Distribuzione commerciale negli USA

9 Febbraio 2018

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  • Distribuzione

Il contratto di distribuzione e la distribuzione selettiva

L’ordinamento italiano non prevede una disciplina specifica del contratto di distribuzione. Pertanto, esso risulta regolato, per analogia, dalle norme dettate per il contratto di compravendita, da quelle generali previste in materia di obbligazioni contrattuali, nonché dai principi fissati dalla giurisprudenza in materia. Il contratto di distribuzione non richiede la necessaria forma scritta (che è comunque sempre consigliata).

In questo contesto, il sistema di distribuzione selettiva viene adottato, principalmente, nel settore dei beni di elevato livello tecnologico per i quali l’acquirente necessiti di specifica assistenza o dei beni di lusso, per tutelare gli investimenti effettuati dal titolare in termini di prestigio del marchio. Il produttore o il distributore esclusivo selezionano, sulla base di criteri qualitativi e/o quantitativi (numero e dislocazione geografica), i rivenditori che rispondono a determinati standard di competenza professionale, di qualità del servizio e/o di prestigio del punto vendita, stabiliti dallo stesso produttore.

La distribuzione selettiva è definita dal Regolamento UE 330/2010 del 20.04.2010 (relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate) come segue:

un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema” (art. 1, comma 1, lett. e), Reg. citato).

Trattandosi di una forma di restrizione verticale della concorrenza, essa gode tuttavia dell’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), e di quello previsto dall’Art. 2 della Legge n. 287 del 10.10.1990 (Intese restrittive della libertà di concorrenza), ricorrendone i presupposti di cui allo stesso Regolamento 330/2010.

Il rifiuto di fornire i prodotti

In questo quadro, a fronte del rifiuto da parte del produttore/titolare della rete di distribuzione selettiva, un rivenditore che assumesse di avere tutte le qualità richieste, avrebbe il diritto di pretendere di essere inserito nella rete distributiva e, quindi, di essere rifornito dei prodotti oggetto di tale distribuzione commerciale?

Per rispondere a tale domanda occorre innanzitutto rilevare che è un principio generale, secondo l’ordinamento italiano (ma è condiviso da molti altri sistemi giuridici), la c.d. “autonomia contrattuale” che si traduce anche nella libertà di contrarre o meno facente capo ad ogni soggetto. Ne deriva che, di regola, ognuno è libero di rifiutarsi di concludere un contratto e, nel caso di specie, di fornire i propri prodotti ad un rivenditore terzo che ne faccia richiesta.

Le eccezioni a questa regola sono rigidamente stabilite dalla legge, come ad esempio il caso del monopolista legale. Ma si tratta di una fattispecie che non ricorre – com’é evidente – nel caso di un sistema di distribuzione selettiva tra privati.

Le norme antitrust europee e italiane

Prendendo in considerazione le norme antitrust che disciplinano la distribuzione selettiva e la sua esenzione dal divieto di porre in essere intese restrittive della concorrenza, ossia, rispettivamente, l’art. 101, comma 3, TFUE, ed il Regolamento UE 330/2010, a mente dei quali va interpretato l’articolo 2 della L. 287/1990, non vi è modo di ricavare un obbligo a contrarre, per di più, suscettibile di tutela costitutiva in forza dell’art. 2908 Cod. civ. (ossia attraverso una sentenza del giudice che sostituisca il contratto non stipulato), in capo ad un soggetto privato (quindi non un ente pubblico) che non si trovi in posizione di monopolio, nei confronti di un altro soggetto.

Analogamente, anche nel caso in cui l’impresa terza rispondesse ai criteri utilizzati per selezionare i rivenditori della rete distributiva, nessuna norma (tanto meno il Regolamento UE 330/2010) impone all’impresa fornitrice di contrarre con l’impresa terza e, quindi, di farla accedere alla rete distributiva. In tal senso si è recentemente espressa la giurisprudenza in un caso di restrizione verticale negli accordi per la vendita di autoveicoli.

Per cui, anche sotto quest’aspetto, il rifiuto di fornire il rivenditore terzo appare assolutamente legittimo, senza che risulti neppure necessario accertare le caratteristiche del sistema distributivo utilizzato dal produttore/distributore o la compatibilità del medesimo con l’art. 2, L. 287/90.

Ad ogni buon conto, i punti 175 e 176 della Comunicazione della Commissione 19 maggio 2010, 2010/C 130/1, recante Orientamenti sulle restrizioni verticali (indispensabile complemento del Regolamento di esenzione per categoria), chiariscono che:

(i) mentre un sistema puramente qualitativo, di norma, non rientra nell’ambito di applicazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, e quindi è lecito a prescindere da qualsiasi esenzione,

(ii) la distribuzione selettiva qualitativa e quantitativa beneficia dell’esenzione per categoria fintantoché la quota di mercato sia del fornitore che dell’acquirente non supera il 30%, anche se ad essa sono combinate altre restrizioni verticali non fondamentali come il divieto di concorrenza e la distribuzione esclusiva, purché i distributori autorizzati non siano soggetti a restrizioni nella vendita attiva tra loro e agli utilizzatori finali. Il regolamento di esenzione per categoria esenta gli accordi di distribuzione selettiva a prescindere dalla natura del prodotto in questione e del criterio di selezione. Tuttavia, se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva o non richiedono i criteri applicati, come ad esempio la condizione per i distributori di avere uno o più punti vendita «non virtuali» o di fornire specifici servizi, tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio” (n. 176 cit.).

Oltretutto, la regola c.d. “de minimis” (Comunicazione della Commissione Europea relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis») 2014/С 291/01 [Gazzetta ufficiale C 368 del 22.12.2001]) prevede che siano esclusi dall’applicazione dell’art. 101 TFUE gli accordi stipulati tra imprese concorrenti la cui quota di mercato complessiva sia inferiore al 10%, ed al 15%, nel caso di accordi tra imprese non concorrenti (ovvero operanti a livelli diversi della catena distributiva, come nel caso della distribuzione selettiva).

In ogni caso, indipendentemente dalla presenza o meno delle condizioni per l’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE, non sussiste alcun obbligo per il produttore/distributore di far accedere alla rete di distribuzione selettiva il rivenditore terzo che ne facesse richiesta, anche avendone, in ipotesi, i requisiti.

Analogamente, dal citato Regolamento UE 330/2010, o altrove, non è ricavabile un obbligo che imponga all’impresa che ha posto in essere un sistema di distribuzione selettivo di rendere noti i criteri di selezione utilizzati ai terzi che ne facciano richiesta, anche considerando che tali criteri hanno un evidente carattere di riservatezza commerciale, riguardando aspetti determinanti delle strategie competitive del produttore/distributore, la cui conoscenza rappresenterebbe un indebito vantaggio per il terzo, che opera, evidentemente, nel medesimo settore di mercato.

Le norme sulla concorrenza sleale

Per completezza, occorre osservare che il rifiuto di fornire il rivenditore terzo potrebbe configurare un atto di concorrenza sleale, vietato ai sensi dell’art. 2598 Cod. civ., potendo rappresentare un caso di “boicottaggio economico primario” consistente nel rifiuto ingiustificato di contrarre da parte di un’impresa. Occorre però tenere presente che, affinché si possa ritenere illecito tale comportamento, si deve verificare la compresenza di due elementi:

1) oggettivo. È, infatti, ritenuto generalmente lecito il boicottaggio individuale diretto, perché manifestazione della libertà dell’imprenditore di scegliere la propria controparte (autonomia contrattuale), salvo il caso in cui questo sia posto in essere da una impresa in posizione dominante (posizione di mercato che consente ad un’impresa di assumere un comportamento significativamente indipendente nei confronti delle imprese concorrenti e dei consumatori, a causa di una considerevole restrizione della concorrenza all’interno del mercato in cui la stessa impresa opera);

2) soggettivo. Occorre che il comportamento commerciale consistente nel boicottaggio sia dolosamente diretto all’esclusione dal mercato del concorrente, e non abbia altra giustificazione, non rientrando nelle abituali strategie di mercato del soggetto che lo pone in essere.

Ma anche nell’ipotesi sopra descritta, il rifiuto (ingiustificato e deliberato) di concludere il contratto non comporterebbe per il produttore/distributore l’obbligo di far accedere il terzo nella rete di distribuzione selettiva, ma solo quello di risarcire il relativo danno.

L’esecuzione in forma specifica

In ogni caso, un Giudice non potrebbe mai condannare il titolare della rete di distribuzione selettiva a fornire il terzo per il semplice motivo che i casi in cui è prevista, dall’ordinamento italiano, l’esecuzione in forma specifica di un obbligo a contrarre richiedono sempre necessariamente o che il contenuto del contratto definitivo sia stato predeterminato dalle parti medesime attraverso un precedente contratto, come nel caso dell’esecuzione del contratto preliminare, prevista dall’art. 2932 cod. civ., oppure che il contratto definitivo sia predeterminato in maniera rigorosa dal mercato, in quanto, trattandosi di monopolista legale, come è appunto il caso dell’art. 2597 cod. civ., si tratta soltanto di applicare le condizioni contrattuali che lo stesso pratica nel mercato al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i contraenti.

In un’ipotesi come quella in esame, al contrario, l’oggetto del contratto sarebbe assolutamente indeterminato ed indeterminabile ed, in assenza di qualsiasi parametro, il giudice non potrebbe stabilirne autonomamente il contenuto.

L’autore di questo articolo  è Davide Grill.

