Shoe Dog è la biografia del creatore di Nike, Phil Knight: per gli amanti del genere, ma non solo, il libro è veramente molto bello e ne consiglio la lettura.
Mosso dalla propria passione per la corsa e dall’intuizione che vi fosse uno spazio nel mercato americano delle scarpe da atletica, al tempo dominato da Adidas, Knight iniziò per primo, nel 1964, ad importare negli USA un brand di scarpe da atletica giapponese, Onitsuka Tiger, arrivando a conquistare in 6 anni una quota del 70% del mercato.
La società fondata da Knight e dal suo ex-allenatore di atletica ai tempi del college, Bill Bowerman, si chiamava Blue Ribbon Sports.
La relazione commerciale tra Blue Ribbon-Nike e il produttore giapponese Onitsuka Tiger fu, sin dall’inizio, molto movimentata, nonostante le vendite delle scarpe negli USA andassero molto bene e le prospettive di crescita fossero positive.
Quando, poco tempo dopo avere rinnovato il contratto con il produttore giapponese, Knight venne a sapere che Onitsuka stava cercando un altro distributore negli USA, temendo di trovarsi tagliato fuori dal mercato, decise di cercare un altro fornitore in Giappone e di creare un proprio marchio, Nike.
Venuto a conoscenza del progetto Nike, il produttore giapponese contestò a Blue Ribbon la violazione del patto di non concorrenza, che vietava al distributore di importare altri prodotti fabbricati in Giappone, dichiarando l’immediata risoluzione del contratto per inadempimento di Blue Ribbon.
A sua volta, Blue Ribbon sostenne che l’inadempimento sarebbe stato di Onitsuka Tiger, che aveva iniziato ad incontrare altri potenziali distributori quando il contratto era ancora in corso di validità e l’andamento dell’attività molto positivo.
Ne derivarono due cause, una in Giappone e una negli USA, che avrebbero potuto porre termine prematuramente alla storia di Nike. Fortunatamente (per Nike) il Giudice americano decise a favore del distributore e la vertenza si chiuse con un accordo: Nike iniziava così il percorso che l’avrebbe portata 15 anni dopo a diventare il brand di articoli sportivi più importante al mondo.
Vediamo cosa ci insegna la storia di Nike e quali errori è bene evitare in un contratto di distribuzione internazionale.
Come negoziare un contratto di distribuzione commerciale internazionale
Come accade molto spesso a tanti imprenditori, Knight aveva negoziato il rinnovo dell’accordo di distribuzione dei prodotti Onitusuka negli USA da solo, senza l’assistenza di un avvocato.
Nella sua biografia Knight scrive che si pentì subito di avere legato il futuro della sua società ad un accordo di poche righe, scritto frettolosamente al termine di una riunione in cui le parti si erano focailizzate sugli aspetti commerciali del rapporto.
Il contratto prevedeva solamente il rinnovo del diritto di Blue Ribbon di distribuire i prodotti in esclusiva per gli USA per altri tre anni.
Accade spesso che i contratti di distribuzione internazionale siano affidati ad accordi verbali o contratti molto semplici e di durata breve: la spiegazione che viene fornita, solitamente, è che così facendo si può testare la relazione commerciale sul campo, senza vincolarsi troppo alla controparte.
Questo modo di fare, però, è sbagliato e pericoloso: il contratto non va visto come un onere o un vincolo, ma come una garanzia dei diritti di entrambe le parti. Non concludere un contratto scritto, o farlo in modo molto sbrigativo, significa lasciare senza patti chiari elementi fondamentali del futuro rapporto, come quelli che hanno portato alla vertenza tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger: obiettivi commerciali, investimenti, titolarità dei marchi.
Se il contratto è internazionale l’esigenza di redigere un accordo completo ed equilibrato è ancor più forte, visto che in assenza di patti tra le parti, o in via integrativa a questi accordi, si applica una legge con la quale una delle parti non ha familiarità, che generalmente è quella del paese in cui opera il distributore.
Nel caso di Blue Ribbon si trattava di un accordo dal quale dipendeva l’esistenza stessa della società, motivo per il quale non coinvolgere un legale specializzato, che potesse aiutare l’imprenditore ad individuare e negoziare le clausole importanti dell’accordo, era stato un comportamento molto imprudente.
L’esclusiva territoriale, gli Obiettivi commerciali e i Target di fatturato minimo
Il primo motivo di contrasto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger fu la diversa valutazione dell’andamento delle vendite sul mercato USA.
Onitsuka sosteneva che il fatturato fosse inferiore alle potenzialità del mercato USA, mentre secondo Blue Ribbon il trend di vendite era molto positivo, visto che sino a quel momento aveva raddoppiato ogni anno il fatturato, conquistando una fetta importante del mercato del settore.
Venuta a conoscenza che Onituska stava valutando altri candidati per la distribuzione dei prodotti negli USA e temendo di trovarsi fuori dal mercato, Blue Ribbon preparò come Piano B il brand Nike: quando ciò venne scoperto dal produttore giapponese la situazione precipitò e sfociò nel contenzioso giudiziario tra le parti.
La vertenza avrebbe forse potuto essere evitata se le parti avessero condiviso gli obiettivi commerciali e il contratto avesse previsto una clausola abbastanza standard negli accordi di distribuzione esclusiva, ossia un obiettivo minimo di vendita da parte del distributore (in inglese spesso definite “Minimum Turnover Clause”).
In un contratto di distribuzione in esclusiva il produttore concede al distributore una forte protezione territoriale a fronte degli investimenti che il distributore pone in essere per sviluppare il mercato assegnatogli.
