- Germania
Germany – New Packaging Act
27 Dicembre 2018
- Distribuzione
- Diritto alimentare
Quando il contratto di agenzia è da considerarsi internazionale?
Secondo le norme di diritto internazionale privato vigenti in Italia (Art.1 Reg. 593/08 “Roma I”) il contratto si considera internazionale “in circostanze che comportino un conflitto di leggi”.
Le circostanze che più spesso comportano un conflitto di leggi in un contratto di agenzia, rendendolo quindi “internazionale”, sono (i) l’ubicazione della sede del preponente in un Paesi diverso dalla sede dell’agente; oppure (ii) l’esecuzione del contratto all’estero, anche quando il preponente e l’agente abbiano sede nello stesso Paese.
Quando si applica la legge italiana ad un contratto di agenzia?
Sempre in base al Regolamento “Roma I”, in linea di principio il diritto italiano si può applicare ad un contratto di agenzia internazionale (i) se viene scelto delle parti come legge regolatrice del contratto (in modo espresso o nelle altre modalità indicate dall’art.3); oppure (ii) in mancanza di scelta, quando l’agente risieda o abbia sede in Italia (secondo il concetto di “residenza” contenuto all’art.19).
Qual è la disciplina principale del contratto di agenzia in Italia?
In Italia, le norme sostanziali che regolano il contratto di agenzia ed in particolare il rapporto fra le parti preponente ed agente, sono prevalentemente contenute negli articoli da 1742 a 1753 del Codice Civile, che sono stati modificati in più occasioni con il recepimento della Direttiva 653/86/CE.
Qual è il ruolo degli accordi economici collettivi?
Da molti anni, in Italia, i contratti di agenzia sono regolati anche dagli Accordi Economici Collettivi (AEC), ovvero quegli accordi che vengono stipulati periodicamente dalle associazioni rappresentative dei preponenti e degli agenti in vari settori (industria, commercio e diversi altri).
Dal punto di vista della loro efficacia, se ne distinguono due tipologie: gli AEC aventi forza di legge (efficacia “erga omnes”) i quali peraltro contengono norme piuttosto generali e hanno quindi un campo di applicazione limitato; e gli AEC “di diritto comune”, che si sono via via avvicendati nel corso degli anni e sono finalizzati a vincolare solo preponenti ed agenti iscritti a tali associazioni.
In generale, gli Accordi Economici Collettivi intendono recepire le norme del Codice Civile (e, di riflesso, quelle della Direttiva 653/86) ma – soprattutto quelli di diritto comune – introducono deroghe anche rilevanti. Ad esempio, essi consentono al preponente modifiche unilaterali alla zona, ai prodotti, alla clientela, alla misura della provvigione; regolano in maniera parzialmente diversa la durata del periodo di preavviso per il recesso dai contratti a tempo indeterminato; quantificano il compenso per il patto di non concorrenza post-contrattuale; hanno una peculiare disciplina in materia di indennità di risoluzione del rapporto.
Sull’indennità di fine rapporto, in particolare, gli AEC hanno generato non pochi problemi di conformità con la Direttiva 653/86/CE, di cui si è occupata anche la Corte di Giustizia CE ma tuttora non del tutto risolti per effetto di una costante giurisprudenza delle Corti italiane che, di fatto, mantiene tale trattamento in vigore.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che i contratti collettivi abbiano una sfera di applicazione geografica limitata al territorio italiano.
Gli AEC regolano dunque automaticamente il contratto di agenzia se la legge regolatrice è quella italiana e se il contratto viene eseguito dall’agente in Italia, ma (nel caso degli accordi di diritto comune) all’ulteriore condizione che entrambe le parti siano iscritte ad una delle associazioni che hanno stipulato tali Accordi (secondo una parte della dottrina, è sufficiente che vi sia iscritta anche solo la parte preponente).
Anche in mancanza di tali condizioni cumulative, tuttavia, gli AEC di diritto comune potranno ugualmente valere se siano richiamati espressamente nel contratto, oppure se le loro disposizioni vengano costantemente applicate dalle parti.
Quali sono gli altri principali requisiti e adempimenti in materia di contratto di agenzia?
L’Enasarco
L’Enasarco è una Fondazione di diritto privato alla quale devono, per legge, essere obbligatoriamente iscritti gli agenti in Italia.
La Fondazione Enasarco amministra principalmente un fondo di previdenza integrativo per gli agenti ed un fondo per l’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia (calcolata secondo i criteri dell’AEC di riferimento per il settore).
Tipicamente, nei contratti di agenzia “domestici”, il preponente iscrive l’agente presso l’Enasarco e versa i contributi ad entrambi i fondi durante l’intero rapporto.
Tuttavia, mentre l’iscrizione e il versamento dei contributi previdenziali sono sempre obbligatori in quanto previsti dalla legge, viceversa la contribuzione al FIRR (fondo indennità risoluzione del rapporto) è obbligatoria solo in quei contratti di agenzia ai quali si applicano gli AEC di diritto comune.
Quali sono le regole per i contratti internazionali?
Per quanto riguarda l’iscrizione all’Enasarco, a fronte di una disciplina legislativa e regolamentare non molto chiara, un contributo interpretativo importante è stato fornito dal Ministero del Lavoro nel 2013 in risposta ad un interpello (19.11.13 n.32).
Il Ministero, riferendosi alla disciplina europea (Regolamento CE n.883/2004 come modificato dal Regolamento (CE) n. 987/2009) ha chiarito che l’iscrizione all’Enasarco è obbligatoria nei seguenti casi:
- agenti che operano sul territorio italiano in nome e per conto di preponenti italiani o esteri aventi una sede o una dipendenza in Italia;
- agenti italiani o stranieri che operano in Italia in nome e/o per conto di preponenti italiani o stranieri anche se privi di sede o dipendenza in Italia;
- agenti che risiedono in Italia e qui svolgono una parte sostanziale della loro attività;
- agenti che non risiedono in Italia, ma hanno in Italia il proprio centro di interessi;
- agenti che operano abitualmente in Italia ma si recano a svolgere attività esclusivamente all’estero per una durata non superiore a 24 mesi.
Nei rapporti di agenzia da eseguirsi al di fuori del territorio UE, non applicandosi i Regolamenti appena citati, sarà opportuno verificare di volta in volta se l’obbligo di osservare la legislazione previdenziale italiana sia previsto da eventuali trattati internazionali di cui facciano parte i Paesi delle due parti.
Camera di Commercio e Registro delle Imprese
Chiunque intenda avviare un’attività quale agente di commercio in Italia, ha l’obbligo di effettuare una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) alla Camera di Commercio territorialmente competente la quale iscrive l’agente al Registro delle Imprese se l’agente ha forma di impresa, o viceversa ad una sezione apposita del REA (Repertorio delle Notizie Economiche ed Amministrative) della Camera stessa (D. Lgs.59 del 26.3.2010 che ha recepito a Direttiva 2006/123/CE “Direttiva Servizi”).
Tali formalità hanno sostituito l’iscrizione al vecchio “ruolo agenti” che è stato soppresso dalla suddetta legge, la quale prevede inoltre tutta una serie di requisiti che gli agenti debbono avere al fine di poter avviare l’attività ( tali requisiti riguardano istruzione, esperienza, assenza di condanne, ecc.).
Benché la mancanza della suddetta iscrizione non comporti la nullità del contratto, è opportuno che il preponente, prima di conferire l’incarico ad un agente italiano, si accerti che questi l’abbia effettuata in quanto è comunque obbligatoria.
Competenza territoriale per le controversie (art.409 e seguenti c.p.c.)
In base agli artt.409 e seguenti del Codice di Procedura Civile, nel caso in cui l’agente svolga la sua prestazione contrattuale a carattere prevalentemente personale anche se in forma autonoma (agente “parasubordinato”) la sottoposizione del contratto alla legge italiana ed al foro italiano comporterà che eventuali controversie derivanti dal contratto di agenzia saranno inderogabilmente sottoposte al Giudice del lavoro nella circoscrizione in cui si trova il domicilio dell’agente (v. art.413 c.p.c.) ed il processo seguirà il “rito del lavoro” ovvero regole procedurali analoghe a quelle valevoli nelle controversie nell’ambito del lavoro subordinato.
Questa regola, in linea di principio, varrà quando l’agente stipuli il contratto personalmente o come ditta individuale, mentre l’opinione prevalente è che non si applichi nel caso in cui l’agente rivesta la forma di società.
Applicazione delle regole ai casi più frequenti di contratto internazionale di agenzia
Cerchiamo ora di adattare le regole sopra descritte alle situazioni più frequenti di contratto internazionale di agenzia, tenendo presente che si tratta di semplici esempi schematici, dovendosi in realtà verificare di volta in volta con attenzione le circostanze del caso specifico.
Preponente italiano ed Agente estero – contratto da eseguirsi all’estero
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti, salve le eventuali norme imperative del Paese dove l’agente risiede od opera, secondo le norme del Regolamento Roma I.
AEC: non regolano il contratto automaticamente (in quanto l’agente opera all’estero) ma solo ove espressamente richiamati o di fatto applicati. Questo potrebbe accadere più o meno intenzionalmente, ad esempio se il preponente italiano decidesse di adottare anche per gli agenti esteri gli stessi modelli di contratto utilizzati per agenti italiani, contenenti riferimenti agli accordi economici collettivi.
Enasarco: non vi sono normalmente obblighi di iscrizione né di contribuzione a favore dell’agente non italiano che risiede e svolge l’attività contrattuale esclusivamente all’estero.
Camera di Commercio: non vi è obbligo di iscrizione stanti i suddetti presupposti.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): se fosse validamente pattuito il foro italiano, l’agente estero anche se persona fisica o ditta individuale non potrebbe far valere questa disposizione per spostare la causa presso le corti del proprio Paese in quanto l’art.413 c.p.c. è una norma sulla competenza interna che presuppone l’ubicazione dell’agente in Italia. Inoltre, tale norma dovrebbe soccombere di fronte alle regole di giurisdizione stabilite dalla legislazione UE, come ha stabilito la Corte di Cassazione italiana e come ritiene autorevole dottrina.
Preponente estero ed Agente italiano – contratto da eseguirsi in Italia
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti oppure, anche in mancanza di scelta, per effetto della residenza o sede in Italia dell’agente.
AEC: quelli aventi forza di legge (“erga omnes”) regolano il contratto, mentre quelli di diritto comune difficilmente si applicheranno in modo automatico (il preponente estero solitamente non sarà iscritto alle associazioni italiane che hanno stipulato l’AEC) ma potrebbero nondimeno valere se richiamati nel contratto o se applicati di fatto.
Enasarco: il preponente estero dovrà iscrivere l’agente italiano all’Enasarco, pena sanzioni e/o richieste di risarcimento danni da parte dell’agente. In conseguenza dell’iscrizione, il preponente dovrà assolvere all’obbligo di contribuzione previdenziale mentre non dovrebbe sussistere l’obbligo di versamento al Fondo Indennità di Fine Rapporto. Tuttavia, un preponente che effettuasse i versamenti periodici al FIRR anche quando non dovuti, potrebbe ritenersi avere tacitamente accettato gli AEC come applicabili al rapporto di agenzia.