It is not only since the days of the Internet that brand manufacturers have had to contend with the fact that original products are offered outside of their authorized sales channels. The problem has since been significantly exacerbated, however. The relevant products are also referred to as gray market products.

The internal market of the European Economic Area makes it possible to exploit certain price advantages – that is, purchasing in one Member State at a price that is lower than in other Member States and selling to the end customer while passing on (or not passing on) the purchasing advantage. This is made possible by the “exhaustion regime”, according to which the sale of products, which at one time were made available in the European Economic Area with the copyright holder’s consent, cannot be prohibited.

Brand manufacturers’ attempts to counter this issue by means of distribution systems may be an effective instrument, but only if all distribution partners adhere to it. If a distribution partner pulls out, trademark owners (at least in Germany) are initially required to contact their distribution partner who is acting contrary to the contract. That is difficult when the distribution channel of the products in question cannot be traced by security systems (such as SKU numbers) beyond any doubt. A right to information against a third party generally does not exist. Thus, neither the distribution system itself nor the suspicion that the products are not of EU origin may be used easily to justify a right to information in selective or exclusive distribution. The Federal Court of Justice, for example, sees no reason to deviate from the exhaustion doctrine when implementing a selective distribution system (Federal Court of Justice, 1 ZR 63/04). In the case of a selective or exclusive distribution system (Federal Court of Justice, I AR 52/10), the burden of proof is reversed. Accordingly, it is initially the brand manufacturer itself that is responsible for providing evidence for its allegation of a non-EU product.

Exceptions are only made where, for example, the SKU numbers were modified, since this makes clarification difficult. In such cases, trademark infringement and at the same time breach of competition law are given by way of exception and it is not possible for the dealer to invoke exhaustion (Federal Court of Justice I ZR 1/98). The deliberate misleading of the authorized dealer by a third party to breach the contract is also recognized as an exception (Federal Court of Justice I ZR 96/04), which regularly is not verifiable, however.

By the way, the sensational December 2017 Coty decision of the Court of Justice of the European Union (CJEU C-230/16) (here you can find more: https://www.legalmondo.com/2017/12/eu-court-justice-allows-online-sales-restrictions-coty-case/) has not changed this basic presumption, either. In its Coty decision, the CJEU in the end confirms the exhaustion priority also and particularly for luxury products by referring to existing case law (specifically ECJ C-59/08).

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There are, however, more options available. As confirmed by the ECJ (ECJ, C-337/95), an exemption from the exhaustion principle already applies when the type of sale may be designed to damage the reputation of the trademark. In the Court’s opinion, this applies to the sale of products at discounters, if such a sale damages the reputation of the products to an extent that their luxurious image and quality is called into question (ECJ, C-59/08). This applies, on the one hand, if other products are sold in the immediate “neighborhood” to the branded product, without meeting the same quality requirements (ECJ, C-337/95) or if the advertising methods are unsuitable (ECJ, C-63/97). Hamburg Regional Court, for example, found that the use of photographs that are unsuitable and detrimental to the luxury image of a brand justifies a prohibition claim (at least with respect to use of the photos) (Hamburg Regional Court, 315 O 339/13). The Federal Court of Justice saw improper handling of the brand in an erroneous and negligent labeling of products (Federal Court of Justice, I ZR 72/11).

Düsseldorf Higher Regional Court has now also followed these CJEU guidelines by prohibiting the sale of high-priced cosmetic products, which are distributed in the framework of a strictly regulated selective distribution system, at a discounter (Düsseldorf Higher Regional Court, I-20 U 113/17). The Court explicitly referenced the CJEU, by repeating its principles and then applying them in the case of the discounter:

The permanent and extensive sale of the cosmetic products at issue on the online platform www…de is suitable to significantly impair the image of the application brands. The way in which the products are presented there draws the application brands into the mundane and ordinary. As the relevant public is used to from the multitude of Respondent’s conventional self-service department stores, the offering on www…de of everyday products is frequently dominated in the form of particularly low priced own labels, such as Z.’s own label O. Respondent’s motto applies here as well. The assortment ranges from food to electronics, household goods, clothing to cosmetics. Since Respondent’s online presence was merged with that of the company B that it had acquired, it is moreover not only Respondent that offers its goods for sale on the platform, but also third parties may market goods via the online platform. The portal is designed to be functional and oriented toward products that are on sale. Customers are able to collect PAYBACK points with each purchase and may make use of financing. In some cases, goods are advertised at “instead of prices and red letters indicate in attention-getting manner what percentage customers will save compared to the original prices. Product consultation does not take place.

By offering luxury products at random alongside every-day and mass products without any kind of prominent presentation and becoming affordable through financing options, the products would be placed on a level with the other items offered, thereby significantly affecting the prestige value of the products. For this reason, Düsseldorf Higher Regional Court pronounced a complete ban on distribution for the online platform and the department stores.

Conclusion:

Even if the Düsseldorf Higher Regional Court’s decision is not to be considered revolutionary in light of existing CJEU case law, it certainly ensures some impetus in proceeding against gray market dealers, since national courts are now no longer facing the “uncomfortable” hurdle of applying CJEU case law, but rather in the customary fairway of national case law. In principle, Düsseldorf Higher Regional Court case law may not be understood as a blank check, however. Even Düsseldorf Higher Regional Court did not allow a general ban, but rather weighed individually whether the distribution in its concrete form could be prohibited. In the future, it will also be important to work out what in particular will determine the extent of the ban.

The author of this post is Ilja Czernik.

We have seen in a previous post the advantages of mediation as an alternative dispute resolution method in franchise agreements. From there, what recommendations could we give to make better use of mediation? Although we will have to adapt them to each specific case, the following points could be very useful:

  1. Specifically foresee in the contract a mediation clause as an alternative dispute resolution method. Although the franchisee and franchisor can agree to mediate once the conflict arises without having reflected it in the contract, it will surely be more complicated to do so when both have already initiated the discrepancies. It is preferable, therefore, to do it before: it places the parties in a better predisposition, they will be able to choose the procedure in a better way, as well as the institution, the mediator, the formalities, etc.
  2. If the parties have agreed on a mediation agreement, this may be initiated at the request of only one of them, without having to re-reach an agreement.
  3. The mediation clause is also recommended, because once an application for the initiation of mediation has been agreed upon, the limitations period of the legal actions will be suspended until the termination of the mediation.
  4. By virtue of this agreement and having initiated the mediation, the courts will not be able to hear such controversies during the time in which the mediation takes place, provided that the interested party invokes it.
  5. In the clause, it is convenient to foresee some elements, such as what issues may be the subject of mediation (all or only some of them), the need or not of a previous negotiation, adequate deadlines to avoid that this procedure can be used to delay other ways, the applicable law to mediation and to the agreement reached with it, the competent jurisdiction for the adoption of precautionary measures, where appropriate, or the jurisdiction or arbitration to settle the dispute in case of failure of mediation.
  6. It is true that one of the principles of mediation is its voluntary nature. However, the existence of the clause and being obliged to attend at least one informative session before initiating any judicial procedure can convince of its advantages even the most reticent party.
  7. Include the mediation as an alternative dispute resolution method within the pre-contractual information that the franchisor must deliver to potential franchisees. Although the Spanish norm does not seem to expressly demand that reference be made, this seems an optimal moment to show transparency and the will to solve possible problems in an agile manner. It also predisposes the good understanding, cooperation and good faith of the franchised brand before the beginning of relations.
  8. Appropriately select the mediation institution to which to refer in case of conflict or foreseeing the best way to choose the most appropriate mediator. Currently there are many institutions or professionals that offer guarantees of impartiality. It may be relevant that it is a mediator with specific training, who facilitates the communication and confidence of the parties and, insofar as possible, who can fully understand the nature of the franchise. There are institutions in Spain such as the Signum Foundation (http://fundacionsignum.org/) or MediaICAM of the Madrid Bar Association (https://mediacion.icam.es) that can be good choices.

On the topic of the importance of Mediation in Distribution Agreements, you can check out the recording our webinar “Mediation in International Conflicts”

Secondo l’indagine settoriale dell’Unione Europea sul commercio elettronico, più del 50% dei market online e il 36% dei rivenditori inoltra i propri prezzi a motori di ricerca dei prezzi come ad esempio Idealo.it, trovaprezzi.it o kelkoo.it. Il 10% dei rivenditori, per contro, sottostà a divieti di utilizzo di motori di ricerca dei prezzi (cfr. Relazione finale, pag. 11).

Tuttavia recentemente la Corte Federale Tedesca ha dichiarato illegittima l’imposizione di un divieto di utilizzo di motore di ricerca dei prezzi. Nel caso di specie, Asics proibiva generalmente ai rivenditori di utilizzare motori di ricerca dei prezzi per il commercio online con una clausola che prevedeva:

Oltre a ciò, il rivenditore autorizzato … non può … supportare la funzionalità di motori di ricerca dei prezzi, fornendo l’interfaccia applicativa specifica (“API”) a tali strumenti di comparazione”.

Oltre a ciò, il contratto conteneva un esteso divieto di effettuare pubblicità su piattaforme di terze parti. Asics proibiva cioè ai rivenditori di consentire che terzi potessero utilizzare il marchio ASICS in qualsiasi forma sulla propria pagina internet, anche se al solo fine di indirizzare i clienti verso la pagina internet dei rivenditori autorizzati ASICS.