Per bilanciare la concessione dell’esclusiva è normale che il produttore richieda al distributore il cosiddetto Fatturato Minimo Garantito o Target Minimo, che deve essere raggiunto dal distributore ogni anno per mantenere lo status privilegiato che gli è stato concesso.
In caso di mancato raggiungimento del Target Minimo, il contratto generalmente prevede che il produttore abbia il diritto di recedere dal contratto (nel caso di accordo a tempo indeterminato) o di non rinnovare l’accordo (se il contratto è a tempo determinato) o di revocare o restringere l’esclusiva territoriale.
Nel contratto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger l’accordo non prevedeva alcun obiettivo (ed infatti per le parti si trovarono in disaccordo nel valutare i risultati del distributore) ed era stato appena rinnovato per tre anni, senza però che le parti avessero voluto, o saputo, fissare gli obiettivi del distributore. Un elemento cardine dell’accordo, quindi, era rimasto indeterminato.
Come si possono prevedere gli obiettivi di fatturato minimo in un contratto pluriennale?
In mancanza di elementi certi, spesso le parti si affidano a meccanismi di incremento percentuale predeterminati: +10% il secondo anno, + 30% il terzo anni, + 50% il quarto, e così via.
Il problema di tale automatismo è che i target vengono concordati senza avere a disposizione i dati reali sulle potenzialità del prodotto sul mercato e sull’andamento delle vendite dei concorrenti e possono quindi rivelarsi molto distanti dalle attuali possibilità di vendita da parte del distributore.
Contestare al distributore di non avere raggiunto il target del secondo o terzo anno in una congiuntura economica recessiva, ad esempio, o nel caso in cui siano arrivati sul mercato nuovi prodotti o concorrenti, sarebbero decisioni certamente discutibili e fonte di probabili divergenze.
Meglio prevedere una procedura di determinazione consensuale dei target di anno in anno, stabilendo che gli obiettivi verranno concordati tra le parti alla luce dei dati raccolti e dell’andamento delle vendite nei mesi precedenti, con un certo preavviso prima del termine dell’anno in corso. In caso di mancato accordo sul nuovo target, il contratto può prevedere che si applichi il target dell’anno precedente, o il diritto di recesso in capo alle parti, con un certo preavviso.
Va ricordato, d’altro canto, che il target può anche essere utilizzato come incentivo positivo per il distributore: si può prevedere, ad esempio, che se verrà raggiunto un certo fatturato ciò consentirà di rinnovare l’accordo per un periodo più lungo, o di estendere l’esclusiva territoriale, o di ottenere certi sconti o agevolazioni commerciali per l’anno successivo.
Un ultimo consiglio è quello di ricordarsi che il contratto, una volta negoziato e concluso, va gestito nel tempo in maniera puntuale e corretta.
Accade spesso che il produttore non contesti il mancato raggiungimento del target, o decida di farlo solo dopo un lungo periodo nel quale i target annuali non erano stati raggiunti, o non erano stati aggiornati, senza che ciò portasse ad alcuna conseguenza sul contratto.
In tali casi è possibile che il distributore sostenga che vi era stata una rinuncia implicita ad azionare questa tutela contrattuale e quindi che il recesso non sia valido o il produttore non si sia comportato in buona fede.
Per evitare dispute sul tema è opportuno ricordarsi di aggiornare ogni anno il Target e nel caso di mancato raggiungimento di comunicare al distributore l’intenzione del produttore di non avvalersi della clausola di salvaguardia, ricordando che rimane valida pro futuro.
E’ anche importante prevedere espressamente nella clausola di Target Minimo che la non contestazione del mancato raggiungimento dell’obiettivo di un certo periodo non comporta una rinuncia tacita e quindi non viene meno il diritto di azionare la clausola di salvaguardia in futuro.
Da ultimo, è molto utile redigere dei verbali (“meeting minutes”) delle riunioni in cui le parti discutono dell’andamento delle vendite, formulano eventuali contestazioni, concordano le conseguenze del mancato raggiungimento dei target e gli obiettivi futuri: a distanza di tempo, magari di anni, questi appunti saranno preziosi per ricostruire la volontà delle parti in un certo momento storico.
Nel caso di Blue Ribbon vs. Onitsuka, ad esempio, le parti avrebbero potuto evitare il malinteso sull’andamento delle vendite scrivendo che il produttore si attendeva un certo miglioramento delle quote di mercato in certi stati della east coast nei successivi 48 mesi e in mancanza si sarebbe potuto muovere per ricercare un nuovo distributore per quella zona, da attivare dopo la scadenza del contratto.
Il periodo di preavviso per il recesso da un contratto di distribuzione internazionale
L’altra contestazione insorta tra le parti era la violazione di un patto di non concorrenza: la vendita del brand Nike da parte di Blue Ribbon, quando il contratto vietava di vendere altre scarpe fabbricate in Giappone.
Onitsuka Tiger sosteneva che Blue Ribbon avesse violato il patto di non concorrenza, mentre il distributore riteneva di non avere avuto altra possibilità, vista l’imminente decisione del produttore di terminare l’accordo.
Questo tipo di vertenze si può evitare prevedendo con chiarezza un termine per il recesso (o per il mancato rinnovo): questo periodo ha la funzione fondamentale di permettere alle parti di prepararsi alla cessazione del rapporto e organizzare la propria attività dopo il termine.