Camera di commercio: l’agente italiano dovrà risultare iscritto alla CCIAA ed a questo proposito è opportuno che il preponente verifichi che lo sia effettivamente, prima di stipulare il contratto.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.):se il foro competente è quello italiano (per scelta delle parti o anche in assenza di scelta in quanto luogo della prestazione dei servizi secondo il Regolamento 1215/12) e se l’agente è persona fisica o ditta individuale situata in Italia, varrà la regola in questione.
Preponente italiano ed Agente italiano – contratto da eseguirsi all’estero
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti oppure, in mancanza di qualsiasi scelta, se l’agente risieda o abbia sede in Italia.
AEC: non dovrebbero valere (eseguendosi il contratto all’estero) se non espressamente richiamati o applicati.
Enasarco: secondo l’orientamento del Ministero del Lavoro, l’obbligo di iscrizione sussiste qualora l’agente, pur essendo stato incaricato per l’estero, risieda e svolga una parte sostanziale dell’attività in Italia o abbia qui il centro dei propri interessi oppure si rechi all’estero per un periodo non superiore a 24 mesi, se valgono i Regolamenti UE. In caso di rapporto da eseguirsi in Paesi extra UE, l’obbligatorietà dell’iscrizione sarà da verificare di volta in volta.
Camera di commercio: l’agente che abbia avviato l’attività e si sia giuridicamente costituito in Italia è tenuto in linea di principio ad iscriversi presso la Camera di Commercio.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): la regola vale se l’agente è persona fisica o ditta individuale italiana e sia contrattualmente pattuito il foro in Italia.
Preponente estero ed agente estero – contratto da eseguirsi in Italia
Legge italiana: in linea di principio regola il contratto solo se scelta dalle parti.
AEC: se il contratto è regolato dalla legge italiana, valgono gli accordi aventi forza di legge, non invece quelli di diritto comune se non espressamente richiamati o di fatto applicati.
Enasarco: secondo l’orientamento del Ministero del Lavoro, sulla base dei Regolamenti UE l’obbligo di iscrizione potrebbe sussistere per il preponente estero anche a favore dell’agente che risieda all’estero se opera in Italia o se ha in Italia il centro dei propri interessi. Viceversa, il caso andrà verificato di volta in volta in base alle norme vigenti.
Camera di commercio: in linea di principio, l’agente che si sia giuridicamente costituito all’estero non è tenuto ad assolvere agli obblighi di iscrizione in Italia. Tuttavia, la questione potrebbe essere più complessa se l’agente avesse una sede e svolgesse prevalentemente la propria attività in Italia (il che potrebbe avere un impatto anche sulla determinazione del diritto applicabile).
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): in assenza di scelta diversa, il foro italiano potrebbe essere competente in quanto luogo di prestazione dei servizi, tuttavia le norme in questione non dovrebbero applicarsi se l’agente (persona fisica o ditta individuale) non abbia una sede in Italia.
Conclusioni
Si auspica che le osservazioni svolte fino a qui, pur non esaustive, siano utili per comprendere le possibili conseguenze dell’applicazione della legge italiana ad un contratto internazionale di agenzia e per fare delle scelte oculate in sede di redazione del contratto. Come sempre, si raccomanda di non basarsi acriticamente su modelli o precedenti senza adeguata considerazione delle circostanze del caso.
„Prodotti di lusso giustificano divieti di distribuire su piattaforme terze” recita il Comunicato stampa n. 30/2018 della Corte d’Appello di Francoforte del 12.07.2018.
Dopo la sentenza Coty della CGUE, a lungo attesa (vedi l’articolo di dicembre 2017 https://www.legalmondo.com/it/2017/12/corte-di-giustizia-ue-ammette-la-restrizione-alle-vendite-online-sentenza-coty/), la Corte d’Appello di Francoforte sul Meno ha applicato le indicazioni della CGUE, (i) ribadendo la possibilità di limitare la rivendita attraverso piattaforme terze. Nel corso di questo post, inoltre, vedremo anche la (ii) recente pronuncia della Corte d’Appello di Amburgo, che ha esteso il principio della sentenza Coty anche ad altre merci dal valore qualitativo elevato, ma al di fuori del segmento del lusso. In conclusione, poi, (iii) alcuni suggerimenti pratici.
Prodotti di lusso giustificano i divieti di usare piattaforme
Ai sensi della sentenza della Corte d’Appello di Francoforte, Coty può inibire al distributore la distribuzione tramite piattaforme di terzi. Nel contratto di distribuzione selettiva adottato da Coty, ogni rivenditore era libero di instaurare cooperazioni pubblicitarie con piattaforme terze, nelle quali i clienti vengono indirizzati al negozio internet del rivenditore. Il divieto di distribuzione su market-place, sarebbe invece ammissibile già sulla base del Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali, in quanto non rappresenterebbe una restrizione fondamentale. Il divieto di distribuzione potrebbe essere esentato persino dal divieto di cartelli nell’ambito di una distribuzione selettiva; nel presente caso sarebbe soltanto dubbio se il divieto di qualsiasi “cooperazione di vendita con una piattaforma terza riconoscibile esternamente da altri e senza riguardo alla sua concreta strutturazione stia in rapporto ragionevole con il fine perseguito” (testo tradotto dall’originale in tedesco), sia quindi proporzionato o incida sull’attività concorrenziale del rivenditore. La Corte ha lasciato aperta questa questione.
Anche altri merci di alto valore giustificano i divieti di usare piattaforme
Il caso deciso dalla Corte d’Appello di Amburgo (Decisione del 22.03.2018, fasc. n. 3 U 250/16) concerne un sistema di distribuzione selettiva qualitativo per integratori alimentari e cosmetici, il quale avviene tramite Network Marketing così come via Internet. Le linee guida distributive contengono, tra le altre cose, concrete indicazioni sulla pagina internet del rivenditore, possibilità di prendere direttamente contatto con i clienti in base al “principio della vendita di merci fatta su persona” (in quanto il sistema distributivo mira a vendere il prodotto tagliato sulle esigenze personali dei clienti nell’ambito di una consulenza personalizzata) così come della qualità dell’informazione e della rappresentazione del prodotto. Espressamente vietata sarebbe “la distribuzione … tramite eBay e altre piattaforme commerciali internet paragonabili”, in quanto esse non sarebbero conformi ai requisiti qualitativi, in ogni caso non “in base allo stato attuale” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Il Tribunale di prima istanza ha ritenuto ammissibile il divieto di far uso di piattaforme (Tribunale di Amburgo, sentenza del 04.11.2016, fasc. n. 315 O 396/15) – cosa che la Corte d’Appello di Amburgo ha ora confermato. Ciò in quanto, secondo la Corte d’Appello, sistemi di distribuzione selettiva qualitativi sarebbero ammissibili non solo per beni di lusso e tecnicamente dal valore alto, bensì anche per (ulteriori) merci di alto valore qualitativo, “qualora le merci distribuite siano di alta qualità e la distribuzione sia indirizzata a prestazioni accompagnatorie di consulenza e assistenza per il cliente, con cui tra l’altro si persegue il fine di spiegare al cliente un prodotto finale il quale nel complesso sia sofisticato, qualitativamente di alto valore e dal prezzo elevato e di costruire o conservare una particolare immagine del prodotto” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Nell’ambito di un tale sistema di distribuzione selettiva per la distribuzione di integratori alimentari e cosmetici potrebbe quindi essere ammissibile “tramite corrispondenti linee guida d’impresa, vietare al partner distributivo la distribuzione di tali merci su determinate piattaforme di vendita online, al fine di preservare l’immagine di prodotto e la prassi di una consulenza legata al cliente in grado di contribuire a creare tale immagine, così come al fine di evitare pratiche commerciali di singoli partner distributivi lesive dell’immagine del prodotto e dell’immagine, le quali siano state accertate nel passato e conseguentemente perseguite” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Una particolarità qui: non si trattava di “puri prodotti di prestigio“ – inoltre la Corte d’Appello non si era limitata all’accertamento che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile ai sensi dell’art. 2 Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali e pratiche concordate, ma la Corte ha declinato in modo preciso e passo-passo i c.d. criteri Metro.
Conclusioni
- Internet resta un motore di crescita per beni di consumo, come anche i dati di mercato della associazione commercianti della Germania confermano: “Online-Handel bleibt Wachstumstreiber“.
- Al tempo stesso, proprio i produttori di marca vogliono una crescita regolata ai sensi delle regole del loro sistema di distribuzione e secondo le loro indicazioni. Di ciò fanno parte, proprio per prodotti di lusso e tecnicamente sofisticati così come ulteriori prodotti richiedenti una consulenza intensiva, indicazioni stringenti sulla pubblicazione della marca e sulla pubblicità (indicazioni su clausole applicabili a negozi fisici, divieti di piazze di mercato) e sui servizi da fornire (ad es. chat e/o numero telefonico con indicazioni sulla disponibilità).
- I produttori dovrebbero verificare se i loro divieti di usare piattaforme siano conformi ai requisiti della CGUE oppure se essi possono instaurare divieti di usare piattaforme – nella distribuzione selettiva, esclusiva, di franchising e in quella aperta.
- Chi vuole correre minori rischi possibili, dovrebbe, al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso, essere ancora prudente con divieti di usare piattaforme – ciò in quanto anche l’Ufficio Federale dei Cartelli ha come prima reazione dichiarato che la sentenza Coty vale solo per prodotti originariamente di lusso: “#Produttori di marca non hanno, ora come prima, nessuna carta bianca per #divieti di piattaforme. Prima valutazione: Ripercussioni limitate sulla nostra prassi” (BKartA su Twitter, 6.12.2017). In senso contrario si è ora posizionata la Commissione Europea: nella sua “Competition Policy Brief” di Aprile 2018 („EU competition rules and marketplace bans: Where do we stand after the Coty judgment?“) la Commissione – alquanto tra parentesi – tiene fermo il fatto che l’argomentazione adottata dalla CGUE nel caso Coty vale anche indipendentemente dal carattere di lusso dei prodotti distribuiti:
“Gli argomenti prodotti dalla Corte sono validi indipendentemente dalla categoria di prodotti coinvolti (ossia, nel caso di specie, beni di lusso) e sono applicabili egualmente a prodotti non di lusso. Se un divieto di usare piattaforme ha l’obiettivo di restringere il territorio in cui il prodotto può essere venduto o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti o se limita le vendite passive del distributore, ciò non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (traduzione dal testo originale in inglese)
Effettivamente la Corte di Giustizia UE nella sentenza ha definito “merci di lusso” in modo ampio: come merci la cui qualità “non poggia solo sulle sue caratteristiche materiali”, bensì su valori immateriali – cosa che per quanto riguarda merci di marca generalmente risulta vero (cfr. sentenza Coty della Corte di Giustizia UE del 06.12.2017, n. 25 così come, per quanto riguarda “merci di qualità”, le Conclusioni finali del 26.07.2017 dell’Avvocato Generale presso l’UE, n. 92). Inoltre la Corte di Giustizia UE richiede soltanto che le merci siano comprate “anche” per il loro carattere di prestigio, non “soltanto” o “soprattutto” per quello. Tutto ciò gioca a favore dei produttori di marca, che pare possano assumere divieti di utilizzo di piattaforme nei loro contratti di distribuzione – quantomeno entro una quota di mercato fino a un massimo del 30%.