Il contratto di distribuzione di Asics è stato sottoposto dapprima a un’investigazione nell’ambito di un programma pilota da parte dell’Ufficio Federale dei Cartelli (un altro programma pilota era stato iniziato contro Adidas in quanto molti rivenditori di articoli sportivi si erano lamentati delle imposizioni, per quanto riguarda la distribuzione internet, formulate da parte di produttori di articoli sportivi). Nel 2015 l’Ufficio Federale dei Cartelli (“Bundeskartellamt”) riteneva che il divieto di utilizzare motori ricerca dei prezzi, così come imposto da Asics, fosse anticoncorrenziale, in quanto violerebbe l’art. 101 co. 1 TFUE e il § 1 della Legge tedesca sulle limitazioni della concorrenza. Infatti, il divieto mirerebbe principalmente a controllare il fenomeno della concorrenza tra prezzi, limitando la stessa a spese del consumatore (cfr. Ordinanza del 26.08.2016, n. fasc. B2-98/11, punto 403 e ss.). Tale decisione veniva confermata in prima battuta dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (ordinanza del 05.04.2017, n. fasc. VI-Kart 13/15 (V) – vedi l’articolo su Legalmondo qui).

Ora la decisione è stata ribadita anche dalla Corte Federale Tedesca (ordinanza del 12.12.2017, n. fasc. KVZ 41/17). La decisione del caso Asics è particolarmente degna di nota, in quanto rappresenta la prima decisione di un tribunale tedesco successivamente alla sentenza Coty della Corte di Giustizia UE sui divieti di distribuire su piattaforme internet (vedi qui l’articolo Legalmondo). Essa costituisce quindi una prima indicazione su come i tribunali tratteranno in futuro le restrizioni alle rivendite su internet.

Così, la Corte Federale Tedesca sostiene che la previsione di un divieto generale di utilizzare motori di ricerca dei prezzi limiti “quantomeno” la vendita passiva al consumatore finale (cfr. punti 23, 25), e che questo anzi sarebbe proprio lo scopo del divieto di utilizzare motori di ricerca dei prezzi. Secondo la Corte, dall’ammissibilità della previsione di divieto di rivendere su piattaforme internet di terzi (come affermato nella sentenza Coty, vedi qui) non discenderebbe per ciò stesso l’ammissibilità di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi (cfr. punti 28 e ss.). In particolare, sarebbe l’uso combinato di limitazioni” – ossia del divieto di usare motori di ricerca dei prezzi e di effettuare pubblicità su piattaforme terze – a fare la differenza. Con ciò eventuali consumatori interessati non godrebbero più “in modo effettivo” di un accesso all’offerta internet del rivenditore (punto 30), sebbene la Corte non chiarisca cosa sia sufficiente e/o necessario affinché un tale accesso sia assicurato “in modo effettivo”.

Conclusioni pratiche

  1. A livello comunitario, la Corte di Giustizia UE e la Commissione Europea non hanno preso posizione sull’efficacia o inefficacia di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi. Nel Regno Unito, tuttavia, la Competition and Markets Authority ha un’opinione analoga alla prassi dell’amministrazione e giurisprudenza tedesca (“BMW cambia politica sui siti di comparazione dei prezzi di autovetture, seguendo la decisione CMA”).
  2. Nella pratica dovrebbe valere, pertanto, la seguente differenziazione, già prefigurata dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (caso Asics) e dalla Corte d’Appello di Francoforte (caso Deuter), di cui alla decisione della Corte Federale Tedesca:
  • Divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi sono da considerare, ai sensi della Corte Federale Tedesca, limitativi della concorrenza e perciò nulli – sebbene possano essere, viceversa, efficaci, qualora non li si combini con un ampio divieto di pubblicità, al fine di assicurare l’ampio accesso alla pagine internet del rivenditore da parte di consumatori interessati all’acquisto.
  • Divieti individuali di usare motori di ricerca dei prezzi, ulteriori misure più morbide nonché indicazioni sull’uso dei portali di comparazione di prezzi sono, viceversa, legittimi, ad esempio con riguardo alla riproduzione di immagini del prodotto o a descrizioni o al settore di cui il prodotto fa parte (così come, ad esempio, il requisito che il commerciante possa offrire soltanto prodotti nuovi).

Per ulteriori dettagli sul punto si veda l’articolo in lingua tedesca Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, pag. 118 ss.

  1. Inoltre, i produttori possono vietare, nell’ambito di una rete di distribuzione esclusiva, la pubblicità attiva online rivolta a consumatori, nella misura in cui il produttore si riservi tale facoltà o la conferisca a un altro distributore e specifichi le lingue utilizzate. In linea di massima, tutti i criteri qualitativi potenzialmente immaginabili sono permessi, purché gli stessi siano equivalenti ai criteri adottati nella rivendita offline, sulla base del principio di equivalenza (in quanto “La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale», Orientamenti sulle restrizioni verticali, punto 56).

Per ulteriori informazioni si vedano in lingua tedesca:

  • quadro generale sullo stato attuale della prassi, comprensivo di modelli di clausole: Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, pag. 39-41 e
  • In particolare sui divieto di piattaforme e sulla possibile redazione di contratti di distribuzione: Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattformverboten nach dem EuGH-Urteil Coty – Auswirkungen auf Fachhändler- bzw. Selektiv-, Exklusiv-, Franchise- und offene Vertriebsverträge –, in: DB 2018. 300-306.
  1. Sull’ammissibilità dell’utilizzo di marchi e simboli d’impresa all’interno di una funzione di ricerca posta in una piattaforma di vendita su internet, si veda il Comunicato stampa della Corte Federale Tedesca sulle due recentissime decisioni del 15.02.2018 (n. fasc. I ZR 138/16, caso “Ortlieb” e n. fasc. I ZR 201/16 (caso „gofit“).

Quando si entra in nuovi mercati, vi sono differenti strategie di distribuzione tra le quali scegliere (I.). Nel commercio al dettaglio, di vetture o nella vendita all’ingrosso sono assai frequenti gli accordi di distribuzione (II.). Negli accordi di distribuzione internazionale le parti possono scegliere la legge applicabile (III.). Sia nel caso in cui si vi sia una scelta che nel caso in cui non vi sia, la legge applicabile può contenere spiacevoli sorprese, come ad esempio l’indennità di fine rapporto per il distributore secondo il diritto tedesco (IV.). Tali sorprese possono essere evitate, e quest’articolo mostra come, alla luce delle ultime decisioni della Corte Suprema Federale tedesca (V.).

I.       L’ingresso in nuovi mercati

Entrando in nuovi mercati è possibile scegliere tra differenti strutture di distribuzione e differenti intermediari. La scelta dipende da molti fattori – in particolare le attività esistenti, il mercato-obiettivo e la strategia di mercato desiderata – e può ricadere su diverse forme: dalla vendita diretta con propri dipendenti o agenti di vendita alla distribuzione indiretta tramite distributori, affiliati, commissionari, la vendita di prodotti senza marchio o la concessione in licenza (con produzione e vendita da parte di terze parti). Per dettagli sulla distribuzione in Germania si veda l’articolo precedentemente pubblicato su Legalmondo “Germany – Distribution agreements (accordi di distribuzione in Germania) ”.

II.      Accordi di distribuzione

Nel commercio al dettaglio (in particolare di prodotti di elettronica, cosmetici, gioielleria e moda), di vetture e all’ingrosso, frequentemente gli investitori scelgono un sistema di distribuzione – senza aver riguardo al fatto che l’intermediario di vendita sia denominato quale “distributore”, “commerciante”, “rifornitore”, “rivenditore specializzato”, “concessionario” o “rifornitore autorizzato”. I distributori sono contraenti autonomi e indipendenti, che vendono e promuovono costantemente i prodotti in proprio nome e in proprio conto. Essi si assumono il rischio imprenditoriale, a fronte del quale sono compensati con il riconoscimento di margini sulla vendita dei prodotti piuttosto bassi. I distributori sono generalmente meno protetti degli agenti commerciali (ai quali all’interno dell’Unione Europea si applica la Direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986, così come implementata nel singolo diritto nazionale del rispettivo Stato membro dell’UE). Al contrario degli accordi con agenti di vendita, gli accordi di distribuzione sono ristretti dalla legislazione antitrust: restrizioni della concorrenza sono, in linea generale, proibite, a meno che esse evitino di restringere sensibilmente la concorrenza ai sensi dell’Articolo 101 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Per dettagli sulla distribuzione online si veda l’articolo di Legalmondo “eCommerce: restrictions on distributors in Germany (Restrizioni a distributori nell’E-Commerce)”.

III.     Distribuzione internazionale e scelta della legge applicabile

Quando un produttore distribuisce in uno stato differente, i diritti nazionali del produttore e del distributore entrano in rotta di collisione. Di solito le parti inseriscono nel contratto una clausola di scelta della legge applicabile, proprio al fine di evitare tale collisione e creare certezza legale. Solitamente ciascuna parte proverà a portare il “proprio” (peraltro magari non più favorevole, ma semplicemente più conosciuto) diritto all’estero. In alternativa, le parti possono accordarsi sul diritto di un paese terzo, “neutrale” – ad es. il diritto svizzero tra un produttore italiano e un distributore tedesco, il quale, tra l’altro, concede anche più libertà con riguardo ai contratti standardizzati.