In particolare, proprio per evitare malintesi tipo quello insorto tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger, si può prevedere che in tale periodo le parti avranno facoltà di prendere contatto con altri potenziali distributori e produttori, e che ciò non violi gli obblighi di esclusiva e di non concorrenza.
Nel caso di Blue Ribbon, in realtà, il distributore era andato ben oltre la ricerca di un altro fornitore, posto che aveva iniziato a vendere i prodotti Nike quando il contratto con Onitsuka era ancora valido: questo comportamento rappresenta una violazione grave di un accordo di esclusiva e avrebbe potuto costare molto caro al distributore.
Un aspetto particolare da considerare, a proposito del periodo di preavviso, è la durata: quanto deve essere lungo il periodo di preavviso per essere considerato congruo? Nel caso di rapporti commerciali di lungo corso, è importante dare alla parte destinataria del recesso un periodo di tempo sufficiente per riposizionarsi sul mercato, cercando distributori o fornitori alternativi oppure (come nel caso di Blue Ribbon/Nike) per creare e lanciare un proprio brand.
L’altro elemento da valutare, al momento di comunicare il recesso, è che il preavviso deve essere tale da consentire al distributore di ammortizzare gli investimenti fatti per fare fronte alle proprie obbligazioni durante il contratto; nel caso di Blue Ribbon il distributore, su espressa richiesta del produttore, aveva aperto una serie di negozi mono-marca sia sulla West che sulla East Coast.
Una chiusura del contratto poco tempo dopo il suo rinnovo e con un preavviso troppo breve non avrebbe consentito dal distributore di riorganizzare la rete di vendita con un prodotto sostituivo, forzando la chiusura dei negozi che fino a quel momento avevano venduto le scarpe giapponesi.
Generalmente è consigliabile prevedere un periodo di preavviso per il recesso di almeno 6 mesi, ma nei contratti di distribuzione internazionale va prestata attenzione, oltre agli investimenti effettuati dalle parti, anche alla quota di fatturato del distributore rappresentata dai prodotti del produttore.
Nel caso in cui questa quota nel tempo sia divenuta molto alta sarà difficile per il distributore trovare un prodotto alternativo in pochi mesi: le parti, in tal caso, dovranno tenere in considerazione l’evoluzione del rapporto, la situazione di mercato e le prospettive di riposizionamento del distributore e concordare un preavviso adeguato, anche più lungo di quello originariamente previsto nel contratto.
E’ anche importante verificare se esistono norme specifiche sulla durata del periodo di preavviso per il recesso nella legge applicabile al contratto (si veda ad esempio, un approfondimento per la distribuzione in Francia) e cosa preveda, anche in mancanza di norme sul punto, la giurisprudenza in materia di recesso dai rapporti commerciali (in taluni casi il termine ritenuto congruo per un contratto di concessione di vendita di lunga durata può arrivare a 24 mesi).
Infine, è normale che al momento della chiusura del contratto il distributore sia ancora in possesso di importanti stock di prodotti: ciò può essere problematico, ad esempio perché il distributore può porre in essere iniziative commerciali per liquidare lo stock (vendite flash o vendite tramite canali web con forti sconti) che possono andare in contrasto con le politiche commerciali del produttore e dei nuovi distributori.
Per evitare queste situazioni una clausola che si può prevedere nel contratto di distribuzione è quella relativa al diritto del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, fissando già il prezzo di riacquisto (ad esempio pari al prezzo di vendita al distributore per i prodotti della stagione in corso, con uno sconto del 30% per i prodotti della stagione precedente e con uno sconto più alto per i prodotti venduti più di 24 mesi prima).
La titolarità dei marchi in un contratto di distribuzione internazionale
Nel corso del rapporto di distribuzione Blue Ribbon aveva creato un nuovo tipo di suola per le scarpe da corsa e coniato i marchi Cortez e Boston per i modelli di punta della collezione, che avevano riscosso un grande successo tra il pubblico, guadagnando una grande popolarità: al termine del contratto entrambe le parti rivendicarono la titolarità dei marchi.
Ciò può accadere di frequente in rapporti di distribuzione internazionale: il distributore registra il marchio del produttore nel paese in cui opera, per evitare che lo faccia qualche concorrente e per poter tutelare il marchio nel caso di vendita di prodotti contraffatti; oppure accade che il distributore, come nella vertenza di cui parliamo, collabori nella creazione di nuovi marchi destinati al suo mercato.
Al termine del rapporto, in mancanza di un patto chiaro tra le parti, si può generare una vertenza come quella del caso Nike: chi è titolare, produttore o distributore?
Per evitare malintesi il primo consiglio è quello di registrare il marchio in tutti i paesi in cui vengono distribuiti i prodotti, e non solo: nel caso della Cina, ad esempio, la registrazione è bene farla comunque, per prevenire che terzi in mala fede si accaparrino il marchio (per un approfondimento vedi questo post su Legalmondo).
È poi opportuno prevedere nel contratto di distribuzione una clausola che vieta al distributore di registrare il marchio (o marchi simili) nel paese in cui opera, con espressa previsione del diritto del produttore di chiederne il trasferimento nel caso in cui ciò accadesse.
Una clausola di questo tipo avrebbe impedito l’insorgere della vertenza tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger.
I fatti che raccontiamo risalgono ai primi anni ‘70: oggi oltre a fare chiarezza sulla titolarità del marchio e sulle modalità di utilizzo da parte del distributore e della sua rete commerciale è bene che il contratto ne disciplini anche l’uso del marchio e dei segni distintivi del produttore sui canali di comunicazione, in particolare i social media.