- Chi non ha alcun timore di affrontare rivenditori e autorità dei cartelli, può erigere divieti di utilizzo di piattaforme assolutamente anche al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso – o puntare in modo ancora più forte su prodotti Premium o di lusso – come ad esempio nel caso della catena di profumi Douglas (cfr. Süddeutsche Zeitung dell’08.03.2018, pag. 15: “Attiva e non convenzionale, Tina Müller termina gli sconti presso Douglas e punta sul lusso”(traduzione dal testo originale in tedesco)).
- Per assicurare una qualità uniforme della distribuzione si possono inserire delle indicazioni qualitative stringenti, soprattutto rispetto alla distribuzione online. La lista delle possibili indicazioni qualitative è molto ampia. Tra questi, si riportano alcune “Best Practice” piuttosto frequenti:
– Il posizionamento come rivenditore (piattaforma, assortimento, comunicazione)
– la configurazione della pagina internet (qualità, l’impressione, ecc.)
– il contenuto e l’offerta di prodotto della pagina internet,
– la esecuzione delle compravendite online,
– la consulenza e il servizio clienti così come
– la pubblicità.
- Essenziale è inoltre che i produttori non possono vietare completamente il commercio internet ai rivenditori e le indicazioni distributive non possono nemmeno avvicinarsi a un tale completo divieto – come ora vedono i tribunali nel caso del divieto di usare strumenti di ricerca dei prezzi da parte di Asics, vedi a tal riguardo l’articolo dell’aprile 2018 (https://www.legalmondo.com/it/2018/04/germania-divieto-strumenti-di-comparazione-prezzi-e-pubblicita-su-piattaforme-terze/).
- Ulteriori dettagli sono presenti nelle riviste giuridiche in lingua tedesca:
– Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41
– Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattform-verboten nach dem EuGH-Urteil Coty, in: DB 2018, 300-306
– Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, 120-123
– Rohrßen, Internetvertrieb nach Coty – Von Markenware, Beauty und Luxus: Plattformverbote, Preisvergleichsmaschinen und Geoblocking, in: ZVertriebsR 2018, 277-285.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
Vai alla pagina Contrattualistica Internazionale
Il 1° gennaio 2019 entra in vigore la nuova legge tedesca sugli imballaggi (“Verpackungsgesetz”, abbreviata qui come “GPA” [German Packaging Act]), che sostituisce il regolamento tedesco sugli imballaggi del 1998 (“GPR” [German Packaging Regulation]). Il nuovo GPA obbliga un maggior numero di produttori e distributori – compresi i rivenditori on-line – a registrarsi e partecipare ad un sistema di smaltimento e riciclaggio.
La novità più importante: senza registrazione, è vietato ai produttori e rivenditori vendere in Germania gli imballaggi – e quindi i prodotti in essi contenuti –, anche attraverso il commercio elettronico (articolo 9 comma 5). Le autorità possono infliggere ammende fino a EUR 200.000,00 (articolo 34 comma 1 e 2) ai produttori e ai rivenditori, compresi gli importatori, che non rispettano questa legge. In aggiunta, i concorrenti e le associazioni dei consumatori possono fare istanza affinché i produttori e rivenditori cessino qualunque attività di vendita (come deciso dal Tribunale Regionale Superiore di Hamm al 17.10.2006, causa n. 4 U 92/06, per un caso di non adempimento del precedente RPA). Le autorità possono inoltre confiscare il profitto ricavato dalle vendite non conformi (articolo 10 della legge sulla concorrenza sleale) alla normativa.
Gli imballaggi che devono essere registrati e partecipare al sistema di smaltimento del nuovo GPA sono quelli per la vendita (o imballaggi primari – “Verkaufsverpackungen“) e gli imballaggi multipli (o imballaggi secondari – “Umverpackungen”) a due condizioni:
- contengono dei prodotti, e
- tipicamente finiscono, dopo essere stati utilizzati, come rifiuti presso (i) un consumatore finale privato o (ii) luoghi equivalenti di produzione di rifiuti (“gleichgestellte Anfallstellen“), in particolare:
- ristoranti
- alberghi,
- mense,
- amministrazioni,
- ospedali,
- istituzioni educative, caritatevoli o militari,
- stazioni di servizio, ecc. – indipendentemente dalla quantità dei rifiuti prodotti,
- piccole imprese artigiane e agricole – se i rifiuti di imballaggio prodotti sono raccolti in contenitori separati per la carta e il cartone, nonché imballaggi di plastica, metallici e compositi non superiori a 1.100 litri ciascuno e soggetti a smaltimento secondo il metodo tradizionale (invece di un tasso analogo a quello commerciale).
Questi obblighi valgono generalmente anche per i rivenditori online, poiché il nuovo GPA stabilisce esplicitamente che la nuova normativa si applica anche agli imballaggi per il trasporto: i rivenditori online, se i loro imballaggi soddisfano le condizioni di cui sopra, devono registrare i loro imballaggi e partecipare al sistema di smaltimento e riciclaggio. Ciò vale anche per i cosiddetti imballaggi secondari, nei quali i prodotti imballati vengono ulteriormente imballati. La Zentrale Stelle fornirà indicazioni su come interpretare l’AAP sotto forma di una linea guida e di un catalogo (che elenca, nella sua ultima bozza del 2018, 36 gruppi di prodotti per 417 prodotti) – che, nonostante sia stato annunciato per l’autunno 2018, non è ancora stato pubblicato (cfr. le ultime informazioni sul processo di consultazione).
Consigli pratici
- I produttori e tutti gli altri operatori economici che commercializzano in Germania dei prodotti confezionati devono rispettare la nuova legge, anche se hanno sede all’estero, se vendono in Germania. Il termine “produttore” è piuttosto ampio e comprende anche gli importatori e i distributori che mettono in circolazione per la prima volta gli imballaggi (articolo 3 comma 12 GPA).
- I produttori e i rivenditori non devono immettere nel mercato imballaggi che non sono registrati o non lo sono correttamente, pur essendo soggetti a registrazione. Il mancato rispetto delle norme può comportare gravi conseguenze, tra cui multe, richieste di risarcimento danni e confisca dei profitti.
- La nuova legge tedesca sugli imballaggi si applica dal 1° gennaio 2019, ad è in attuazione della Direttiva 94/62/CE (come il precedente regolamento tedesco sugli imballaggi). Il nuovo GPA mira ad aumentare ulteriormente gli standard ecologici e le condizioni specifiche per una concorrenza ben funzionante tra le imprese che partecipano al sistema duale per lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti e per un comportamento equo tra tutte le parti sul mercato (sviluppando così gli obiettivi del precedente GPR).
- Non esiste nessun periodo di transizione. La registrazione, se non precedentemente prevista dal GPR, deve avvenire al più tardi entro il 01.01.2019. I produttori, gli importatori e i rivenditori, come tutti gli altri operatori economici interessati, possono facilmente registrarsi online: https://lucid.verpackungsregister.org/
- Alla luce delle definizioni di cui sopra, le eccezioni che non richiedono la registrazione sono, ad esempio, le seguenti:
- gli imballaggi per l’esportazione che non finiranno come rifiuti in Germania;
- gli imballaggi commerciali di grandi dimensioni che finiscono come rifiuti nel settore industriale, vale a dire non presso consumatori finali privati o in luoghi equivalenti di produzione di rifiuti;
- gli imballaggi destinati a facilitare il trasporto, ma che di solito non vengono trasferiti al consumatore finale;
- imballaggi riutilizzabili e imballaggi per la vendita di prodotti contenenti sostanze inquinanti.
- I produttori e i dettaglianti devono rispettare diverse altre leggi sugli imballaggi e la loro etichettatura se vendono i prodotti all’interno dell’Unione europea (cfr. la panoramica della Commissione europea qui).
On 1 January, the new Packaging Act (“Verpackungsgesetz”) will replace the existing Packaging Ordinance (“Verpackungsverordnung”). Non-compliance with the new rules may have very unpleasant consequences.
For those who sell packaged goods to end consumers in Germany it is high noon: they have to adapt to the new packaging law, which comes into force on January 1, 2019.
The main objective of the new law is that in the future all concerned parties will have to take responsibility and bear the costs of disposing their packaging. The legislator also wants to achieve the increase of the recycling rate of paper, plastic, metal or glass packaging, and to use as many readily recyclable materials as possible. Therefore, the fee that producers or distributors must pay for disposal will in future not only depend on the quantity and material type, but also more on the recyclability of the packaging.
Who is affected by this law?
Manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds.
Affected are all so-called initial distributors of packaging, which typically end up at the private end consumer. These can be manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds, whether food, electrical appliances or furniture.
All of them, if they place packaging on the market for the first time, must register with one of the dual systems already today and, depending on the quantity and material of the packaging waste, pay a participation fee to the German take-back system.
It is new from next year on that they additionally have to register with the Central Agency Packaging Register and specify the amount of waste.
This information will be publicly available. By doing so, the legislator wants to create transparency and ensure that all those who place “packaging” on the market fulfill their obligations.
Also new is that the fees, which so far have been simply calculated according to quantity and type of material, should in future also depend on how well a material can be recycled.
For example: Cardboard boxes, which usually consist of two-thirds of waste paper, are easily recyclable, as are aluminium cans, which can be reused to 100 percent. By contrast, the notorious coffee-to-go cups are not recyclable because they consist of a quasi-inseparable composite material.
How exactly the gradations will look is not yet certain, as the dual systems still work on the implementation.
Further innovations for beverage manufacturers and distributors
The law contains several other changes that are particularly important for beverage manufacturers and distributors. The compulsory deposit for disposable containers will be extended to include a few types of beverages that were previously exempted, such as carbonated fruit and vegetable nectars. A new duty has been introduced for retailers, who must point out “with clearly visible signs” on disposable and reusable beverage packaging.As from 1st of January 2019 companies must also file the so-called Declaration of Compliance (“Vollstaendigkeitserklaerung”) with the Central Agency Packaging Register and not anymore with the respective local Chamber of Industry and Commerce.
What is the Declaration of Compliance?
A Declaration of Compliance is a verification concerning the volumes of sales packaging placed into the market by a manufacturer / distributor within one calendar year.
The filing of the Declaration of Compliance, however, only affects larger manufacturers, since the de minimis limits are set quite high in this respect. For paper, cardboard or carton it is about 80 tons per year.
Pre-registration is already possible as from September 2018. It is important to note, however, that every company involved in the system must perform the registration and data reporting “personally”, meaning that this process may not be transferred to third parties.
The respective database run by the Central Agency Packaging Register is called LUCID. Manufacturers, online dealers or initial distributors who preregister with LUCID will receive a provisional registration number, which will be sent to the Dual system with which they can sign a contract. There are currently nine companies offering this. Manufacturers who preregister in 2018 will automatically receive a registration confirmation from the Central Agency Packaging Register at the beginning of 2019. The registration including the indication of quantities is free and can be done online.
The Central Agency Packaging Register is also responsible to monitor compliance with the regulations. However, at the end of the day, everyone can check the respective compliance as LUCID is a transparent register and open to everyone to search the register for specific manufacturers and brands.
The law explains why this can have quite unpleasant consequences:
In case the registration is omitted, there is automatically a ban on distribution of the packaging and there is a threat of fines to be imposed which may range up to 100.000 €! Due to the publicity of the register, agents not complying with the law may have to expect that their goods will be discontinued in the German trade.
Still unclear issues
The definition of packaging covered by this law is not quite clear. Transport packaging such as that used by a manufacturer for delivery to the dealer and disposed of there, for example, is not affected by the obligation to participate at the system and the new registration obligation. This packaging does not end up at the private end consumer. But what about wine boxes, for example? They are often only transport packaging, but some customers may take a whole box of their favorite wine with them. In addition, hotels and restaurants, such as those supplied by a retailer, are considered by law to be private end consumers.