Anche in presenza di una scelta del diritto applicabile, però, nel commercio internazionale vi possono essere spiacevoli sorprese:

  • Primo, perché una scelta del diritto applicabile potrebbe non essere efficace – come, ad esempio, in alcuni stati del Sud America e nel Medio Oriente.
  • Secondo, perché ci potrebbero essere delle norme di applicazione necessaria valide in campo internazionale (“overriding mandatory provisions”, “lois des police” or “Eingriffsnormen“), le quali sono così importanti per la salvaguardia degli interessi pubblici di un paese, che le stesse, in pratica, “passano sopra” al diritto applicabile scelto dalle parti, ossia trovano applicazione nonostante la presenza di un’efficace scelta di diritto applicabile di diverso tenore.
  • Terzo, perché il diritto applicabile scelto potrebbe contenere delle spiacevoli sorprese, come l’indennità di fine rapporto per distributori prevista dal diritto tedesco.

IV.     L’indennità di distribuzione “tedesca”

Anche il diritto tedesco contiene una sorpresa, perché dà al distributore il diritto di richiedere un’indennità di fine rapporto. Sebbene non vi siano norme esplicite, c’è una giurisprudenza molto consolidata che estende in via analogica diverse norme sull’agenzia anche ai distributori, a patto che ricorrano due condizioni.

Il distributore dev’essere:

  • Integrato nell’organizzazione di vendita del preponente; e
  • obbligato (per accordo o in via di fatto) a trasferire i dati della clientela durante o al termine del contratto.

Se sussistono tali condizioni, il distributore è titolato a chiedere l’indennità al termine del contratto (alle stesse condizioni di un agente). Il calcolo di tale indennità di fine rapporto è, generalmente, basato sul margine che il distributore ha conseguito negli ultimi 12 mesi prima della fine del contratto, con clienti nuovi portati dal distributore o con clienti già esistenti, a patto che il distributore abbia sensibilmente incrementato il business. I dettagli dipendono dal calcolo concreto e le Corti tedesche utilizzano metodi diversi per quantificarla.

V.      Come evitare l’indennità di fine rapporto “tedesca” per distributori

Sia per gli agenti che per i distributori l’indennità di fine rapporto “tedesca” può essere esclusa in anticipo (ossia prima della fine del contratto) se l’agente o distributore opera al di fuori dello Spazio Economico Europeo (“SEE”). Per lungo tempo, comunque, ci si è chiesti se l’indennità di fine rapporto del distributore sotto il diritto tedesco potesse essere esclusa in anticipo, qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dello SEE.

La questione è stata sottoposta alla Corte Suprema Federale tedesca (decisione del 25/02/2016, fasc. n. VII ZR 102/15). Nel caso di specie, il convenuto, stabilito in Germania, produceva strumentazione per l’industria elettronica. L’attore operava come distributore in Svezia e in altri stati dello SEE. L’accordo di distribuzione prevedeva l’applicazione del diritto tedesco; si escludeva, inoltre, qualsiasi compensazione o remunerazione post contrattuale.

Dopo la fine del contratto con il convenuto, l’attore aveva agito per ottenere l’indennità di fine rapporto come distributore. Le corti inferiori non gli avevano riconosciuto alcun diritto all’indennità, ma la Corte Suprema Federale ha capovolto le decisioni dei giudici di merito, deliberando in suo favore (come, peraltro, aveva fatto in una materia simile la Corte d’Appello di Francoforte in data 06/02/2016, fasc. n. 11 U 136/14 [Kart]).

La decisione si concentra sull’ambito territoriale di applicazione dell’indennità di fine rapporto (art. 89b del Codice del Commercio Tedesco). Ai sensi della disposizione di cui al comma 4, l’indennità di fine rapporto dell’agente non può essere esclusa in anticipo. Secondo casistica giurisprudenziale costante, la disposizione può applicarsi in via analogica ai distributori (vedi sopra). Tuttavia, si discuteva se l’indennità di fine rapporto del distributore fosse dovuta anche qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dell’UE / SEE. L’argomento principale contro l’applicazione obbligatoria estesa anche all’UE / SEE era che gli accordi di distribuzione non fossero armonizzati all’interno del diritto dell’UE (in particolare, essi non sarebbero coperti dalla direttiva europea sugli agenti commerciali indipendenti del 1986). La Corte Suprema Federale tedesca ha ora confermato che l’indennità di fine rapporto del distributore non può essere esclusa in anticipo all’interno dell’UE / SEE – facendo riferimento in particolare (i) allo sviluppo storico del diritto di agenzia e (ii) al suo obiettivo di proteggere l’agente e/o comunque il distributore: distributori operanti in altri paesi SEE dovrebbero essere protetti allo stesso modo di quelli operanti in Germania e, nello specifico, contro conseguenze sfavorevoli causate dalla dipendenza economica nei confronti del produttore / preponente. Il legislatore tedesco avrebbe inoltre confermato tale casistica giurisprudenziale favorevole per il distributore tramite un “silenzio eloquente”, ossia non modificando la disciplina legislativa sul contratto di agenzia. Infine, la Corte Suprema Federale ha ritenuto che non fosse necessario deferire tale questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto essa non ricadrebbe nell’ambito applicativo della direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986.

La nuova decisione ha fatto chiarezza su questa questione lungamente dibattuta, ma non è sorprendente. Piuttosto, essa è coerente con la casistica giurisprudenziale esistente ed è assai probabile che la Corte Suprema Federale tedesca continui, in futuro, ad applicare in via analogica il diritto di agenzia ai distributori.

Cinque consigli pratici per la prassi contrattuale e la redazione di futuri contratti:

  1. L’indennità di fine rapporto è un costo che sorge solo al termine di un accordo di distribuzione, ma dovrebbe essere preso in considerazione sin dall’inizio – così come la questione, se tale costo possa essere evitato o stipulato in maniera differente (ad es. tramite pagamenti in entrata, vedi sotto).
  2. Qualora il distributore operi al di fuori dello SEE, la pretesa dell’indennità di fine rapporto può essere esclusa in ogni momento, ossia già nello stesso contratto (art. 92c del Codice del Commercio tedesco; cfr. Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 11/01/2002, fasc. n. 23 U 4416/01) – che sia di agenzia o che sia un accordo di distribuzione.
  3. Se il distributore opera all’interno dello SEE, il diritto tedesco trova applicazione e ricorrono le due condizioni di cui sopra, la pretesa del distributore all’indennità di fine rapporto non può essere esclusa prima della fine del contratto.
  4. L’indennità di fine rapporto tedesca del distributore può essere esclusa in anticipo soprattutto se le parti
  • (i) escludono il trasferimento di dati della clientela; o
  • (ii) obbligano il produttore a bloccare, ad impedire di usare e, se necessario, a distruggere tali dati della clientela alla fine del contratto (Corte federale tedesca, decisione del 05/02/2015, fasc. n. VII ZR 315/13); o
  • (iii) scelgono un altro diritto applicabile (e, conseguentemente, un’altra giurisdizione o l’arbitrato).
  1. In alternativa, le parti possono ammorbidire la pretesa all’indennità di fine rapporto concordando dei “pagamenti in entrata” (“Einstandszahlungen”), i quali potrebbero essere differiti fino alla fine del contratto, imputandoli all’indennità di fine rapporto. In ogni caso, tale pagamento in entrata non può essere irragionevolmente alto (Corte suprema federale, decisione del 24/02/1983, fasc. n. I ZR 14/81), o dovrebbe venir corrisposto dietro un valore di ritorno, ad es. uno sconto particolarmente alto per il distributore o una durata contrattuale molto lunga (Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 04/12/1996, fasc. n. 7 U 3915/96, Corte d’Appello di Saarbrücken, decisione del 30/08/2013, fasc. n. 1 U 161/12). In breve: il produttore deve provare che le parti non avrebbero pattuito una commissione più alta nemmeno senza pagamento in entrata (come già deciso dalla Corte Suprema Federale tedesca il 14 luglio 2016, fasc. n. VII ZR 297/15).

It is recommended that franchise agreements clearly foresee how to solve and deal with potential conflicts. The relationship between franchisor and franchisee may have some difficulty due, for example, to the absence of specific regulation of its content (at least in Spain) and to the fact that its elements are contained in different pieces of legislation. What I will say in these posts could also be useful for other distribution contracts, or in general collaboration agreements, although I will focus on franchising due to its special characteristics.

Conflicts between franchisees and franchisors can cover multiple legal and commercial aspects: product supplies, brands, know-how, exclusivity and territory, non-competition, promotion and advertising, sales through the Internet … And all this, in a context in which, frequently, both parties want to maintain their collaboration and good relations.

How to face, then, these potential conflicts? A first step is usually the direct negotiation between the parties and their advisers who have the task of being useful to them in this purpose. But this does not always end with a positive result. And the almost natural step if this happens is usually the beginning of a judicial procedure often preceded by a series of previous formal requirements.