È consigliabile si preveda in modo chiaro che il produttore è il titolare dei profili social media, dei contenuti che vengono creati, e dei dati generati dell’attività di vendita, marketing e comunicazione nel paese in cui opera il distributore, che ha solo la licenza di utilizzarli, in conformità alle istruzioni del titolare.
Inoltre, è bene che l’accordo stabilisca come verrà utilizzato il marchio e la condivisione delle politiche di comunicazione e promozione delle vendite sul mercato, per evitare iniziative che possono dare effetti negativi o controproducenti.
La clausola può anche essere rafforzata con la previsione di penali contrattuali nel caso in cui, al termine dell’accordo, il distributore si rifiuti di trasferire il controllo dei canali digitali e dei dati generati nel corso dell’attività.
La mediazione nei contratti di distribuzione commerciale internazionale
Un altro spunto interessante offerto dalla vicenda Blue Ribbon vs. Onitsuka Tiger è legato alla gestione dei conflitti nei rapporti di distribuzione internazionale: situazioni come quella che abbiamo visto possono essere risolte con efficacia grazie all’utilizzo della mediazione.
Si tratta di un tentativo di conciliazione del contenzioso, affidato ad un ente specializzato, con l’obiettivo di trovare un accordo bonario che consenta di evitare l’azione giudiziaria.
La mediazione può essere prevista in contratto come primo step, prima dell’eventuale causa o arbitrato, oppure può essere iniziata volontariamente all’interno di una procedura giudiziaria o arbitrale già in corso.
I vantaggi sono molteplici: il principale è la possibilità di trovare una soluzione commerciale che soddisfi gli interessi di entrambe le parti e possibilmente consenta la prosecuzione del rapporto, invece di limitare il confronto alle posizioni sulle quali le parti si sono arenate e che hanno portato al contenzioso.
Un altro aspetto interessante della mediazione è quello di superare i conflitti personali: nel caso di Blue Ribbon vs. Onitsuka, ad esempio, un elemento decisivo per l’escalation dei problemi tra le parti era stato il difficile rapporto personale tra il CEO di Blue Ribbon e l’Export manager del produttore giapponese, aggravato da forti differenze culturali.
La mediazione prevede l’introduzione di una figura terza, in grado di dialogare con le parti e di guidarle nell’esplorazione di soluzioni di reciproco interesse, che può rivelarsi decisiva per superare i problemi di comunicazione o le ostilità personali.
Per chi fosse interessato all’argomento rimandiamo a questo ottimo approfondimento e al replay di un recente webinar sulla mediazione dei conflitti internazionali.
Le modalità di risoluzione delle controversie
Il contenzioso tra Blue Ribbon e Onitsuka Tiger portò le parti ad iniziare due cause parallele, una negli USA (iniziata dal distributore) e una in Giappone (radicata dal produttore).
Ciò si rese possibile perché il contratto non prevedeva in modo espresso la modalità di risoluzione delle eventuali future controversie, generando così una situazione molto complicata, per di più su due fronti giudiziari in diversi paesi.
Le clausole che stabiliscono quale legge si applica ad un contratto e quale sia la modalità di risoluzione delle vertenze vengono dette “midnight clauses”, perché spesso sono le ultime clausole del contratto, negoziate a notte fonda.
Si tratta, in realtà, di clausole molto importanti, che devono essere definite in modo consapevole, per evitare soluzioni che siano inefficaci o controproducenti: rimando per un approfondimento a questo articolo su Legalmondo.
Come possiamo aiutarti
La costruzione di un accordo di distribuzione commerciale internazionale è un investimento importante, perché fissa le regole del rapporto tra le parti per il futuro e mette a loro disposizione gli strumenti per gestire tutte le situazioni che si verranno a creare nella futura collaborazione.
È fondamentale non solo negoziare e concludere un accordo corretto, completo ed equilibrato, ma anche saperlo gestire nel corso degli anni, soprattutto quando insorgono situazioni di contrapposizione.
Legalmondo offre la possibilità di lavorare con legali esperti in materia di distribuzione commerciale internazionale in oltre 63 paesi: scrivici la tua esigenza.
La legge antispreco detta « Anti-gaspillage pour une économie circulaire » AGEC n°2020-105 è stata promulgata il 10.02.2020 ed è entrata in vigore il 1.08.2021, nata con l’obiettivo di cambiare profondamente il sistema attuale da un’economia lineare (produrre, consumare, smaltire) ad una economia circolare.
Cosa prevede la normativa:
- introduzione del principio «chi inquina paga»;
- un migliore sistema di informazione del consumatore.
La legge è composta da 130 articoli delimitata in 5 aree principali di intervento:
- abbandonare la plastica mono-uso;
- informare meglio i consumatori;
- lotta allo spreco e al riutilizzo solidale;
- agire contro l’obsolescenza programmata;
- miglioramento della produzione
Lotta al greenwashing
Inoltre, la legge protegge il consumatore dell’effeto greenwashing vietando l’uso delle parole “biodegradabile”, “ecologico” o qualsiasi altra indicazione simile per qualsiasi prodotto o imballaggio.
Cosa cambia
Dal 1° gennaio 2022, tutti “metteurs sur le marché” cioè quelli che fabbricano o fanno fabbricare, quelli che importano o introducono sul territorio nazionale e che non hanno un proprio sistema di riciclaggio approvato dal governo devono secondo il tipo di prodotto venduto :
- aderire ad un eco-organismo (ce ne sono per ciascun tipologia di prodotto),
- dichiarare il volume di vendita e pagare il contributo corrispondente
- adattare l’etichetta del prodotto con le menzione obbligatorie in Francia ed il logo Triman.