The author of this post is Olga Dimopoulou
In a recent decision on the 24th of October 2018 (n°18-D-23), the French Competition Authority (Autorité de la Concurrence, aka AdlC) fined the Stihl company (leader in mechanized culture products) for his practices in his selective distribution network. Stihl managed to restrict the sale of its products by its authorized distributors on their own website and to prohibit them from marketing them on third-party platforms.
The ruling is considered by the AdlC as having “vocation to clarify the framework applicable in France for the different sectors and products, beyond the sole sector of the mechanized culture”.
In this case the network implemented by the supplier was a selective distribution network. Therefore, AdlC’s position can only concern the implementation of a selective distribution network and is not applicable to an exclusive distribution network (see our Update Distribution/Competition, April 2018).
-
The lawfulness of the selective distribution network
The Authority follows the traditional analysis of validity of a selective distribution network. First, it highlights that selection of resellers was based on objective criteria such as qualitative nature, applied in a uniform manner and without any discrimination.
Then, the Authority had to determine whether the qualitative criterion conditioning the lawfulness of the selective distribution system was fulfilled or not. The Authority has decided that the fact that products in question are of a delicate assembly and that some of them even present risks for safety of users, justifies setting up a network of selective distribution.
-
The lawfulness of the ban on selling technical products on third-party platforms
The decision of the AdlC was especially expected on this point because it had to take into account rulings rendered by the CJEU and then by the Paris Court of Appeal in the Coty cases ((CJUE 6/12/17, affaire 230/16; Cour d’appel de Paris, pôle 5, ch 4, 28 février 2018, n° 16/02263). The question was: the right of suppliers to prohibit their authorized distributors from distributing their products on third-party platforms is limited to luxury goods only (the Coty hypothesis) or could be extended to include others products? The hypothesis of this extension had already been addressed by other courts in Europe and also by the Advocate General before the CJEU (see our Update Distribution/Competition, December 2017) and then by the European Commission.
In a nutshell the Authority extends the Coty case law to technical products whether they are dangerous or not.
First of all, the Authority notes that “prohibition to sell on platforms contributes to preserving the safety of consumers and to guaranteeing the brand image and the quality of the products concerned”.
Then, the Authority checked whether this restriction did not go beyond what is necessary in regards to characteristics of products in question. It notes that in the case of third-party platforms, this restriction allows supplier to control that its distributors comply with requirements of distribution network.
Finally, the AdlC checked whether this prohibition was not disproportionate, and in this case, noted that there is no disproportion in so far as distribution on third-party marketplaces is not a main marketing channel for mechanized culture products.
This result (validation of the ban on the sale of products on third-party platforms) may allow many economic operators to believe legitimately that the scope of the Coty case law can be broad.
-
Prohibition of restrictions on resale of products on distributors’ websites
However the AdlC has refused to approve the clause restricting resale of products by distributors on their own websites.
In this case, if customers of the distributors could place an order online, they had to, for products with a certain dangerous nature (such as chainsaw, pruner, brushcutter, etc.) either come to withdraw the product at a (physical) sell point owned by distributor or to be delivered by the distributor. Distributor had indeed underwritten a complete obligation to “put in hand” the machine, including the oral communication of usage instructions and a demonstration.
The AdlC decided that this obligation to put in hand was actually to cancel advantages attached to Internet selling and thus to prohibit purely and simply Internet selling. According to the Authority, this restriction went beyond what is necessary to preserve consumer’s health.
The AdlC had to determine whether this restriction was a restriction by object or effect. According to the Authority, the restriction at stake reduced the ability of distributors to sell products outside their usual customers catchment area, and as such should be characterized as a competitive restriction by object.
On possible exemptions issues, the Authority first rejects the possibility of category exemption within the meaning of the EU Block Exemption Regulation No 330/2010, the anti-competitive practice being comparable to a restriction characterized by passive sales within the meaning of Article 4, para. (c). Possibility of an individual exemption was also rejected by the Authority after examining any efficiency gains related to this “put in hand” obligation.
The Authority could have taken advantage of this particular case, to refine the Pierre Fabre / Bang & Olufsen case law and validate and update sales restrictions on the Internet when the proper nature or quality of products justifies such a restriction.
In summary, the marketing of products involving high technicality or which tend to be dangerous by using it:
- justifies the implementation of a selective distribution network;
- may be prohibited on third party platforms (if the selective distribution network is considered lawful);
- could not be restricted on the websites of authorized distributors of a lawful selective network, for lack of “efficiency gain” in favor of consumers, according to a very (too?) strict position of the AdlC.
On this last point, it will probably be necessary to wait for a clearer solution given by the Court of Appeal of Paris (in front of which a recourse is now pending) or the Court of Cassation.
Arbitration is a well-known system for dispute resolutions, and works as an alternative to judicial procedures. Parties are free to choose this system and to submit their conflicts to specific arbitrators or institutions.
It is usually considered that arbitration is a good way to solve conflicts but preferable to those arisen between big corporations or involving important amounts of money. Although this assumption is generally accepted, there is an alternative for distribution disputes suitable for smaller companies and cases with lower amounts claimed.
And here is the essential question: why a manufacturer/franchisor or a distributor/agent/franchisee should choose a specialized arbitration for their agreements instead of a more general one or, even, a judicial procedure? The answer seems clear: an arbitrator with knowledge not only in procedural questions but in substantive matters will be able to better understand the conflict between the parties and, therefore, to grant a better award. Take into account that, for instance in my Country, Spain, a Judge of First instance can deal in the same day with a distribution contract, a construction case, a conflict between heirs, and a discussion in a community of owners. All of this requires the analysis of different facts and completely different legislations and it is true that specific commercial problems do not usually have judges experts in international trading. But, how to choose a good specialized arbitrator? And, how to choose the arbitral procedure and the institution in terms of organization, neutrality, costs and time?
The IDArb was created in 2016 by the International Distribution Institute (www.idiproject.com) in collaboration with the Chambre de Commerce d’Industries et de Services de Genève (CCIG www.ccig.ch) and the Swiss Chambers’ Arbitration Institution (SCAI www.swissarbitration.org) and offers to the distribution sector (distribution, agency, franchising, selective distribution) a specialized, expedited and affordable arbitration procedure, not only for big international corporations but also for smaller cases. In fact, the expedited procedure is particularly foreseen for amounts below one million CHF (approx. 880.000 €).
The objectives and main characteristics of IDArb which make it suitable for all the distribution disputes are:
- A list of specialized arbitrators experts in this particular field is available for ad hoc or institutional arbitration and IDArb is able to assist the parties to choose one of them.
Specialized arbitrators from different countries and legal cultures have been appointed by a Selecting Committee reviewing their experience in one or more fields of distribution law. Therefore, parties can trust that the arbitrator will have concrete skills in the business with an in-depth understanding of the disputed issues. This is not a general knowledge on commercial law, but a concrete one on distribution, expressly verified by the Committee. Parties can even examine some examples of cases in which every arbitrator has been involved in.
- In order to maintain its high quality, the IDArb organizes training seminars for its appointed arbitrators. In these seminars, they are able to discuss about the general management of the arbitration, the procedural aspects and how to solve possible incidents in collaboration with the Institutions and their Rules. This will make all the proceedings more manageable and the possible difficulties more easily solved. Last seminar took place in Geneva in November 8, 2018 and participants have discussed, amongst other subjects, on evidences, witnesses and document production.
- The expedited arbitration procedure permits the parties to have a tailored procedure managed by SCAI under the Swiss Rules of International Arbitration, specially adapted for small disputes in the field of distribution.
- Time is also an essential element: the award in the expedited procedure will be issued in a maximum term of six months (only exceptional circumstances permit the Court to extend such time-limit), and, if parties agree, it can be decided only on documentary evidence.
- Costs are reasonable and known in advance.
- And, as final but important remark, IDArb has also adopted some recommendations where, upon request of the parties, mediation is favoured, the arbitrator my consider giving a preliminary non-binding and provisional assessment of the dispute and should have a pro-active position in order to facilitate an amicable settlement.
To have further information about the clause to use in the contracts, the list of specialized arbitrators, their skills, experience and complete CV, and the recommendations for expedited arbitration, you can follow the link: https://www.idiproject.com/content/idarb-idi-arbitration-project
Civil and Commercial Code of Argentina (“Code”) do not contain specific provisions for distribution contracts. Rather, a distribution contract is considered a so-called “innominate contract”, which combines, among other things, elements of purchase and sales contracts, commercial agency and mandate agreements. Article 1511 establishes that the rules of Chapter 18 (Concession Contracts) shall be applied to distribution agreements when applicable. Therefore, if the distribution agreement does not regulate a specific issue, the solution should sought by analogy referring to the statutory provisions related to these three types of contracts as default rules to the extent suitable in a given case.
Form and Formalities
Argentine Law requires no particular form or formalities for this type of agreements. However, written contracts are the most common form of agreements.
Important Provisions
For all parties:
- a) Force Majeure: Considering that Argentina tends to be an unstable environment for business due to political reasons, parties may be interested in considering the possibility of including acts of law/change in law and government acts within the scope of force majeure of the agreements.
- b) Insurance of products. It is important to have the products covered by an insurance, so that in the event of an accident, losses can be limited.
- c) Product registration.
For the supplier:
- a) Payment (if international, without taxes, provisions to receive full amount with no deduction or withholding).
- b) Currency (due to unstable of Argentine Pesos, it’s important to establish it and price increase if necessary).
- c) Product Recall.
- d) Lead Time.
- e) Delays.
- f) Stock conditions.
For the distributor:
- a) Returns.
- b) Clientele compensation.
- c) Defective product.
- d) Product samples.
Incoterms
In national distribution agreements, Incoterms are not commonly used. However, in international distribution agreements, the most common Incoterms used are the following:
For air transport: FCA (Free Carrier); for ship transport: FOB (Free On Board)
Product Liability
According to Argentine Consumers Law No. 24,240, the term for a consumer to bring an action against the distributor and/or supplier would elapse after three years, the term for other players in the commercialization chain who have a direct contractual relationship with the distributor and/or the supplier (e.g. retailers who have acquired the goods from the distributor and/or the distributor’s subcontractor) would expire only after ten years. In any event, the contractors may be interested in considering the possibility of counting the three-year term from the date of expiration of the products instead of considering the date of termination of the agreement (e.g. the product might be stored and not sold for a while and the mentioned 3-year expiration shall be therefore delayed).
Intellectual Property
Supplier shall obtain and renew registration of the products’ trademarks in Argentina. Besides, supplier should include a clause in the agreement stating that the trademarks are of its own property and that distributor only can use them to the extent granted by supplier in the agreement while it’s still in force. Moreover, distributor should protect supplier’s trademarks.
Termination
La parties may agree freely how to terminate the agreement. In case you agree a non cause resolution clause, such should have a reasonable prior notice so that the other party may have time to get another distribuitor or face the lose of the client, depending how exercise such option.
Applicable Law and Jurisdiction
The parties may agree the law wich they consider more convenient to solve any issue of the agreement. Moreover, the parties also are free to choose a court or an arbitral tribunal within the country or foreign.
The author of this post is Tomás García Navarro.