However, there is a way that, taking into account the characteristic elements of the franchise contract and the nature of possible conflicts, can be an excellent and privileged alternative method to solve them: mediation. Let’s see why:

  1. In mediation there is no third party that imposes its decision on the conflict. The franchisor and the franchisee solve it by themselves with the help of a professional (the mediator) who, in a neutral and independent way, uses their skills and specifically acquired knowledge (help in identifying the interests of the parties, active listening, legitimacy …) so that both can reach a consensus. The mediator does not advise (the parties can go with their respective advisors), it does not decide or sentence, but it helps that the parties find the solution that most satisfies both: they better than anyone else know the business, its evolution, the aspects perhaps not foreseen in the contract and the future that they want for themselves.
  2. Mediation is a harmonized mode of dispute resolution in the European Union through the Directive on certain aspects of mediation in civil and commercial matters. This allows the parties in different Member States to be familiar with it, therefore it is possible to foresee a unified system in contracts with international parties, and it will be easier to enforce the agreements reached.
  3. Mediation allows, therefore, to satisfy both parties better than the judicial alternative and with more creative solutions that a judge will never be able to apply. Unlike a legal proceeding where one usually wins and another loses, mediation can bring together the interests of franchisees and franchisors and, in this way, both obtain a better response. It allows a less belligerent and more friendly format that can be very useful since in many cases the disputes do not have too much entity to go to court, or refer to non-essential aspects of the relationship, or can be addressed from more global perspectives or with references to objective parameters. In addition, frequently, franchisees and franchisors want to continue maintaining their commercial relationship and, through mediation, resolved the conflict, this will be possible (unthinkable, however, if they had initiated a judicial confrontation).
  4. Mediation is, in principle, voluntary. At any time, the parties can abandon it even in those Member States or conflicts for which it may be mandatory to attend at least to the information session.
  5. It is a method that easily adapts to the characteristics of both parties: it is very flexible with the formalities, and the franchisor and the franchisee are who, with the help of the mediator, design a large part of the procedure to arrive at a solution being able to control its evolution. It also allows a solution that is much more adapted to their specific situation, provides more imaginative solution ideas, allows better dialogue, maintains the relationship, distinguishes facts from opinions or judgments, and allows the parties to return to their business saving energies that would otherwise be devoted to conflict management.
  6. It is a faster procedure than a trial, with a cost that can be assumed and controlled in advance.
  7. Mediation is confidential, so the publicity of the conflict is reduced, avoiding reputation costs or by extending to the rest of the network. What is treated in a mediation procedure cannot be disclosed even in a subsequent judicial proceeding.
  8. Both parties can arrive at a solution that will be binding for them. In addition, even if no agreement is reached, with the mediation the parties are in a better position to continue the relationship and resolve their problems: they have been able to present their points of view, they have been heard and have listened, they have opened dialogue channels, they have been able to show greater flexibility and, in short, they have improved their relations as a requirement to end the conflict and reach agreements.
  9. The degree of compliance with conflicts resolved through mediation is much higher than those imposed by a judge since the agreements are more satisfactory for them and it has been the parties themselves who have decided what to do.
  10. And finally, if the mediation has not worked, the possibility of claiming in the courts remains open.

La distribuzione commerciale negli USA è affrontata da molte imprese italiane in modo “informale”, ossia senza avere regolato il rapporto con il distributore-importatore, sulla base di semplici ordinativi,  conferme d’ordine e fatture.

Chi procede in questo modo spesso riferisce di farlo perchè pensa di essere meno vincolato in assenza di un contratto scritto, ma ciò in realtà espone il produttore-venditore a rischi molto alti e favorisce, al contrario, il compratore.

In altri casi l’imprenditore italiano opera con contratti del tutto inadeguati al mercato USA, spesso riciclati da modelli civilistici che non trattano in modo corretto e completo tutte le pattuizioni necessarie a regolare il rapporto commerciale.

Un buon contratto di distribuzione per gli USA è un investimento fondamentale per operare in modo consapevole e consente di disciplinare in modo chiaro alcuni elementi fondamentali del rapporto, tra i quali:

  • la limitazione di responsabilità per i danni contrattuali (ad esempio con previsione di un tetto massimo equivalente al valore dei prodotti venduti);
  • l’esclusione delle c.d. garanzie implicite sui prodotti venduti, disciplinando in modo chiaro quali garanzie il produttore riconosce, per quanto tempo e quali sono le modalità di attivazione di tali garanzie;
  • fissare il termine del contratto, preferibilmente indicando un termine fisso ed escludendo che l’accordo di possa rinnovare in modo tacito;
  • determinare il periodo di preavviso per esercitare il recesso contrattuale, che deve essere congruo in relazione alla durata del contratto;
  • inserire alcune “way out” dall’accordo nel caso di andamento non soddisfacente degli affari (le più comuni sono quelle del fatturato minimo o l’attivazione di un certo numero minimo di clienti o punti vendita o altri KPI il più possibile oggettivi);
  • concordare quali sono le zone geografiche e i canali di rivendita (online ed off-line) assegnati al distributore;
  • coordinare le politiche commerciali in modo da evitare conflitti di interesse o la presenza di prezzi molto diversi sul mercato a seconda degli operatori (considerando che la normativa anti-trust negli USA è più permissiva e consente maggiori margini di manovra di quella applicabile nell’Unione Europea);
  • prevedere la legge applicabile e il foro per eventuali contenziosi, scelta che deve essere fatta in modo consapevole, tenendo a mente che spesso optare per la legge italiana e il giudice italiano può risultare controproducente, soprattutto nel caso in cui sia necessario eseguire la sentenza negli USA;
  • quando è bene considerare un arbitrato, specie nel caso di rapporti commerciali complessi e di alto valore, nei quali può essere importante poter affidare la decisione del contenzioso ad un arbitro esperto della specifica materia di cui si tratta;

Quando considerare la costituzione di una filiale o succursale negli USA

La scelta di costituire una LLC o Corporation negli USA è una valutazione da fare caso per caso, che dipende molto dalle necessità operative sul mercato americano; in genere si giustifica tutte le volte che certe attività non possano essere delegate ad un distributore, come quando la promozione dei prodotti richieda una forza vendite specializzata, oppure sia necessario un servizio di assistenza post-vendita di una certa complessità, o la tempistica o le modalità di fornitura di certi prodotti richieda la gestione di un magazzino locale.

Altro elemento importante da considerare è che la Corporation consente di costituire un soggetto giuridico autonomo, che risponde in modo indipendente delle proprie obbligazioni contrattuali e fa fronte autonomamente agli adempimenti fiscali legati all’attività posta in essere negli USA.

L’importanza di una buona copertura assicurativa

Altro tema oggetto di confronto, grazie alla presenza di un esperto del settore come Francesco Rinaldi di East Broker, è stato la copertura del rischio da prodotto sul territorio degli USA e del NAFTA, prestando particolare attenzione alla previsione espressa nella polizza della retroattività della copertura, per coprire anche i prodotti già venduti negli anni precedenti.

Un altro motivo per prevedere la copertura assicurativa è dato dal fatto che queste polizze generalmente includono anche la copertura per le spese legali, che negli USA possono essere elevatissime e devono essere sopportate anche nel caso di vittoria nel contenzioso: è bene però negoziare espressamente anche una copertura per la tutela legale penale, in caso di necessità (ad esempio per lesioni o morte legate all’utilizzo di un prodotto).

L’agenzia commerciale è generalmente il modo più semplice per sviluppare una rete di distribuzione all’estero, e la Francia non fa eccezione. Tuttavia, nel momento di concludere un contratto sottoposto alla legge francese, è necessario conoscerne le principali caratteristiche, che saranno accennate in questo post.

Definizione

Come noto, un agente commerciale è un mandatario che a titolo professionale negozia ed, eventualmente, conclude dei contratti in nome e per conto del suo mandante.

Il codice di commercio francese (art. L134-1) lo definisce precisamente:

« L’agent commercial est défini comme un mandataire qui, à titre de profession indépendante, sans être lié par un contrat de louage de services, est chargé, de façon permanente, de négocier et, éventuellement, de conclure des contrats de vente, d’achat, de location ou de prestation de services, au nom et pour le compte de producteurs, d’industriels de commerçants ou d’autres agents commerciaux.»

«L’agente commerciale è un mandatario che a titolo di professione indipendente, senza essere legato da un contratto di lavoro, è incaricato in un modo permanente di negoziare e eventualmente di concludere dei contratti di vendita, di acquisto, di affitto / noleggio o prestazioni di servizio in nome e per conto di produttori, industriali, commercianti od altri agenti di commercio.»

Dalla definizione emerge che l’agente è indipendente: libero di organizzare la sua attività e la sua impresa, che sia individuale o in forma societaria (srl, snc, ecc). Questa caratteristica è fondamentale, perché più il mandatario è integrato nell’organizzazione dell’attività del preponente e più il contratto rischierà di essere riqualificato dai tribunali in contratto di rappresentante di vendita (VRP).

In tutta la relazione contrattuale e nella stessa redazione del contratto si deve prestare particolare attenzione a non confondere un agente con un VRP, poiché nel diritto francese quest’ultimo è parificato al lavoratore dipendente, che ha maggiori diritti e un maggior riconoscimento economico nel momento della cessazione del contratto.

Requisiti

L’agente deve essere iscritto al registro degli agenti di commercio della cancelleria del tribunale di commercio del luogo dove è domiciliato.

Forma del contratto

La forma scritta non è obbligatoria, ma fortemente consigliata. L’articolo L134-2 del codice di commercio prevede che ciascuna parte possa richiedere la forma scritta sia per il contratto che per le successive modifiche o integrazioni.

Esecuzione del contratto – clausole importanti

  • Durata: determinata o indeterminata.
  • Corrispettivo: una provvigione definita liberamente tra le parti.
  • Territorio: è molto importante definire il territorio contrattuale con precisione ed evitare clausole generiche come “tutto il mondo”.
  • Esclusiva: la clausola dovrà precisare se l’esclusiva è sul territorio e/o sulla clientela e se il mandante si riserva il diritto di intervenire o meno.
  • Preavviso di recesso (art. L 134-11 alinea 3 del codice di commercio): 1 mese per il primo anno, 2 mesi per il secondo anno, 3 mesi successivamente.