Le filiere esistenti
Il logo Triman
Esistono diversi tipi di logo Triman a seconda del tipo di prodotti. Ecco alcuni esempi e scadenze
- TESSILI, BIANCHERIA E CALZATURE
Al 01.02.2023 (oppure 01.08.2023 per I prodotti fabbricati prima del 01.02.2023), il logo deve essere apposto su tutti i prodotti tessili, la biancheria per la casa e le calzature. Inoltre va apposto il logo della raccolta differenziata e vanno indicate le informazioni obbligatorie su come smaltire i rifiuti.
Le altre informazioni obbligatorie devono essere riportate in lingua francese su vari supporti come l’etichetta di composizione, temporanea, direttamente sul prodotto mediante stampa o ricamo, adesivo.
Infine, si deve aderire all’eco-organismo Re-fashion.
- MOBILI
Tutti i mobili prodotti dopo il 9.12.2022 per essere venduti in Francia devono avere il logo Triman con il corretto avviso di smistamento sul prodotto o sull’imballaggio. Gli articoli già prodotti senza il marchio possono essere venduti fino al 9.06.2023.
A partire dal momento che i distributori/ fornitori vendono direttamente sul territorio francese, devono essere iscritti all’organismo Eco-mobilier ed indicare la tassa corrispondente per ciascun mobile durante tutto il percorso di acquisto del consumatore.
- PACKAGING
Il logo è obbligatorio dal 30.11.2022 con periodo di transizione per i prodotti già immessi sul mercato francese prima di tale data, fino al 30.05.2023.
Se l’etichetta italiana corrisponde agli standard francesi, oltre ad apporre il logo Triman qui sotto, si dovrà tradurre il testo in francese.
Sanzioni
Ai sensi dell’art. L541-9-4 della legge AGEC , qualsiasi violazione degli obblighi di marcatura e di informazione comporta sanzioni pecuniarie. Tali sanzioni possono arrivare a 3.000 euro per le persone fisiche e a 15.000 euro per le persone giuridiche.
Conclusioni
Ho indicato in questo articolo sono solo esempi: gli obblighi per certi prodotti (come gli articoli sportivi) sono ancora in fase di elaborazione, ma generalmente l’iscrizione all’eco-organismo corrispondente è già obbligatoria.
E’ importante dunque, per chi esporta i propri prodotti in Francia, tenere monitorata la situazione per essere certi di adempiere alle normative, che son sempre più puntuali e stringenti.
Dopo oltre 30 anni di negoziati, gli occhi del mondo sono ora puntati sul primo accordo commerciale panafricano, entrato in vigore nel 2019: l’Area Continentale Africana di Libero Scambio (African Continental Free Trade Area – AfCFTA).
Con 55 Paesi e circa 1,3 miliardi di persone, l’Africa è il secondo continente più grande del mondo dopo l’Asia. Il potenziale del continente è enorme: più del 50 % della popolazione africana ha meno di 20 anni e la crescita demografica è la più rapida al mondo. Entro il 2050, si stima che un neonato su quattro sarà africano. Inoltre, il continente è ricco di terreni fertili e di materie prime.
Per gli investitori occidentali, negli ultimi anni l’Africa è diventata molto più importante. È emersa così una notevole quantità di scambi internazionali, anche grazie all’iniziativa “Compact with Africa”, nota anche come “Piano Marshall con l’Africa”, adottata nel 2017 dai Paesi del G20. L’obiettivo è sviluppare la cooperazione economica dell’Africa con i Paesi del G20 attraverso l’aumento degli investimenti privati.
Il commercio intra-africano, invece, è stato finora stagnante: tariffe elevate, barriere non tariffarie (non-tariff barriers – NTBs), infrastrutture deboli, corruzione, burocrazia pesante e mancanza di trasparenza e coerenza nei regolamenti hanno impedito alle esportazioni interregionali di crescere e recentemente hanno rappresentato solo il 17 % del commercio intra-africano e solo lo 0,36 % del commercio mondiale. Per questo motivo, l’Unione Africana (UA) ha da tempo messo in agenda la creazione di un’area commerciale comune.
Cosa c’è dietro l’AfCFTA?
La creazione di un’area commerciale panafricana è stata preceduta da decenni di negoziati che hanno infine portato all’entrata in vigore dell’AfCFTA il 30 maggio 2019.
L’AfCFTA è un’area di libero scambio istituita dai suoi membri che copre l’intero continente africano (con l’eccezione dell’Eritrea), rendendola la più grande area di libero scambio al mondo dopo l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) in termini di numero di Stati membri.
L’organizzazione del mercato comune è stata oggetto di diversi negoziati individuali, condotti durante le fasi I e II.
La fase I comprende i negoziati su tre protocolli ed è quasi conclusa.
Il Protocollo sugli scambi di merci
Il Protocollo prevede l’eliminazione del 90% di tutte le tariffe intra-africane in tutte le categorie di prodotti entro cinque anni dalla sua entrata in vigore. Di questi, fino al 7 % dei prodotti può essere considerato sensibile e ricevere un periodo di dieci anni per l’eliminazione delle tariffe. Per i Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries – LDCs), il periodo di preparazione è esteso da cinque a dieci anni e per i prodotti sensibili da dieci a tredici anni, a condizione che ne dimostrino la necessità. Il restante 3 % dei dazi è completamente escluso dallo smantellamento tariffario.