France – Ban of online sales for distributors
18 Dicembre 2018
- Francia
- Distribuzione
Quando il contratto di agenzia è da considerarsi internazionale?
Secondo le norme di diritto internazionale privato vigenti in Italia (Art.1 Reg. 593/08 “Roma I”) il contratto si considera internazionale “in circostanze che comportino un conflitto di leggi”.
Le circostanze che più spesso comportano un conflitto di leggi in un contratto di agenzia, rendendolo quindi “internazionale”, sono (i) l’ubicazione della sede del preponente in un Paesi diverso dalla sede dell’agente; oppure (ii) l’esecuzione del contratto all’estero, anche quando il preponente e l’agente abbiano sede nello stesso Paese.
Quando si applica la legge italiana ad un contratto di agenzia?
Sempre in base al Regolamento “Roma I”, in linea di principio il diritto italiano si può applicare ad un contratto di agenzia internazionale (i) se viene scelto delle parti come legge regolatrice del contratto (in modo espresso o nelle altre modalità indicate dall’art.3); oppure (ii) in mancanza di scelta, quando l’agente risieda o abbia sede in Italia (secondo il concetto di “residenza” contenuto all’art.19).
Qual è la disciplina principale del contratto di agenzia in Italia?
In Italia, le norme sostanziali che regolano il contratto di agenzia ed in particolare il rapporto fra le parti preponente ed agente, sono prevalentemente contenute negli articoli da 1742 a 1753 del Codice Civile, che sono stati modificati in più occasioni con il recepimento della Direttiva 653/86/CE.
Qual è il ruolo degli accordi economici collettivi?
Da molti anni, in Italia, i contratti di agenzia sono regolati anche dagli Accordi Economici Collettivi (AEC), ovvero quegli accordi che vengono stipulati periodicamente dalle associazioni rappresentative dei preponenti e degli agenti in vari settori (industria, commercio e diversi altri).
Dal punto di vista della loro efficacia, se ne distinguono due tipologie: gli AEC aventi forza di legge (efficacia “erga omnes”) i quali peraltro contengono norme piuttosto generali e hanno quindi un campo di applicazione limitato; e gli AEC “di diritto comune”, che si sono via via avvicendati nel corso degli anni e sono finalizzati a vincolare solo preponenti ed agenti iscritti a tali associazioni.
In generale, gli Accordi Economici Collettivi intendono recepire le norme del Codice Civile (e, di riflesso, quelle della Direttiva 653/86) ma – soprattutto quelli di diritto comune – introducono deroghe anche rilevanti. Ad esempio, essi consentono al preponente modifiche unilaterali alla zona, ai prodotti, alla clientela, alla misura della provvigione; regolano in maniera parzialmente diversa la durata del periodo di preavviso per il recesso dai contratti a tempo indeterminato; quantificano il compenso per il patto di non concorrenza post-contrattuale; hanno una peculiare disciplina in materia di indennità di risoluzione del rapporto.
Sull’indennità di fine rapporto, in particolare, gli AEC hanno generato non pochi problemi di conformità con la Direttiva 653/86/CE, di cui si è occupata anche la Corte di Giustizia CE ma tuttora non del tutto risolti per effetto di una costante giurisprudenza delle Corti italiane che, di fatto, mantiene tale trattamento in vigore.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che i contratti collettivi abbiano una sfera di applicazione geografica limitata al territorio italiano.
Gli AEC regolano dunque automaticamente il contratto di agenzia se la legge regolatrice è quella italiana e se il contratto viene eseguito dall’agente in Italia, ma (nel caso degli accordi di diritto comune) all’ulteriore condizione che entrambe le parti siano iscritte ad una delle associazioni che hanno stipulato tali Accordi (secondo una parte della dottrina, è sufficiente che vi sia iscritta anche solo la parte preponente).
Anche in mancanza di tali condizioni cumulative, tuttavia, gli AEC di diritto comune potranno ugualmente valere se siano richiamati espressamente nel contratto, oppure se le loro disposizioni vengano costantemente applicate dalle parti.
Quali sono gli altri principali requisiti e adempimenti in materia di contratto di agenzia?
L’Enasarco
L’Enasarco è una Fondazione di diritto privato alla quale devono, per legge, essere obbligatoriamente iscritti gli agenti in Italia.
La Fondazione Enasarco amministra principalmente un fondo di previdenza integrativo per gli agenti ed un fondo per l’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia (calcolata secondo i criteri dell’AEC di riferimento per il settore).
Tipicamente, nei contratti di agenzia “domestici”, il preponente iscrive l’agente presso l’Enasarco e versa i contributi ad entrambi i fondi durante l’intero rapporto.
Tuttavia, mentre l’iscrizione e il versamento dei contributi previdenziali sono sempre obbligatori in quanto previsti dalla legge, viceversa la contribuzione al FIRR (fondo indennità risoluzione del rapporto) è obbligatoria solo in quei contratti di agenzia ai quali si applicano gli AEC di diritto comune.
Quali sono le regole per i contratti internazionali?
Per quanto riguarda l’iscrizione all’Enasarco, a fronte di una disciplina legislativa e regolamentare non molto chiara, un contributo interpretativo importante è stato fornito dal Ministero del Lavoro nel 2013 in risposta ad un interpello (19.11.13 n.32).
Il Ministero, riferendosi alla disciplina europea (Regolamento CE n.883/2004 come modificato dal Regolamento (CE) n. 987/2009) ha chiarito che l’iscrizione all’Enasarco è obbligatoria nei seguenti casi:
- agenti che operano sul territorio italiano in nome e per conto di preponenti italiani o esteri aventi una sede o una dipendenza in Italia;
- agenti italiani o stranieri che operano in Italia in nome e/o per conto di preponenti italiani o stranieri anche se privi di sede o dipendenza in Italia;
- agenti che risiedono in Italia e qui svolgono una parte sostanziale della loro attività;
- agenti che non risiedono in Italia, ma hanno in Italia il proprio centro di interessi;
- agenti che operano abitualmente in Italia ma si recano a svolgere attività esclusivamente all’estero per una durata non superiore a 24 mesi.
Nei rapporti di agenzia da eseguirsi al di fuori del territorio UE, non applicandosi i Regolamenti appena citati, sarà opportuno verificare di volta in volta se l’obbligo di osservare la legislazione previdenziale italiana sia previsto da eventuali trattati internazionali di cui facciano parte i Paesi delle due parti.
Camera di Commercio e Registro delle Imprese
Chiunque intenda avviare un’attività quale agente di commercio in Italia, ha l’obbligo di effettuare una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) alla Camera di Commercio territorialmente competente la quale iscrive l’agente al Registro delle Imprese se l’agente ha forma di impresa, o viceversa ad una sezione apposita del REA (Repertorio delle Notizie Economiche ed Amministrative) della Camera stessa (D. Lgs.59 del 26.3.2010 che ha recepito a Direttiva 2006/123/CE “Direttiva Servizi”).
Tali formalità hanno sostituito l’iscrizione al vecchio “ruolo agenti” che è stato soppresso dalla suddetta legge, la quale prevede inoltre tutta una serie di requisiti che gli agenti debbono avere al fine di poter avviare l’attività ( tali requisiti riguardano istruzione, esperienza, assenza di condanne, ecc.).
Benché la mancanza della suddetta iscrizione non comporti la nullità del contratto, è opportuno che il preponente, prima di conferire l’incarico ad un agente italiano, si accerti che questi l’abbia effettuata in quanto è comunque obbligatoria.
Competenza territoriale per le controversie (art.409 e seguenti c.p.c.)
In base agli artt.409 e seguenti del Codice di Procedura Civile, nel caso in cui l’agente svolga la sua prestazione contrattuale a carattere prevalentemente personale anche se in forma autonoma (agente “parasubordinato”) la sottoposizione del contratto alla legge italiana ed al foro italiano comporterà che eventuali controversie derivanti dal contratto di agenzia saranno inderogabilmente sottoposte al Giudice del lavoro nella circoscrizione in cui si trova il domicilio dell’agente (v. art.413 c.p.c.) ed il processo seguirà il “rito del lavoro” ovvero regole procedurali analoghe a quelle valevoli nelle controversie nell’ambito del lavoro subordinato.
Questa regola, in linea di principio, varrà quando l’agente stipuli il contratto personalmente o come ditta individuale, mentre l’opinione prevalente è che non si applichi nel caso in cui l’agente rivesta la forma di società.
Applicazione delle regole ai casi più frequenti di contratto internazionale di agenzia
Cerchiamo ora di adattare le regole sopra descritte alle situazioni più frequenti di contratto internazionale di agenzia, tenendo presente che si tratta di semplici esempi schematici, dovendosi in realtà verificare di volta in volta con attenzione le circostanze del caso specifico.
Preponente italiano ed Agente estero – contratto da eseguirsi all’estero
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti, salve le eventuali norme imperative del Paese dove l’agente risiede od opera, secondo le norme del Regolamento Roma I.
AEC: non regolano il contratto automaticamente (in quanto l’agente opera all’estero) ma solo ove espressamente richiamati o di fatto applicati. Questo potrebbe accadere più o meno intenzionalmente, ad esempio se il preponente italiano decidesse di adottare anche per gli agenti esteri gli stessi modelli di contratto utilizzati per agenti italiani, contenenti riferimenti agli accordi economici collettivi.
Enasarco: non vi sono normalmente obblighi di iscrizione né di contribuzione a favore dell’agente non italiano che risiede e svolge l’attività contrattuale esclusivamente all’estero.
Camera di Commercio: non vi è obbligo di iscrizione stanti i suddetti presupposti.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): se fosse validamente pattuito il foro italiano, l’agente estero anche se persona fisica o ditta individuale non potrebbe far valere questa disposizione per spostare la causa presso le corti del proprio Paese in quanto l’art.413 c.p.c. è una norma sulla competenza interna che presuppone l’ubicazione dell’agente in Italia. Inoltre, tale norma dovrebbe soccombere di fronte alle regole di giurisdizione stabilite dalla legislazione UE, come ha stabilito la Corte di Cassazione italiana e come ritiene autorevole dottrina.
Preponente estero ed Agente italiano – contratto da eseguirsi in Italia
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti oppure, anche in mancanza di scelta, per effetto della residenza o sede in Italia dell’agente.
AEC: quelli aventi forza di legge (“erga omnes”) regolano il contratto, mentre quelli di diritto comune difficilmente si applicheranno in modo automatico (il preponente estero solitamente non sarà iscritto alle associazioni italiane che hanno stipulato l’AEC) ma potrebbero nondimeno valere se richiamati nel contratto o se applicati di fatto.
Enasarco: il preponente estero dovrà iscrivere l’agente italiano all’Enasarco, pena sanzioni e/o richieste di risarcimento danni da parte dell’agente. In conseguenza dell’iscrizione, il preponente dovrà assolvere all’obbligo di contribuzione previdenziale mentre non dovrebbe sussistere l’obbligo di versamento al Fondo Indennità di Fine Rapporto. Tuttavia, un preponente che effettuasse i versamenti periodici al FIRR anche quando non dovuti, potrebbe ritenersi avere tacitamente accettato gli AEC come applicabili al rapporto di agenzia.
Camera di commercio: l’agente italiano dovrà risultare iscritto alla CCIAA ed a questo proposito è opportuno che il preponente verifichi che lo sia effettivamente, prima di stipulare il contratto.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.):se il foro competente è quello italiano (per scelta delle parti o anche in assenza di scelta in quanto luogo della prestazione dei servizi secondo il Regolamento 1215/12) e se l’agente è persona fisica o ditta individuale situata in Italia, varrà la regola in questione.