Fase post-contrattuale – Clausole importanti

Il patto di non concorrenza post-contrattuale (art. L 134-14 del codice di commercio) deve essere redatto per iscritto e limitato nel tempo per un massimo di due anni dalla cessazione del rapporto di agenzia.

I limiti in esso contenuti (territorio, clientela, prodotti) non possono essere così stringenti da impedire di fatto all’agente di svolgere la sua attività lavorativa dopo la conclusione del contratto. La clientela e i prodotti inseriti nel patto, quindi devono essere concorrenti alla tipologia merceologica che era oggetto del contratto di agenzia. Diversamente, i tribunali considereranno la clausola nulla e potranno riconoscere all’agente un risarcimento dei danni.

La legge francese non prevede alcuna retribuzione specifica per questa clausola.

L’indennità di fine rapporto (art. L 134-12 del codice di commercio) è, come in quasi tutte le legislazioni Europee, una norma d’ordine pubblico, inderogabile in peius dalle parti. Qualunque eventuale clausola che la escluda o riduca sarà considerata dai tribunali come non apposta.

Il mandante, quindi, difficilmente potrà evitare di corrispondere all’agente un’indennità di fine rapporto in un contratto sottoposto alla legge francese.

L’agente ha 1 anno per far valere questo diritto all’indennità di fine rapporto, per cui è consigliabile mantenere traccia scritta della richiesta di indennità, di modo da poter dimostrare facilmente di aver rispettato il termine di prescrizione, anche in un eventuale contenzioso.

L’ammontare dell’indennità è quantificata, in misura massima, a 2 anni di provvigioni (calcolate sulla base lorda) percepite dall’agente. Spetterà però al mandante dimostrare la ragione per la quale l’agente avrebbe diritto a un’indennità inferiore.

I casi nei quali l’indennità non è dovuta sono:

  • Cessione del contratto ad altro agente;
  • Recesso del contratto ad iniziativa dell’agente;
  • Inadempimento grave dell’agente.

Quest’ultimo può risultare dall’inadempimento di clausole esplicitamente definite nel contratto come importanti e deve essere valutato caso per caso, operazione per la quale suggeriamo di rivolgersi al parere di un legale specializzato nel settore.

Focus sulla fine del contratto per pensione

Il diritto all’indennità di fine rapporto sussiste anche quando l’agente cessa la sua attività e fa valere il diritto alla pensione.

La giurisprudenza francese (in particolare quella della Corte di Cassazione), tuttavia, chiede un controllo più specifico della ragione della fine del contratto: l’agente non deve soltanto sostenere di avere diritto alla pensione d’anzianità, ma dovrebbe altresì dimostrare di non essere più nelle condizioni fisiche per lavorare.

Qual è il tribunale francese competente?

Anche se l’agente è una società commerciale, la natura del contratto è pur sempre civile.

In virtù di ciò, il tribunale competente varia a seconda del soggetto che intraprende l’azione.

Se l’agente è l’attore, lo stesso potrà scegliere tra tribunal de grande instance e tribunal de commerce.

Se, invece, è il mandante ad essere l’attore, lo stesso dovrà iniziare l’azione di fronte al tribunal de grande instance.

Roberto Luzi Crivellini

Aree di attività

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    Francia – Il contratto di agenzia commerciale

    2 Gennaio 2018

    • Francia
    • Agenzia
    • Distribuzione

    Il contratto di distribuzione e la distribuzione selettiva

    L’ordinamento italiano non prevede una disciplina specifica del contratto di distribuzione. Pertanto, esso risulta regolato, per analogia, dalle norme dettate per il contratto di compravendita, da quelle generali previste in materia di obbligazioni contrattuali, nonché dai principi fissati dalla giurisprudenza in materia. Il contratto di distribuzione non richiede la necessaria forma scritta (che è comunque sempre consigliata).

    In questo contesto, il sistema di distribuzione selettiva viene adottato, principalmente, nel settore dei beni di elevato livello tecnologico per i quali l’acquirente necessiti di specifica assistenza o dei beni di lusso, per tutelare gli investimenti effettuati dal titolare in termini di prestigio del marchio. Il produttore o il distributore esclusivo selezionano, sulla base di criteri qualitativi e/o quantitativi (numero e dislocazione geografica), i rivenditori che rispondono a determinati standard di competenza professionale, di qualità del servizio e/o di prestigio del punto vendita, stabiliti dallo stesso produttore.

    La distribuzione selettiva è definita dal Regolamento UE 330/2010 del 20.04.2010 (relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate) come segue:

    un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema” (art. 1, comma 1, lett. e), Reg. citato).

    Trattandosi di una forma di restrizione verticale della concorrenza, essa gode tuttavia dell’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), e di quello previsto dall’Art. 2 della Legge n. 287 del 10.10.1990 (Intese restrittive della libertà di concorrenza), ricorrendone i presupposti di cui allo stesso Regolamento 330/2010.

    Il rifiuto di fornire i prodotti

    In questo quadro, a fronte del rifiuto da parte del produttore/titolare della rete di distribuzione selettiva, un rivenditore che assumesse di avere tutte le qualità richieste, avrebbe il diritto di pretendere di essere inserito nella rete distributiva e, quindi, di essere rifornito dei prodotti oggetto di tale distribuzione commerciale?

    Per rispondere a tale domanda occorre innanzitutto rilevare che è un principio generale, secondo l’ordinamento italiano (ma è condiviso da molti altri sistemi giuridici), la c.d. “autonomia contrattuale” che si traduce anche nella libertà di contrarre o meno facente capo ad ogni soggetto. Ne deriva che, di regola, ognuno è libero di rifiutarsi di concludere un contratto e, nel caso di specie, di fornire i propri prodotti ad un rivenditore terzo che ne faccia richiesta.

    Le eccezioni a questa regola sono rigidamente stabilite dalla legge, come ad esempio il caso del monopolista legale. Ma si tratta di una fattispecie che non ricorre – com’é evidente – nel caso di un sistema di distribuzione selettiva tra privati.

    Le norme antitrust europee e italiane

    Prendendo in considerazione le norme antitrust che disciplinano la distribuzione selettiva e la sua esenzione dal divieto di porre in essere intese restrittive della concorrenza, ossia, rispettivamente, l’art. 101, comma 3, TFUE, ed il Regolamento UE 330/2010, a mente dei quali va interpretato l’articolo 2 della L. 287/1990, non vi è modo di ricavare un obbligo a contrarre, per di più, suscettibile di tutela costitutiva in forza dell’art. 2908 Cod. civ. (ossia attraverso una sentenza del giudice che sostituisca il contratto non stipulato), in capo ad un soggetto privato (quindi non un ente pubblico) che non si trovi in posizione di monopolio, nei confronti di un altro soggetto.

    Analogamente, anche nel caso in cui l’impresa terza rispondesse ai criteri utilizzati per selezionare i rivenditori della rete distributiva, nessuna norma (tanto meno il Regolamento UE 330/2010) impone all’impresa fornitrice di contrarre con l’impresa terza e, quindi, di farla accedere alla rete distributiva. In tal senso si è recentemente espressa la giurisprudenza in un caso di restrizione verticale negli accordi per la vendita di autoveicoli.

    Per cui, anche sotto quest’aspetto, il rifiuto di fornire il rivenditore terzo appare assolutamente legittimo, senza che risulti neppure necessario accertare le caratteristiche del sistema distributivo utilizzato dal produttore/distributore o la compatibilità del medesimo con l’art. 2, L. 287/90.

    Ad ogni buon conto, i punti 175 e 176 della Comunicazione della Commissione 19 maggio 2010, 2010/C 130/1, recante Orientamenti sulle restrizioni verticali (indispensabile complemento del Regolamento di esenzione per categoria), chiariscono che:

    (i) mentre un sistema puramente qualitativo, di norma, non rientra nell’ambito di applicazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, e quindi è lecito a prescindere da qualsiasi esenzione,

    (ii) la distribuzione selettiva qualitativa e quantitativa beneficia dell’esenzione per categoria fintantoché la quota di mercato sia del fornitore che dell’acquirente non supera il 30%, anche se ad essa sono combinate altre restrizioni verticali non fondamentali come il divieto di concorrenza e la distribuzione esclusiva, purché i distributori autorizzati non siano soggetti a restrizioni nella vendita attiva tra loro e agli utilizzatori finali. Il regolamento di esenzione per categoria esenta gli accordi di distribuzione selettiva a prescindere dalla natura del prodotto in questione e del criterio di selezione. Tuttavia, se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva o non richiedono i criteri applicati, come ad esempio la condizione per i distributori di avere uno o più punti vendita «non virtuali» o di fornire specifici servizi, tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio” (n. 176 cit.).

    Oltretutto, la regola c.d. “de minimis” (Comunicazione della Commissione Europea relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis») 2014/С 291/01 [Gazzetta ufficiale C 368 del 22.12.2001]) prevede che siano esclusi dall’applicazione dell’art. 101 TFUE gli accordi stipulati tra imprese concorrenti la cui quota di mercato complessiva sia inferiore al 10%, ed al 15%, nel caso di accordi tra imprese non concorrenti (ovvero operanti a livelli diversi della catena distributiva, come nel caso della distribuzione selettiva).

    In ogni caso, indipendentemente dalla presenza o meno delle condizioni per l’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE, non sussiste alcun obbligo per il produttore/distributore di far accedere alla rete di distribuzione selettiva il rivenditore terzo che ne facesse richiesta, anche avendone, in ipotesi, i requisiti.