Il presupposto per lo smantellamento delle tariffe è una chiara delimitazione delle regole di origine. Altrimenti, le importazioni da Paesi terzi potrebbero beneficiare dei vantaggi tariffari negoziati. È già stato raggiunto un accordo sulla maggior parte delle norme di origine.
Il Protocollo sul commercio dei servizi
Finora l’Assemblea generale dell’UA ha concordato cinque aree prioritarie (trasporti, comunicazioni, turismo, servizi finanziari e servizi alle imprese) e le linee guida per gli impegni corrispondenti. 47 Stati membri dell’UA hanno già presentato le loro offerte di impegni specifici e l’esame di 28 di essi è stato completato. Inoltre, sono ancora in corso negoziati, ad esempio sul riconoscimento delle qualifiche professionali.
Il Protocollo sulla risoluzione delle controversie
Con il Protocollo sulle regole e le procedure per la risoluzione delle controversie, l’AfCFTA crea un sistema di risoluzione delle controversie sulla falsariga dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie dell’OMC. L’organo di risoluzione delle controversie (Dispute Settlement Body – DSB) amministra il Protocollo di risoluzione delle controversie dell’AfCFTA e istituisce un gruppo arbitrale (Adjudicating Panel – Panel) e un organo di appello (Appellate Body – AB). Il DSB è composto da un rappresentante per ogni Stato membro e interviene in caso di disaccordo tra gli Stati contraenti sull’interpretazione e/o l’applicazione dell’accordo in relazione ai loro diritti e obblighi.
Per la restante fase II, sono previsti negoziati sulla politica degli investimenti e della concorrenza, sulle questioni relative alla proprietà intellettuale, sul commercio elettronico e sulle donne e i giovani nel commercio, i cui risultati saranno incorporati in ulteriori protocolli.
L’attuazione dell’AfCFTA
In linea di principio, il commercio nell’ambito di un accordo commerciale può iniziare solo dopo la definizione definitiva del quadro giuridico. Tuttavia, nel dicembre 2020 i capi di Stato e di governo dell’UA hanno deciso che il commercio potrà iniziare con i prodotti per i quali sono stati conclusi i negoziati. In questo regime transitorio, dopo un ritardo dovuto alla pandemia, la prima transazione commerciale AfCFTA ha avuto luogo il 4 gennaio 2021 dal Ghana al Sudafrica.
Componenti dell’AfCFTA
Tutti i 55 membri dell’UA hanno partecipato ai negoziati dell’AfCFTA. Di questi, 47 appartengono ad almeno una delle Comunità Economiche Regionali (Regional Economic Communities – RECs) riconosciute che, secondo il preambolo dell’AfCFTA, continueranno a servire come elementi costitutivi dell’accordo commerciale. Di conseguenza, sono state le RECs a rappresentare i rispettivi membri nei negoziati dell’AfCFTA. L’AfCFTA prevede che le RECs mantengano i loro strumenti giuridici, le loro istituzioni e i loro meccanismi di risoluzione delle controversie.
All’interno dell’UA esistono otto comunità economiche regionali riconosciute, che si sovrappongono in alcuni Paesi e sono costituite da aree di libero scambio (Free Trade Areas – FTAs) o unioni doganali.
Nell’ambito dell’AfCFTA, le RECs hanno diverse missioni. Questi includono:
- coordinamento delle posizioni negoziali e sostegno agli Stati membri nell’attuazione dell’accordo;
- mediazione orientata alla soluzione in caso di disaccordo tra gli Stati membri;
- aiutare gli Stati membri ad armonizzare i dazi doganali e le altre norme di protezione delle frontiere;
- promuovere l’uso della procedura di notifica dell’AfCFTA per ridurre le NTBs.
Prospettive dell’AfCFTA
L’AfCFTA ha il potenziale per facilitare l’integrazione dell’Africa nell’economia globale e crea una reale opportunità di riorientare i modelli di integrazione e cooperazione internazionale.
Un accordo commerciale da solo non garantisce il successo economico. Affinché l’accordo raggiunga l’obiettivo prefissato, gli Stati membri devono avere la volontà politica di attuare le nuove norme in modo coerente e di costruire la capacità necessaria per farlo. In particolare, dovrebbero essere fondamentali l’eliminazione a breve termine delle barriere al commercio e lo sviluppo di un’infrastruttura fisica e digitale sostenibile.
Se siete interessati all’AfCFTA, potete leggere qui una versione estesa di questo articolo.
Lo sportello africano di Legalmondo
Con i nostri esperti in Algeria, Camerun, Côte d’Ivoire, Egitto, Ghana, Libia, Marocco, Senegal, Sudan, Tunisia e Malawi, supportiamo le aziende nei loro investimenti e progetti commerciali in Africa.
Possiamo anche supportare le aziende straniere nei Paesi africani in cui non siamo direttamente rappresentati da un ufficio, attraverso la nostra rete di partner locali.
Come funziona
- Organizziamo un incontro (di persona o online) con uno dei nostri esperti per capire le esigenze del cliente.
- Una volta iniziata la collaborazione, accompagniamo il cliente con un avvocato in tutte le sue questioni legali (casi singoli o assistenza legale continua).
Contattateci per saperne di più.
Summary
Political, environmental or health crises (like the Covid-19 outbreak and the attack of Ukraine by the Russian army) can cause an increase in the price of raw materials and components and generalized inflation. Both suppliers and distributors find themselves faced with problems related to the often sudden and very substantial increase in the price of their own supplies. French law lays down specific rules in that regard.
Two main situations can be distinguished: where the parties have just established a simple flow of orders and where the parties have concluded a framework agreement fixing firm prices for a fixed term.