Preponente italiano ed Agente italiano – contratto da eseguirsi all’estero
Legge italiana: regola il contratto se scelta dalle parti oppure, in mancanza di qualsiasi scelta, se l’agente risieda o abbia sede in Italia.
AEC: non dovrebbero valere (eseguendosi il contratto all’estero) se non espressamente richiamati o applicati.
Enasarco: secondo l’orientamento del Ministero del Lavoro, l’obbligo di iscrizione sussiste qualora l’agente, pur essendo stato incaricato per l’estero, risieda e svolga una parte sostanziale dell’attività in Italia o abbia qui il centro dei propri interessi oppure si rechi all’estero per un periodo non superiore a 24 mesi, se valgono i Regolamenti UE. In caso di rapporto da eseguirsi in Paesi extra UE, l’obbligatorietà dell’iscrizione sarà da verificare di volta in volta.
Camera di commercio: l’agente che abbia avviato l’attività e si sia giuridicamente costituito in Italia è tenuto in linea di principio ad iscriversi presso la Camera di Commercio.
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): la regola vale se l’agente è persona fisica o ditta individuale italiana e sia contrattualmente pattuito il foro in Italia.
Preponente estero ed agente estero – contratto da eseguirsi in Italia
Legge italiana: in linea di principio regola il contratto solo se scelta dalle parti.
AEC: se il contratto è regolato dalla legge italiana, valgono gli accordi aventi forza di legge, non invece quelli di diritto comune se non espressamente richiamati o di fatto applicati.
Enasarco: secondo l’orientamento del Ministero del Lavoro, sulla base dei Regolamenti UE l’obbligo di iscrizione potrebbe sussistere per il preponente estero anche a favore dell’agente che risieda all’estero se opera in Italia o se ha in Italia il centro dei propri interessi. Viceversa, il caso andrà verificato di volta in volta in base alle norme vigenti.
Camera di commercio: in linea di principio, l’agente che si sia giuridicamente costituito all’estero non è tenuto ad assolvere agli obblighi di iscrizione in Italia. Tuttavia, la questione potrebbe essere più complessa se l’agente avesse una sede e svolgesse prevalentemente la propria attività in Italia (il che potrebbe avere un impatto anche sulla determinazione del diritto applicabile).
Norme processuali (artt.409 e ss. c.p.c.): in assenza di scelta diversa, il foro italiano potrebbe essere competente in quanto luogo di prestazione dei servizi, tuttavia le norme in questione non dovrebbero applicarsi se l’agente (persona fisica o ditta individuale) non abbia una sede in Italia.
Conclusioni
Si auspica che le osservazioni svolte fino a qui, pur non esaustive, siano utili per comprendere le possibili conseguenze dell’applicazione della legge italiana ad un contratto internazionale di agenzia e per fare delle scelte oculate in sede di redazione del contratto. Come sempre, si raccomanda di non basarsi acriticamente su modelli o precedenti senza adeguata considerazione delle circostanze del caso.
„Prodotti di lusso giustificano divieti di distribuire su piattaforme terze” recita il Comunicato stampa n. 30/2018 della Corte d’Appello di Francoforte del 12.07.2018.
Dopo la sentenza Coty della CGUE, a lungo attesa (vedi l’articolo di dicembre 2017 https://www.legalmondo.com/it/2017/12/corte-di-giustizia-ue-ammette-la-restrizione-alle-vendite-online-sentenza-coty/), la Corte d’Appello di Francoforte sul Meno ha applicato le indicazioni della CGUE, (i) ribadendo la possibilità di limitare la rivendita attraverso piattaforme terze. Nel corso di questo post, inoltre, vedremo anche la (ii) recente pronuncia della Corte d’Appello di Amburgo, che ha esteso il principio della sentenza Coty anche ad altre merci dal valore qualitativo elevato, ma al di fuori del segmento del lusso. In conclusione, poi, (iii) alcuni suggerimenti pratici.
Prodotti di lusso giustificano i divieti di usare piattaforme
Ai sensi della sentenza della Corte d’Appello di Francoforte, Coty può inibire al distributore la distribuzione tramite piattaforme di terzi. Nel contratto di distribuzione selettiva adottato da Coty, ogni rivenditore era libero di instaurare cooperazioni pubblicitarie con piattaforme terze, nelle quali i clienti vengono indirizzati al negozio internet del rivenditore. Il divieto di distribuzione su market-place, sarebbe invece ammissibile già sulla base del Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali, in quanto non rappresenterebbe una restrizione fondamentale. Il divieto di distribuzione potrebbe essere esentato persino dal divieto di cartelli nell’ambito di una distribuzione selettiva; nel presente caso sarebbe soltanto dubbio se il divieto di qualsiasi “cooperazione di vendita con una piattaforma terza riconoscibile esternamente da altri e senza riguardo alla sua concreta strutturazione stia in rapporto ragionevole con il fine perseguito” (testo tradotto dall’originale in tedesco), sia quindi proporzionato o incida sull’attività concorrenziale del rivenditore. La Corte ha lasciato aperta questa questione.
Anche altri merci di alto valore giustificano i divieti di usare piattaforme
Il caso deciso dalla Corte d’Appello di Amburgo (Decisione del 22.03.2018, fasc. n. 3 U 250/16) concerne un sistema di distribuzione selettiva qualitativo per integratori alimentari e cosmetici, il quale avviene tramite Network Marketing così come via Internet. Le linee guida distributive contengono, tra le altre cose, concrete indicazioni sulla pagina internet del rivenditore, possibilità di prendere direttamente contatto con i clienti in base al “principio della vendita di merci fatta su persona” (in quanto il sistema distributivo mira a vendere il prodotto tagliato sulle esigenze personali dei clienti nell’ambito di una consulenza personalizzata) così come della qualità dell’informazione e della rappresentazione del prodotto. Espressamente vietata sarebbe “la distribuzione … tramite eBay e altre piattaforme commerciali internet paragonabili”, in quanto esse non sarebbero conformi ai requisiti qualitativi, in ogni caso non “in base allo stato attuale” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Il Tribunale di prima istanza ha ritenuto ammissibile il divieto di far uso di piattaforme (Tribunale di Amburgo, sentenza del 04.11.2016, fasc. n. 315 O 396/15) – cosa che la Corte d’Appello di Amburgo ha ora confermato. Ciò in quanto, secondo la Corte d’Appello, sistemi di distribuzione selettiva qualitativi sarebbero ammissibili non solo per beni di lusso e tecnicamente dal valore alto, bensì anche per (ulteriori) merci di alto valore qualitativo, “qualora le merci distribuite siano di alta qualità e la distribuzione sia indirizzata a prestazioni accompagnatorie di consulenza e assistenza per il cliente, con cui tra l’altro si persegue il fine di spiegare al cliente un prodotto finale il quale nel complesso sia sofisticato, qualitativamente di alto valore e dal prezzo elevato e di costruire o conservare una particolare immagine del prodotto” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Nell’ambito di un tale sistema di distribuzione selettiva per la distribuzione di integratori alimentari e cosmetici potrebbe quindi essere ammissibile “tramite corrispondenti linee guida d’impresa, vietare al partner distributivo la distribuzione di tali merci su determinate piattaforme di vendita online, al fine di preservare l’immagine di prodotto e la prassi di una consulenza legata al cliente in grado di contribuire a creare tale immagine, così come al fine di evitare pratiche commerciali di singoli partner distributivi lesive dell’immagine del prodotto e dell’immagine, le quali siano state accertate nel passato e conseguentemente perseguite” (testo tradotto dall’originale in tedesco).
Una particolarità qui: non si trattava di “puri prodotti di prestigio“ – inoltre la Corte d’Appello non si era limitata all’accertamento che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile ai sensi dell’art. 2 Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali e pratiche concordate, ma la Corte ha declinato in modo preciso e passo-passo i c.d. criteri Metro.
Conclusioni
- Internet resta un motore di crescita per beni di consumo, come anche i dati di mercato della associazione commercianti della Germania confermano: “Online-Handel bleibt Wachstumstreiber“.
- Al tempo stesso, proprio i produttori di marca vogliono una crescita regolata ai sensi delle regole del loro sistema di distribuzione e secondo le loro indicazioni. Di ciò fanno parte, proprio per prodotti di lusso e tecnicamente sofisticati così come ulteriori prodotti richiedenti una consulenza intensiva, indicazioni stringenti sulla pubblicazione della marca e sulla pubblicità (indicazioni su clausole applicabili a negozi fisici, divieti di piazze di mercato) e sui servizi da fornire (ad es. chat e/o numero telefonico con indicazioni sulla disponibilità).
- I produttori dovrebbero verificare se i loro divieti di usare piattaforme siano conformi ai requisiti della CGUE oppure se essi possono instaurare divieti di usare piattaforme – nella distribuzione selettiva, esclusiva, di franchising e in quella aperta.
- Chi vuole correre minori rischi possibili, dovrebbe, al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso, essere ancora prudente con divieti di usare piattaforme – ciò in quanto anche l’Ufficio Federale dei Cartelli ha come prima reazione dichiarato che la sentenza Coty vale solo per prodotti originariamente di lusso: “#Produttori di marca non hanno, ora come prima, nessuna carta bianca per #divieti di piattaforme. Prima valutazione: Ripercussioni limitate sulla nostra prassi” (BKartA su Twitter, 6.12.2017). In senso contrario si è ora posizionata la Commissione Europea: nella sua “Competition Policy Brief” di Aprile 2018 („EU competition rules and marketplace bans: Where do we stand after the Coty judgment?“) la Commissione – alquanto tra parentesi – tiene fermo il fatto che l’argomentazione adottata dalla CGUE nel caso Coty vale anche indipendentemente dal carattere di lusso dei prodotti distribuiti:
“Gli argomenti prodotti dalla Corte sono validi indipendentemente dalla categoria di prodotti coinvolti (ossia, nel caso di specie, beni di lusso) e sono applicabili egualmente a prodotti non di lusso. Se un divieto di usare piattaforme ha l’obiettivo di restringere il territorio in cui il prodotto può essere venduto o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti o se limita le vendite passive del distributore, ciò non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (traduzione dal testo originale in inglese)
Effettivamente la Corte di Giustizia UE nella sentenza ha definito “merci di lusso” in modo ampio: come merci la cui qualità “non poggia solo sulle sue caratteristiche materiali”, bensì su valori immateriali – cosa che per quanto riguarda merci di marca generalmente risulta vero (cfr. sentenza Coty della Corte di Giustizia UE del 06.12.2017, n. 25 così come, per quanto riguarda “merci di qualità”, le Conclusioni finali del 26.07.2017 dell’Avvocato Generale presso l’UE, n. 92). Inoltre la Corte di Giustizia UE richiede soltanto che le merci siano comprate “anche” per il loro carattere di prestigio, non “soltanto” o “soprattutto” per quello. Tutto ciò gioca a favore dei produttori di marca, che pare possano assumere divieti di utilizzo di piattaforme nei loro contratti di distribuzione – quantomeno entro una quota di mercato fino a un massimo del 30%.