    Analogamente, dal citato Regolamento UE 330/2010, o altrove, non è ricavabile un obbligo che imponga all’impresa che ha posto in essere un sistema di distribuzione selettivo di rendere noti i criteri di selezione utilizzati ai terzi che ne facciano richiesta, anche considerando che tali criteri hanno un evidente carattere di riservatezza commerciale, riguardando aspetti determinanti delle strategie competitive del produttore/distributore, la cui conoscenza rappresenterebbe un indebito vantaggio per il terzo, che opera, evidentemente, nel medesimo settore di mercato.

    Le norme sulla concorrenza sleale

    Per completezza, occorre osservare che il rifiuto di fornire il rivenditore terzo potrebbe configurare un atto di concorrenza sleale, vietato ai sensi dell’art. 2598 Cod. civ., potendo rappresentare un caso di “boicottaggio economico primario” consistente nel rifiuto ingiustificato di contrarre da parte di un’impresa. Occorre però tenere presente che, affinché si possa ritenere illecito tale comportamento, si deve verificare la compresenza di due elementi:

    1) oggettivo. È, infatti, ritenuto generalmente lecito il boicottaggio individuale diretto, perché manifestazione della libertà dell’imprenditore di scegliere la propria controparte (autonomia contrattuale), salvo il caso in cui questo sia posto in essere da una impresa in posizione dominante (posizione di mercato che consente ad un’impresa di assumere un comportamento significativamente indipendente nei confronti delle imprese concorrenti e dei consumatori, a causa di una considerevole restrizione della concorrenza all’interno del mercato in cui la stessa impresa opera);

    2) soggettivo. Occorre che il comportamento commerciale consistente nel boicottaggio sia dolosamente diretto all’esclusione dal mercato del concorrente, e non abbia altra giustificazione, non rientrando nelle abituali strategie di mercato del soggetto che lo pone in essere.

    Ma anche nell’ipotesi sopra descritta, il rifiuto (ingiustificato e deliberato) di concludere il contratto non comporterebbe per il produttore/distributore l’obbligo di far accedere il terzo nella rete di distribuzione selettiva, ma solo quello di risarcire il relativo danno.

    L’esecuzione in forma specifica

    In ogni caso, un Giudice non potrebbe mai condannare il titolare della rete di distribuzione selettiva a fornire il terzo per il semplice motivo che i casi in cui è prevista, dall’ordinamento italiano, l’esecuzione in forma specifica di un obbligo a contrarre richiedono sempre necessariamente o che il contenuto del contratto definitivo sia stato predeterminato dalle parti medesime attraverso un precedente contratto, come nel caso dell’esecuzione del contratto preliminare, prevista dall’art. 2932 cod. civ., oppure che il contratto definitivo sia predeterminato in maniera rigorosa dal mercato, in quanto, trattandosi di monopolista legale, come è appunto il caso dell’art. 2597 cod. civ., si tratta soltanto di applicare le condizioni contrattuali che lo stesso pratica nel mercato al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i contraenti.

    In un’ipotesi come quella in esame, al contrario, l’oggetto del contratto sarebbe assolutamente indeterminato ed indeterminabile ed, in assenza di qualsiasi parametro, il giudice non potrebbe stabilirne autonomamente il contenuto.

    L’autore di questo articolo  è Davide Grill.

    It is not only since the days of the Internet that brand manufacturers have had to contend with the fact that original products are offered outside of their authorized sales channels. The problem has since been significantly exacerbated, however. The relevant products are also referred to as gray market products.

    The internal market of the European Economic Area makes it possible to exploit certain price advantages – that is, purchasing in one Member State at a price that is lower than in other Member States and selling to the end customer while passing on (or not passing on) the purchasing advantage. This is made possible by the “exhaustion regime”, according to which the sale of products, which at one time were made available in the European Economic Area with the copyright holder’s consent, cannot be prohibited.

    Brand manufacturers’ attempts to counter this issue by means of distribution systems may be an effective instrument, but only if all distribution partners adhere to it. If a distribution partner pulls out, trademark owners (at least in Germany) are initially required to contact their distribution partner who is acting contrary to the contract. That is difficult when the distribution channel of the products in question cannot be traced by security systems (such as SKU numbers) beyond any doubt. A right to information against a third party generally does not exist. Thus, neither the distribution system itself nor the suspicion that the products are not of EU origin may be used easily to justify a right to information in selective or exclusive distribution. The Federal Court of Justice, for example, sees no reason to deviate from the exhaustion doctrine when implementing a selective distribution system (Federal Court of Justice, 1 ZR 63/04). In the case of a selective or exclusive distribution system (Federal Court of Justice, I AR 52/10), the burden of proof is reversed. Accordingly, it is initially the brand manufacturer itself that is responsible for providing evidence for its allegation of a non-EU product.

    Exceptions are only made where, for example, the SKU numbers were modified, since this makes clarification difficult. In such cases, trademark infringement and at the same time breach of competition law are given by way of exception and it is not possible for the dealer to invoke exhaustion (Federal Court of Justice I ZR 1/98). The deliberate misleading of the authorized dealer by a third party to breach the contract is also recognized as an exception (Federal Court of Justice I ZR 96/04), which regularly is not verifiable, however.

    By the way, the sensational December 2017 Coty decision of the Court of Justice of the European Union (CJEU C-230/16) (here you can find more: https://www.legalmondo.com/2017/12/eu-court-justice-allows-online-sales-restrictions-coty-case/) has not changed this basic presumption, either. In its Coty decision, the CJEU in the end confirms the exhaustion priority also and particularly for luxury products by referring to existing case law (specifically ECJ C-59/08).

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    There are, however, more options available. As confirmed by the ECJ (ECJ, C-337/95), an exemption from the exhaustion principle already applies when the type of sale may be designed to damage the reputation of the trademark. In the Court’s opinion, this applies to the sale of products at discounters, if such a sale damages the reputation of the products to an extent that their luxurious image and quality is called into question (ECJ, C-59/08). This applies, on the one hand, if other products are sold in the immediate “neighborhood” to the branded product, without meeting the same quality requirements (ECJ, C-337/95) or if the advertising methods are unsuitable (ECJ, C-63/97). Hamburg Regional Court, for example, found that the use of photographs that are unsuitable and detrimental to the luxury image of a brand justifies a prohibition claim (at least with respect to use of the photos) (Hamburg Regional Court, 315 O 339/13). The Federal Court of Justice saw improper handling of the brand in an erroneous and negligent labeling of products (Federal Court of Justice, I ZR 72/11).

    Düsseldorf Higher Regional Court has now also followed these CJEU guidelines by prohibiting the sale of high-priced cosmetic products, which are distributed in the framework of a strictly regulated selective distribution system, at a discounter (Düsseldorf Higher Regional Court, I-20 U 113/17). The Court explicitly referenced the CJEU, by repeating its principles and then applying them in the case of the discounter:

    The permanent and extensive sale of the cosmetic products at issue on the online platform www…de is suitable to significantly impair the image of the application brands. The way in which the products are presented there draws the application brands into the mundane and ordinary. As the relevant public is used to from the multitude of Respondent’s conventional self-service department stores, the offering on www…de of everyday products is frequently dominated in the form of particularly low priced own labels, such as Z.’s own label O. Respondent’s motto applies here as well. The assortment ranges from food to electronics, household goods, clothing to cosmetics. Since Respondent’s online presence was merged with that of the company B that it had acquired, it is moreover not only Respondent that offers its goods for sale on the platform, but also third parties may market goods via the online platform. The portal is designed to be functional and oriented toward products that are on sale. Customers are able to collect PAYBACK points with each purchase and may make use of financing. In some cases, goods are advertised at “instead of prices and red letters indicate in attention-getting manner what percentage customers will save compared to the original prices. Product consultation does not take place.

    By offering luxury products at random alongside every-day and mass products without any kind of prominent presentation and becoming affordable through financing options, the products would be placed on a level with the other items offered, thereby significantly affecting the prestige value of the products. For this reason, Düsseldorf Higher Regional Court pronounced a complete ban on distribution for the online platform and the department stores.

    Conclusion:

    Even if the Düsseldorf Higher Regional Court’s decision is not to be considered revolutionary in light of existing CJEU case law, it certainly ensures some impetus in proceeding against gray market dealers, since national courts are now no longer facing the “uncomfortable” hurdle of applying CJEU case law, but rather in the customary fairway of national case law. In principle, Düsseldorf Higher Regional Court case law may not be understood as a blank check, however. Even Düsseldorf Higher Regional Court did not allow a general ban, but rather weighed individually whether the distribution in its concrete form could be prohibited. In the future, it will also be important to work out what in particular will determine the extent of the ban.

    The author of this post is Ilja Czernik.