Price increase in a business relationship
The situation is as follows: the parties have not concluded a framework agreement, each sales contract concluded (each order) is governed by the General T&Cs of the supplier; the latter has not undertaken to maintain the prices for a minimum period and applies the prices of the current tariff.
In principle, the supplier can modify its prices at any time by sending a new tariff. However, it must give written and reasonable notice in accordance with the provisions of Article L. 442-1.II of the Commercial Code, before the price increase comes into effect. Failure to respect sufficient notice, it could be accused of a sudden “partial” termination of commercial relations (and subject to damages).
A sudden termination following a price increase would be characterized when the following conditions are met:
- the commercial relationship must be established: broader concept than the simple contract, taking into account the duration but also the importance and the regularity of the exchanges between the parties;
- the price increase must be assimilated to a rupture: it is mainly the size of the price increase (+1%, 10% or 25%?) that will lead a judge to determine whether the increase constitutes a “partial” termination (in the event of a substantial modification of the relationship which is nevertheless maintained) or a total termination (if the increase is such that it involves a termination of the relationship) or if it does not constitute a termination (if the increase is minimal);
- the notice granted is insufficient by comparing the duration of the notice actually granted with that of the notice in accordance with Article L. 442-1.II, taking into account in particular the duration of the commercial relationship and the possible dependence of the victim of the termination with respect to the other party.
Article L. 442-1.II must be respected as soon as French law applies to the relation. In international business relations, to know how to deal with Article L.442-1.II and conflicts of laws and jurisdiction of competent courts, please see our previous article published on Legalmondo blog.
Price increase in a framework contract
If the parties have concluded a framework contract (such as supply, manufacturing, …) for several years and the supplier has committed to fixed prices, how, in this case, can it change these prices?
In addition to any indexation clause or renegotiation (hardship) clause which would be stipulated in the contract (and besides specific legal provisions applicable to special agreements as to their nature or economic sector), the supplier may seek to avail himself of the legal mechanism of “unforeseeability” provided for by article 1195 of the civil code.
Three prerequisites must be cumulatively met:
- an unforeseeable change in circumstances at the time of the conclusion of the contract (i.e.: the parties could not reasonably anticipate this upheaval);
- a performance of the contract that has become excessively onerous (i.e.: beyond the simple difficulty, the upheaval must cause a disproportionate imbalance);
- the absence of acceptance of these risks by the debtor of the obligation when concluding the contract.
The implementation of this mechanism must stick to the following steps:
- first, the party in difficulty must request the renegotiation of the contract from its co-contracting party;
- then, in the event of failure of the negotiation or refusal to negotiate by the other party, the parties can (i) agree together on the termination of the contract, on the date and under the conditions that they determine, or (ii) ask together the competent judge to adapt it;
- finally, in the absence of agreement between the parties on one of the two aforementioned options, within a reasonable time, the judge, seized by one of the parties, may revise the contract or terminate it, on the date and under the conditions that he will set.
The party wishing to implement this legal mechanism must also anticipate the following points:
- article 1195 of the Civil Code only applies to contracts concluded on or after October 1, 2016 (or renewed after this date). Judges do not have the power to adapt or rebalance contracts concluded before this date;
- this provision is not of public order. Therefore, the parties can exclude it or modify its conditions of application and/or implementation (the most common being the framework of the powers of the judge);
- during the renegotiation, the supplier must continue to sell at the initial price because, unlike force majeure, unforeseen circumstances do not lead to the suspension of compliance with the obligations.
Key takeaways:
- analyse carefully the framework of the commercial relationship before deciding to notify a price increase, in order to identify whether the prices are firm for a minimum period and the contractual levers for renegotiation;
- correctly anticipate the length of notice that must be given to the partner before the entry into force of the new pricing conditions, depending on the length of the relationship and the degree of dependence;
- document the causes of the price increase;
- check if and how the legal mechanism of unforeseeability has been amended or excluded by the framework contract or the General T&Cs;
- consider alternatives strategies, possibly based on stopping production/delivery justified by a force majeure event or on the significant imbalance of the contractual provisions.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Under French Law, franchisors and distributors are subject to two kinds of pre-contractual information obligations: each party has to spontaneously inform his future partner of any information which he knows is decisive for his consent. In addition, for certain contracts – i.e franchise agreement – there is a duty to disclose a limited amount of information in a document. These pre-contractual obligations are mandatory. Thus these two obligations apply simultaneously to the franchisor, distributor or dealer when negotiating a contract with a partner.
General duty of disclosure for all contractors
What is the scope of this pre-contractual information?
This obligation is imposed on all co-contractors, to any kind of contract. Indeed, article 1112-1 of the Civil Code states that:
(§. 1) The party who knows information of decisive importance for the consent of the other party must inform the other party if the latter legitimately ignores this information or trusts its co-contractor.
(§. 3) Of decisive importance is the information that is directly and necessarily related to the content of the contract or the quality of the parties. »
This obligation applies to all contracting parties for any type of contract.
Who must prove the compliance with such provision ?
The burden of proof rests on the person who claims that the information was due to him. He must then prove (i) that the other party owed him the information but (ii) did not provide it (Article 1112-1 (§. 4) of the Civil Code)
Special duty of disclosure for franchise and distribution agreements
Which contracts are subject to this special rule?
French law requires (art. L.330-3 French Commercial Code) communication of a pre-contractual information document (in French “DIP”) and the draft contract, by any person:
- which grants another person the right to use a trade mark, trade name or sign,
- while requiring an exclusive or quasi-exclusive commitment for the exercise of its activity (e.g. exclusive purchase obligation).