- Chi non ha alcun timore di affrontare rivenditori e autorità dei cartelli, può erigere divieti di utilizzo di piattaforme assolutamente anche al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso – o puntare in modo ancora più forte su prodotti Premium o di lusso – come ad esempio nel caso della catena di profumi Douglas (cfr. Süddeutsche Zeitung dell’08.03.2018, pag. 15: “Attiva e non convenzionale, Tina Müller termina gli sconti presso Douglas e punta sul lusso”(traduzione dal testo originale in tedesco)).
- Per assicurare una qualità uniforme della distribuzione si possono inserire delle indicazioni qualitative stringenti, soprattutto rispetto alla distribuzione online. La lista delle possibili indicazioni qualitative è molto ampia. Tra questi, si riportano alcune “Best Practice” piuttosto frequenti:
– Il posizionamento come rivenditore (piattaforma, assortimento, comunicazione)
– la configurazione della pagina internet (qualità, l’impressione, ecc.)
– il contenuto e l’offerta di prodotto della pagina internet,
– la esecuzione delle compravendite online,
– la consulenza e il servizio clienti così come
– la pubblicità.
- Essenziale è inoltre che i produttori non possono vietare completamente il commercio internet ai rivenditori e le indicazioni distributive non possono nemmeno avvicinarsi a un tale completo divieto – come ora vedono i tribunali nel caso del divieto di usare strumenti di ricerca dei prezzi da parte di Asics, vedi a tal riguardo l’articolo dell’aprile 2018 (https://www.legalmondo.com/it/2018/04/germania-divieto-strumenti-di-comparazione-prezzi-e-pubblicita-su-piattaforme-terze/).
- Ulteriori dettagli sono presenti nelle riviste giuridiche in lingua tedesca:
– Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41
– Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattform-verboten nach dem EuGH-Urteil Coty, in: DB 2018, 300-306
– Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, 120-123
– Rohrßen, Internetvertrieb nach Coty – Von Markenware, Beauty und Luxus: Plattformverbote, Preisvergleichsmaschinen und Geoblocking, in: ZVertriebsR 2018, 277-285.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
Vai alla pagina Contrattualistica Internazionale
Il 1° gennaio 2019 entra in vigore la nuova legge tedesca sugli imballaggi (“Verpackungsgesetz”, abbreviata qui come “GPA” [German Packaging Act]), che sostituisce il regolamento tedesco sugli imballaggi del 1998 (“GPR” [German Packaging Regulation]). Il nuovo GPA obbliga un maggior numero di produttori e distributori – compresi i rivenditori on-line – a registrarsi e partecipare ad un sistema di smaltimento e riciclaggio.
La novità più importante: senza registrazione, è vietato ai produttori e rivenditori vendere in Germania gli imballaggi – e quindi i prodotti in essi contenuti –, anche attraverso il commercio elettronico (articolo 9 comma 5). Le autorità possono infliggere ammende fino a EUR 200.000,00 (articolo 34 comma 1 e 2) ai produttori e ai rivenditori, compresi gli importatori, che non rispettano questa legge. In aggiunta, i concorrenti e le associazioni dei consumatori possono fare istanza affinché i produttori e rivenditori cessino qualunque attività di vendita (come deciso dal Tribunale Regionale Superiore di Hamm al 17.10.2006, causa n. 4 U 92/06, per un caso di non adempimento del precedente RPA). Le autorità possono inoltre confiscare il profitto ricavato dalle vendite non conformi (articolo 10 della legge sulla concorrenza sleale) alla normativa.
Gli imballaggi che devono essere registrati e partecipare al sistema di smaltimento del nuovo GPA sono quelli per la vendita (o imballaggi primari – “Verkaufsverpackungen“) e gli imballaggi multipli (o imballaggi secondari – “Umverpackungen”) a due condizioni:
- contengono dei prodotti, e
- tipicamente finiscono, dopo essere stati utilizzati, come rifiuti presso (i) un consumatore finale privato o (ii) luoghi equivalenti di produzione di rifiuti (“gleichgestellte Anfallstellen“), in particolare:
- ristoranti
- alberghi,
- mense,
- amministrazioni,
- ospedali,
- istituzioni educative, caritatevoli o militari,
- stazioni di servizio, ecc. – indipendentemente dalla quantità dei rifiuti prodotti,
- piccole imprese artigiane e agricole – se i rifiuti di imballaggio prodotti sono raccolti in contenitori separati per la carta e il cartone, nonché imballaggi di plastica, metallici e compositi non superiori a 1.100 litri ciascuno e soggetti a smaltimento secondo il metodo tradizionale (invece di un tasso analogo a quello commerciale).
Questi obblighi valgono generalmente anche per i rivenditori online, poiché il nuovo GPA stabilisce esplicitamente che la nuova normativa si applica anche agli imballaggi per il trasporto: i rivenditori online, se i loro imballaggi soddisfano le condizioni di cui sopra, devono registrare i loro imballaggi e partecipare al sistema di smaltimento e riciclaggio. Ciò vale anche per i cosiddetti imballaggi secondari, nei quali i prodotti imballati vengono ulteriormente imballati. La Zentrale Stelle fornirà indicazioni su come interpretare l’AAP sotto forma di una linea guida e di un catalogo (che elenca, nella sua ultima bozza del 2018, 36 gruppi di prodotti per 417 prodotti) – che, nonostante sia stato annunciato per l’autunno 2018, non è ancora stato pubblicato (cfr. le ultime informazioni sul processo di consultazione).
Consigli pratici
- I produttori e tutti gli altri operatori economici che commercializzano in Germania dei prodotti confezionati devono rispettare la nuova legge, anche se hanno sede all’estero, se vendono in Germania. Il termine “produttore” è piuttosto ampio e comprende anche gli importatori e i distributori che mettono in circolazione per la prima volta gli imballaggi (articolo 3 comma 12 GPA).
- I produttori e i rivenditori non devono immettere nel mercato imballaggi che non sono registrati o non lo sono correttamente, pur essendo soggetti a registrazione. Il mancato rispetto delle norme può comportare gravi conseguenze, tra cui multe, richieste di risarcimento danni e confisca dei profitti.
- La nuova legge tedesca sugli imballaggi si applica dal 1° gennaio 2019, ad è in attuazione della Direttiva 94/62/CE (come il precedente regolamento tedesco sugli imballaggi). Il nuovo GPA mira ad aumentare ulteriormente gli standard ecologici e le condizioni specifiche per una concorrenza ben funzionante tra le imprese che partecipano al sistema duale per lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti e per un comportamento equo tra tutte le parti sul mercato (sviluppando così gli obiettivi del precedente GPR).
- Non esiste nessun periodo di transizione. La registrazione, se non precedentemente prevista dal GPR, deve avvenire al più tardi entro il 01.01.2019. I produttori, gli importatori e i rivenditori, come tutti gli altri operatori economici interessati, possono facilmente registrarsi online: https://lucid.verpackungsregister.org/
- Alla luce delle definizioni di cui sopra, le eccezioni che non richiedono la registrazione sono, ad esempio, le seguenti:
- gli imballaggi per l’esportazione che non finiranno come rifiuti in Germania;
- gli imballaggi commerciali di grandi dimensioni che finiscono come rifiuti nel settore industriale, vale a dire non presso consumatori finali privati o in luoghi equivalenti di produzione di rifiuti;
- gli imballaggi destinati a facilitare il trasporto, ma che di solito non vengono trasferiti al consumatore finale;
- imballaggi riutilizzabili e imballaggi per la vendita di prodotti contenenti sostanze inquinanti.
- I produttori e i dettaglianti devono rispettare diverse altre leggi sugli imballaggi e la loro etichettatura se vendono i prodotti all’interno dell’Unione europea (cfr. la panoramica della Commissione europea qui).
On 1 January, the new Packaging Act (“Verpackungsgesetz”) will replace the existing Packaging Ordinance (“Verpackungsverordnung”). Non-compliance with the new rules may have very unpleasant consequences.
For those who sell packaged goods to end consumers in Germany it is high noon: they have to adapt to the new packaging law, which comes into force on January 1, 2019.
The main objective of the new law is that in the future all concerned parties will have to take responsibility and bear the costs of disposing their packaging. The legislator also wants to achieve the increase of the recycling rate of paper, plastic, metal or glass packaging, and to use as many readily recyclable materials as possible. Therefore, the fee that producers or distributors must pay for disposal will in future not only depend on the quantity and material type, but also more on the recyclability of the packaging.
Who is affected by this law?
Manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds.
Affected are all so-called initial distributors of packaging, which typically end up at the private end consumer. These can be manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds, whether food, electrical appliances or furniture.
All of them, if they place packaging on the market for the first time, must register with one of the dual systems already today and, depending on the quantity and material of the packaging waste, pay a participation fee to the German take-back system.
It is new from next year on that they additionally have to register with the Central Agency Packaging Register and specify the amount of waste.
This information will be publicly available. By doing so, the legislator wants to create transparency and ensure that all those who place “packaging” on the market fulfill their obligations.
Also new is that the fees, which so far have been simply calculated according to quantity and type of material, should in future also depend on how well a material can be recycled.
For example: Cardboard boxes, which usually consist of two-thirds of waste paper, are easily recyclable, as are aluminium cans, which can be reused to 100 percent. By contrast, the notorious coffee-to-go cups are not recyclable because they consist of a quasi-inseparable composite material.
How exactly the gradations will look is not yet certain, as the dual systems still work on the implementation.
Further innovations for beverage manufacturers and distributors
The law contains several other changes that are particularly important for beverage manufacturers and distributors. The compulsory deposit for disposable containers will be extended to include a few types of beverages that were previously exempted, such as carbonated fruit and vegetable nectars. A new duty has been introduced for retailers, who must point out “with clearly visible signs” on disposable and reusable beverage packaging.As from 1st of January 2019 companies must also file the so-called Declaration of Compliance (“Vollstaendigkeitserklaerung”) with the Central Agency Packaging Register and not anymore with the respective local Chamber of Industry and Commerce.
What is the Declaration of Compliance?
A Declaration of Compliance is a verification concerning the volumes of sales packaging placed into the market by a manufacturer / distributor within one calendar year.
The filing of the Declaration of Compliance, however, only affects larger manufacturers, since the de minimis limits are set quite high in this respect. For paper, cardboard or carton it is about 80 tons per year.
Pre-registration is already possible as from September 2018. It is important to note, however, that every company involved in the system must perform the registration and data reporting “personally”, meaning that this process may not be transferred to third parties.
The respective database run by the Central Agency Packaging Register is called LUCID. Manufacturers, online dealers or initial distributors who preregister with LUCID will receive a provisional registration number, which will be sent to the Dual system with which they can sign a contract. There are currently nine companies offering this. Manufacturers who preregister in 2018 will automatically receive a registration confirmation from the Central Agency Packaging Register at the beginning of 2019. The registration including the indication of quantities is free and can be done online.
The Central Agency Packaging Register is also responsible to monitor compliance with the regulations. However, at the end of the day, everyone can check the respective compliance as LUCID is a transparent register and open to everyone to search the register for specific manufacturers and brands.
The law explains why this can have quite unpleasant consequences:
In case the registration is omitted, there is automatically a ban on distribution of the packaging and there is a threat of fines to be imposed which may range up to 100.000 €! Due to the publicity of the register, agents not complying with the law may have to expect that their goods will be discontinued in the German trade.