Concretely, DIP must be provided, for example, to the franchisee, distributor, dealer or licensee of a brand, by its franchisor, supplier or licensor as soon as the two above conditions are met.
When the DIP must be provided?
DIP and draft contract must be provided at least 20 days before signing the contract, and, where applicable, before the payment of the sum required to be paid prior to the signature of the contract (for a reservation).
What information must be disclosed in the DIP?
Article R. 330-1 of the French Commercial Code requires that DIP mentions the following information (non-detailed list) concerning:
- Franchisor (identity and experience of the managers, career path, etc.);
- Franchisor’s business (in particular creation date, head office, bank accounts, historical of the development of the business, annual accounts, etc.);
- Operating network (members list with indication of signing date of contracts, establishments list offering the same products/services in the area of the planned activity, number of members having ceased to be part of the network during the year preceding the issue of the DIP with indication of the reasons for leaving, etc.);
- Trademark licensed (date of registration, ownership and use);
- General state of the market (about products or services covered by the contract)and local state of the market (about the planned area) and information relating to factors of competition and development perspective;
- Essential element of the draft contract and at least: its duration, contract renewal conditions, termination and assignment conditions and scope of exclusivities;
- Financial obligations weighing in on contracting party: nature and amount of the expenses and investments that will have to be incurred before starting operations (up-front entry fee, installation costs, etc.).
How to prove the disclosure of information?
The burden of proof for the delivery of the DIP rests on the debtor of this obligation: the franchisor (Cass. Com., 7 July 2004, n°02-15.950). The ideal for the franchisor is to have the franchisee sign and date his DIP on the day it is delivered and to keep the proof thereof.
The clause of contract indicating that the franchisee acknowledges having received a complete DIP does not provide proof of the delivery of a complete DIP (Cass. com, 10 January 2018, n° 15-25.287).
Sanction for breach of pre-contractual information duties
Criminal sanction
Failing to comply with the obligations relating to the DIP, franchisor or supplier can be sentenced to a criminal fine of up to 1,500 euros and up to 3,000 euros in the event of a repeat offence, the fine being multiplied by five for legal entities (article R.330-2 French commercial Code).
Cancellation of the contract for deceit
The contract may be declared null and void in case of breach of either article 1112-1 or article L. 330-3. In both cases, failure to comply with the obligation to provide information is sanctioned if the applicant demonstrates that his or her consent has been vitiated by error, deceit or violence. Where applicable, the parties must return to the state they were in before the contract.
Regarding deceit, Courts strictly assess its two conditions which are:
- (a material element) the existence of a lie or deceptive reticence (article 1137 French Civil Code);
- And (an intentional element) the intention to deceive his co-contractor (article 1130 French Civil Code).
Damages
Although the claims for contract cancellation are subject to very strict conditions, it remains that franchisees/distributors may alternatively obtain damages on the basis of tort liability for non-compliance with the pre-contractual information obligation, subject to proof of fault (incomplete or incorrect information), damage (loss of chance of not contracting or contracting on more advantageous terms) and the causal link between the two.
French case law
Franchisee/distributor must demonstrate that he would not have actually entered into the contract if he had had the missing or correct information
Courts reject motion for cancellation of a franchise contract when the franchisee cannot prove that this deceit would have misled its consent or that it would not have entered into the contract if it had had such information (for instance: Versailles Court of Appeal, December 3, 2020, no. 19/01184).
The significant experience of the franchisee/distributor greatly mitigates the possible existence of a defect in consent.
In a ruling of January 20, 2021 (no. 19/03382) the Paris Court of Appeal rejected an application for cancellation of a franchise contract where the franchisor had submitted a DIP manifestly and deliberately deficient and an overly optimistic turnover forecast.
Thus, while the presentation of the national market was not updated and too vague and that of the local market was just missing, the Court rejected the legal qualification of the franchisee’s error or the franchisor’s willful misrepresentation, because the franchisee “had significant experience” for several years in the same sector (See another example for a Master franchisee)
Similarly, the Court reminds that “An error concerning the profitability of the concept of a franchise cannot lead to the nullity of the contract for lack of consent of the franchisee if it does not result from data established and communicated by the franchisor“, it does not accept the error resulting from the communication by the franchisor of a very optimistic turnover forecast tripling in three years. Indeed, according to the Court, “the franchisee’s knowledge of the local market was likely to enable it to put the franchisor’s exaggerations into perspective, at least in part. The franchisee was well aware that the forecast document provided by the franchisor had no contractual value and did not commit the franchisor to the announced results. It was in fact the franchisee’s responsibility to conduct its own market research, so that if the franchisee misunderstood the profitability of the operation at the business level, this error was not caused by information prepared and communicated by the franchisor“.
The path is therefore narrow for the franchisee: he cannot invoke error concerning profitability when it is him who draws up his plan, and even when this plan is drawn up by the franchisor or based on information drawn up and transmitted by the franchisor, the experience of the franchisee who knew the local market may exonerate the franchisor.
Takeaways
- The information required by the DIP must be fully completed and updated ;
- The information not required by the DIP but communicated by the franchisor must be carefully selected and sincere;
- Franchisee must be given the opportunity to request additional information from the franchisor;
- Franchisee’s experience in the economic sector enables the franchisor to considerably limit its exposure to the risk of contract cancellation due to a defect in the franchisee’s consent;
- Franchisor must keep the proof of the actual disclosure of pre-contractual information (whether mandatory or not).