Still unclear issues
The definition of packaging covered by this law is not quite clear. Transport packaging such as that used by a manufacturer for delivery to the dealer and disposed of there, for example, is not affected by the obligation to participate at the system and the new registration obligation. This packaging does not end up at the private end consumer. But what about wine boxes, for example? They are often only transport packaging, but some customers may take a whole box of their favorite wine with them. In addition, hotels and restaurants, such as those supplied by a retailer, are considered by law to be private end consumers.
The author of this post is Olga Dimopoulou
In a recent decision on the 24th of October 2018 (n°18-D-23), the French Competition Authority (Autorité de la Concurrence, aka AdlC) fined the Stihl company (leader in mechanized culture products) for his practices in his selective distribution network. Stihl managed to restrict the sale of its products by its authorized distributors on their own website and to prohibit them from marketing them on third-party platforms.
The ruling is considered by the AdlC as having “vocation to clarify the framework applicable in France for the different sectors and products, beyond the sole sector of the mechanized culture”.
In this case the network implemented by the supplier was a selective distribution network. Therefore, AdlC’s position can only concern the implementation of a selective distribution network and is not applicable to an exclusive distribution network (see our Update Distribution/Competition, April 2018).
-
The lawfulness of the selective distribution network
The Authority follows the traditional analysis of validity of a selective distribution network. First, it highlights that selection of resellers was based on objective criteria such as qualitative nature, applied in a uniform manner and without any discrimination.
Then, the Authority had to determine whether the qualitative criterion conditioning the lawfulness of the selective distribution system was fulfilled or not. The Authority has decided that the fact that products in question are of a delicate assembly and that some of them even present risks for safety of users, justifies setting up a network of selective distribution.
-
The lawfulness of the ban on selling technical products on third-party platforms
The decision of the AdlC was especially expected on this point because it had to take into account rulings rendered by the CJEU and then by the Paris Court of Appeal in the Coty cases ((CJUE 6/12/17, affaire 230/16; Cour d’appel de Paris, pôle 5, ch 4, 28 février 2018, n° 16/02263). The question was: the right of suppliers to prohibit their authorized distributors from distributing their products on third-party platforms is limited to luxury goods only (the Coty hypothesis) or could be extended to include others products? The hypothesis of this extension had already been addressed by other courts in Europe and also by the Advocate General before the CJEU (see our Update Distribution/Competition, December 2017) and then by the European Commission.
In a nutshell the Authority extends the Coty case law to technical products whether they are dangerous or not.
First of all, the Authority notes that “prohibition to sell on platforms contributes to preserving the safety of consumers and to guaranteeing the brand image and the quality of the products concerned”.
Then, the Authority checked whether this restriction did not go beyond what is necessary in regards to characteristics of products in question. It notes that in the case of third-party platforms, this restriction allows supplier to control that its distributors comply with requirements of distribution network.
Finally, the AdlC checked whether this prohibition was not disproportionate, and in this case, noted that there is no disproportion in so far as distribution on third-party marketplaces is not a main marketing channel for mechanized culture products.
This result (validation of the ban on the sale of products on third-party platforms) may allow many economic operators to believe legitimately that the scope of the Coty case law can be broad.
-
Prohibition of restrictions on resale of products on distributors’ websites
However the AdlC has refused to approve the clause restricting resale of products by distributors on their own websites.
In this case, if customers of the distributors could place an order online, they had to, for products with a certain dangerous nature (such as chainsaw, pruner, brushcutter, etc.) either come to withdraw the product at a (physical) sell point owned by distributor or to be delivered by the distributor. Distributor had indeed underwritten a complete obligation to “put in hand” the machine, including the oral communication of usage instructions and a demonstration.
The AdlC decided that this obligation to put in hand was actually to cancel advantages attached to Internet selling and thus to prohibit purely and simply Internet selling. According to the Authority, this restriction went beyond what is necessary to preserve consumer’s health.
The AdlC had to determine whether this restriction was a restriction by object or effect. According to the Authority, the restriction at stake reduced the ability of distributors to sell products outside their usual customers catchment area, and as such should be characterized as a competitive restriction by object.
On possible exemptions issues, the Authority first rejects the possibility of category exemption within the meaning of the EU Block Exemption Regulation No 330/2010, the anti-competitive practice being comparable to a restriction characterized by passive sales within the meaning of Article 4, para. (c). Possibility of an individual exemption was also rejected by the Authority after examining any efficiency gains related to this “put in hand” obligation.
The Authority could have taken advantage of this particular case, to refine the Pierre Fabre / Bang & Olufsen case law and validate and update sales restrictions on the Internet when the proper nature or quality of products justifies such a restriction.
In summary, the marketing of products involving high technicality or which tend to be dangerous by using it:
- justifies the implementation of a selective distribution network;
- may be prohibited on third party platforms (if the selective distribution network is considered lawful);
- could not be restricted on the websites of authorized distributors of a lawful selective network, for lack of “efficiency gain” in favor of consumers, according to a very (too?) strict position of the AdlC.
On this last point, it will probably be necessary to wait for a clearer solution given by the Court of Appeal of Paris (in front of which a recourse is now pending) or the Court of Cassation.
Arbitration is a well-known system for dispute resolutions, and works as an alternative to judicial procedures. Parties are free to choose this system and to submit their conflicts to specific arbitrators or institutions.
It is usually considered that arbitration is a good way to solve conflicts but preferable to those arisen between big corporations or involving important amounts of money. Although this assumption is generally accepted, there is an alternative for distribution disputes suitable for smaller companies and cases with lower amounts claimed.
And here is the essential question: why a manufacturer/franchisor or a distributor/agent/franchisee should choose a specialized arbitration for their agreements instead of a more general one or, even, a judicial procedure? The answer seems clear: an arbitrator with knowledge not only in procedural questions but in substantive matters will be able to better understand the conflict between the parties and, therefore, to grant a better award. Take into account that, for instance in my Country, Spain, a Judge of First instance can deal in the same day with a distribution contract, a construction case, a conflict between heirs, and a discussion in a community of owners. All of this requires the analysis of different facts and completely different legislations and it is true that specific commercial problems do not usually have judges experts in international trading. But, how to choose a good specialized arbitrator? And, how to choose the arbitral procedure and the institution in terms of organization, neutrality, costs and time?
The IDArb was created in 2016 by the International Distribution Institute (www.idiproject.com) in collaboration with the Chambre de Commerce d’Industries et de Services de Genève (CCIG www.ccig.ch) and the Swiss Chambers’ Arbitration Institution (SCAI www.swissarbitration.org) and offers to the distribution sector (distribution, agency, franchising, selective distribution) a specialized, expedited and affordable arbitration procedure, not only for big international corporations but also for smaller cases. In fact, the expedited procedure is particularly foreseen for amounts below one million CHF (approx. 880.000 €).
The objectives and main characteristics of IDArb which make it suitable for all the distribution disputes are:
- A list of specialized arbitrators experts in this particular field is available for ad hoc or institutional arbitration and IDArb is able to assist the parties to choose one of them.
Specialized arbitrators from different countries and legal cultures have been appointed by a Selecting Committee reviewing their experience in one or more fields of distribution law. Therefore, parties can trust that the arbitrator will have concrete skills in the business with an in-depth understanding of the disputed issues. This is not a general knowledge on commercial law, but a concrete one on distribution, expressly verified by the Committee. Parties can even examine some examples of cases in which every arbitrator has been involved in.
- In order to maintain its high quality, the IDArb organizes training seminars for its appointed arbitrators. In these seminars, they are able to discuss about the general management of the arbitration, the procedural aspects and how to solve possible incidents in collaboration with the Institutions and their Rules. This will make all the proceedings more manageable and the possible difficulties more easily solved. Last seminar took place in Geneva in November 8, 2018 and participants have discussed, amongst other subjects, on evidences, witnesses and document production.
- The expedited arbitration procedure permits the parties to have a tailored procedure managed by SCAI under the Swiss Rules of International Arbitration, specially adapted for small disputes in the field of distribution.
- Time is also an essential element: the award in the expedited procedure will be issued in a maximum term of six months (only exceptional circumstances permit the Court to extend such time-limit), and, if parties agree, it can be decided only on documentary evidence.
- Costs are reasonable and known in advance.
- And, as final but important remark, IDArb has also adopted some recommendations where, upon request of the parties, mediation is favoured, the arbitrator my consider giving a preliminary non-binding and provisional assessment of the dispute and should have a pro-active position in order to facilitate an amicable settlement.
To have further information about the clause to use in the contracts, the list of specialized arbitrators, their skills, experience and complete CV, and the recommendations for expedited arbitration, you can follow the link: https://www.idiproject.com/content/idarb-idi-arbitration-project
Civil and Commercial Code of Argentina (“Code”) do not contain specific provisions for distribution contracts. Rather, a distribution contract is considered a so-called “innominate contract”, which combines, among other things, elements of purchase and sales contracts, commercial agency and mandate agreements. Article 1511 establishes that the rules of Chapter 18 (Concession Contracts) shall be applied to distribution agreements when applicable. Therefore, if the distribution agreement does not regulate a specific issue, the solution should sought by analogy referring to the statutory provisions related to these three types of contracts as default rules to the extent suitable in a given case.
Form and Formalities
Argentine Law requires no particular form or formalities for this type of agreements. However, written contracts are the most common form of agreements.
Important Provisions
For all parties:
- a) Force Majeure: Considering that Argentina tends to be an unstable environment for business due to political reasons, parties may be interested in considering the possibility of including acts of law/change in law and government acts within the scope of force majeure of the agreements.
- b) Insurance of products. It is important to have the products covered by an insurance, so that in the event of an accident, losses can be limited.
- c) Product registration.
For the supplier:
- a) Payment (if international, without taxes, provisions to receive full amount with no deduction or withholding).
- b) Currency (due to unstable of Argentine Pesos, it’s important to establish it and price increase if necessary).
- c) Product Recall.
- d) Lead Time.
- e) Delays.
- f) Stock conditions.
For the distributor:
- a) Returns.
- b) Clientele compensation.
- c) Defective product.
- d) Product samples.
Incoterms
In national distribution agreements, Incoterms are not commonly used. However, in international distribution agreements, the most common Incoterms used are the following:
For air transport: FCA (Free Carrier); for ship transport: FOB (Free On Board)
Product Liability
According to Argentine Consumers Law No. 24,240, the term for a consumer to bring an action against the distributor and/or supplier would elapse after three years, the term for other players in the commercialization chain who have a direct contractual relationship with the distributor and/or the supplier (e.g. retailers who have acquired the goods from the distributor and/or the distributor’s subcontractor) would expire only after ten years. In any event, the contractors may be interested in considering the possibility of counting the three-year term from the date of expiration of the products instead of considering the date of termination of the agreement (e.g. the product might be stored and not sold for a while and the mentioned 3-year expiration shall be therefore delayed).
Intellectual Property
Supplier shall obtain and renew registration of the products’ trademarks in Argentina. Besides, supplier should include a clause in the agreement stating that the trademarks are of its own property and that distributor only can use them to the extent granted by supplier in the agreement while it’s still in force. Moreover, distributor should protect supplier’s trademarks.
Termination
La parties may agree freely how to terminate the agreement. In case you agree a non cause resolution clause, such should have a reasonable prior notice so that the other party may have time to get another distribuitor or face the lose of the client, depending how exercise such option.
Applicable Law and Jurisdiction
The parties may agree the law wich they consider more convenient to solve any issue of the agreement. Moreover, the parties also are free to choose a court or an arbitral tribunal within the country or foreign.
The author of this post is Tomás García Navarro.