    We have seen in a previous post the advantages of mediation as an alternative dispute resolution method in franchise agreements. From there, what recommendations could we give to make better use of mediation? Although we will have to adapt them to each specific case, the following points could be very useful:

    1. Specifically foresee in the contract a mediation clause as an alternative dispute resolution method. Although the franchisee and franchisor can agree to mediate once the conflict arises without having reflected it in the contract, it will surely be more complicated to do so when both have already initiated the discrepancies. It is preferable, therefore, to do it before: it places the parties in a better predisposition, they will be able to choose the procedure in a better way, as well as the institution, the mediator, the formalities, etc.
    2. If the parties have agreed on a mediation agreement, this may be initiated at the request of only one of them, without having to re-reach an agreement.
    3. The mediation clause is also recommended, because once an application for the initiation of mediation has been agreed upon, the limitations period of the legal actions will be suspended until the termination of the mediation.
    4. By virtue of this agreement and having initiated the mediation, the courts will not be able to hear such controversies during the time in which the mediation takes place, provided that the interested party invokes it.
    5. In the clause, it is convenient to foresee some elements, such as what issues may be the subject of mediation (all or only some of them), the need or not of a previous negotiation, adequate deadlines to avoid that this procedure can be used to delay other ways, the applicable law to mediation and to the agreement reached with it, the competent jurisdiction for the adoption of precautionary measures, where appropriate, or the jurisdiction or arbitration to settle the dispute in case of failure of mediation.
    6. It is true that one of the principles of mediation is its voluntary nature. However, the existence of the clause and being obliged to attend at least one informative session before initiating any judicial procedure can convince of its advantages even the most reticent party.
    7. Include the mediation as an alternative dispute resolution method within the pre-contractual information that the franchisor must deliver to potential franchisees. Although the Spanish norm does not seem to expressly demand that reference be made, this seems an optimal moment to show transparency and the will to solve possible problems in an agile manner. It also predisposes the good understanding, cooperation and good faith of the franchised brand before the beginning of relations.
    8. Appropriately select the mediation institution to which to refer in case of conflict or foreseeing the best way to choose the most appropriate mediator. Currently there are many institutions or professionals that offer guarantees of impartiality. It may be relevant that it is a mediator with specific training, who facilitates the communication and confidence of the parties and, insofar as possible, who can fully understand the nature of the franchise. There are institutions in Spain such as the Signum Foundation (http://fundacionsignum.org/) or MediaICAM of the Madrid Bar Association (https://mediacion.icam.es) that can be good choices.

    On the topic of the importance of Mediation in Distribution Agreements, you can check out the recording our webinar “Mediation in International Conflicts”

    Secondo l’indagine settoriale dell’Unione Europea sul commercio elettronico, più del 50% dei market online e il 36% dei rivenditori inoltra i propri prezzi a motori di ricerca dei prezzi come ad esempio Idealo.it, trovaprezzi.it o kelkoo.it. Il 10% dei rivenditori, per contro, sottostà a divieti di utilizzo di motori di ricerca dei prezzi (cfr. Relazione finale, pag. 11).

    Tuttavia recentemente la Corte Federale Tedesca ha dichiarato illegittima l’imposizione di un divieto di utilizzo di motore di ricerca dei prezzi. Nel caso di specie, Asics proibiva generalmente ai rivenditori di utilizzare motori di ricerca dei prezzi per il commercio online con una clausola che prevedeva:

    Oltre a ciò, il rivenditore autorizzato … non può … supportare la funzionalità di motori di ricerca dei prezzi, fornendo l’interfaccia applicativa specifica (“API”) a tali strumenti di comparazione”.

    Oltre a ciò, il contratto conteneva un esteso divieto di effettuare pubblicità su piattaforme di terze parti. Asics proibiva cioè ai rivenditori di consentire che terzi potessero utilizzare il marchio ASICS in qualsiasi forma sulla propria pagina internet, anche se al solo fine di indirizzare i clienti verso la pagina internet dei rivenditori autorizzati ASICS.

    Il contratto di distribuzione di Asics è stato sottoposto dapprima a un’investigazione nell’ambito di un programma pilota da parte dell’Ufficio Federale dei Cartelli (un altro programma pilota era stato iniziato contro Adidas in quanto molti rivenditori di articoli sportivi si erano lamentati delle imposizioni, per quanto riguarda la distribuzione internet, formulate da parte di produttori di articoli sportivi). Nel 2015 l’Ufficio Federale dei Cartelli (“Bundeskartellamt”) riteneva che il divieto di utilizzare motori ricerca dei prezzi, così come imposto da Asics, fosse anticoncorrenziale, in quanto violerebbe l’art. 101 co. 1 TFUE e il § 1 della Legge tedesca sulle limitazioni della concorrenza. Infatti, il divieto mirerebbe principalmente a controllare il fenomeno della concorrenza tra prezzi, limitando la stessa a spese del consumatore (cfr. Ordinanza del 26.08.2016, n. fasc. B2-98/11, punto 403 e ss.). Tale decisione veniva confermata in prima battuta dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (ordinanza del 05.04.2017, n. fasc. VI-Kart 13/15 (V) – vedi l’articolo su Legalmondo qui).

    Ora la decisione è stata ribadita anche dalla Corte Federale Tedesca (ordinanza del 12.12.2017, n. fasc. KVZ 41/17). La decisione del caso Asics è particolarmente degna di nota, in quanto rappresenta la prima decisione di un tribunale tedesco successivamente alla sentenza Coty della Corte di Giustizia UE sui divieti di distribuire su piattaforme internet (vedi qui l’articolo Legalmondo). Essa costituisce quindi una prima indicazione su come i tribunali tratteranno in futuro le restrizioni alle rivendite su internet.

    Così, la Corte Federale Tedesca sostiene che la previsione di un divieto generale di utilizzare motori di ricerca dei prezzi limiti “quantomeno” la vendita passiva al consumatore finale (cfr. punti 23, 25), e che questo anzi sarebbe proprio lo scopo del divieto di utilizzare motori di ricerca dei prezzi. Secondo la Corte, dall’ammissibilità della previsione di divieto di rivendere su piattaforme internet di terzi (come affermato nella sentenza Coty, vedi qui) non discenderebbe per ciò stesso l’ammissibilità di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi (cfr. punti 28 e ss.). In particolare, sarebbe l’uso combinato di limitazioni” – ossia del divieto di usare motori di ricerca dei prezzi e di effettuare pubblicità su piattaforme terze – a fare la differenza. Con ciò eventuali consumatori interessati non godrebbero più “in modo effettivo” di un accesso all’offerta internet del rivenditore (punto 30), sebbene la Corte non chiarisca cosa sia sufficiente e/o necessario affinché un tale accesso sia assicurato “in modo effettivo”.

    Conclusioni pratiche

    1. A livello comunitario, la Corte di Giustizia UE e la Commissione Europea non hanno preso posizione sull’efficacia o inefficacia di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi. Nel Regno Unito, tuttavia, la Competition and Markets Authority ha un’opinione analoga alla prassi dell’amministrazione e giurisprudenza tedesca (“BMW cambia politica sui siti di comparazione dei prezzi di autovetture, seguendo la decisione CMA”).
    2. Nella pratica dovrebbe valere, pertanto, la seguente differenziazione, già prefigurata dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (caso Asics) e dalla Corte d’Appello di Francoforte (caso Deuter), di cui alla decisione della Corte Federale Tedesca:
    • Divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi sono da considerare, ai sensi della Corte Federale Tedesca, limitativi della concorrenza e perciò nulli – sebbene possano essere, viceversa, efficaci, qualora non li si combini con un ampio divieto di pubblicità, al fine di assicurare l’ampio accesso alla pagine internet del rivenditore da parte di consumatori interessati all’acquisto.
    • Divieti individuali di usare motori di ricerca dei prezzi, ulteriori misure più morbide nonché indicazioni sull’uso dei portali di comparazione di prezzi sono, viceversa, legittimi, ad esempio con riguardo alla riproduzione di immagini del prodotto o a descrizioni o al settore di cui il prodotto fa parte (così come, ad esempio, il requisito che il commerciante possa offrire soltanto prodotti nuovi).

    Per ulteriori dettagli sul punto si veda l’articolo in lingua tedesca Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, pag. 118 ss.

    1. Inoltre, i produttori possono vietare, nell’ambito di una rete di distribuzione esclusiva, la pubblicità attiva online rivolta a consumatori, nella misura in cui il produttore si riservi tale facoltà o la conferisca a un altro distributore e specifichi le lingue utilizzate. In linea di massima, tutti i criteri qualitativi potenzialmente immaginabili sono permessi, purché gli stessi siano equivalenti ai criteri adottati nella rivendita offline, sulla base del principio di equivalenza (in quanto “La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale», Orientamenti sulle restrizioni verticali, punto 56).

    Per ulteriori informazioni si vedano in lingua tedesca:

    • quadro generale sullo stato attuale della prassi, comprensivo di modelli di clausole: Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, pag. 39-41 e
    • In particolare sui divieto di piattaforme e sulla possibile redazione di contratti di distribuzione: Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattformverboten nach dem EuGH-Urteil Coty – Auswirkungen auf Fachhändler- bzw. Selektiv-, Exklusiv-, Franchise- und offene Vertriebsverträge –, in: DB 2018. 300-306.
    1. Sull’ammissibilità dell’utilizzo di marchi e simboli d’impresa all’interno di una funzione di ricerca posta in una piattaforma di vendita su internet, si veda il Comunicato stampa della Corte Federale Tedesca sulle due recentissime decisioni del 15.02.2018 (n. fasc. I ZR 138/16, caso “Ortlieb” e n. fasc. I ZR 201/16 (caso „gofit“).

    Quando si entra in nuovi mercati, vi sono differenti strategie di distribuzione tra le quali scegliere (I.). Nel commercio al dettaglio, di vetture o nella vendita all’ingrosso sono assai frequenti gli accordi di distribuzione (II.). Negli accordi di distribuzione internazionale le parti possono scegliere la legge applicabile (III.). Sia nel caso in cui si vi sia una scelta che nel caso in cui non vi sia, la legge applicabile può contenere spiacevoli sorprese, come ad esempio l’indennità di fine rapporto per il distributore secondo il diritto tedesco (IV.). Tali sorprese possono essere evitate, e quest’articolo mostra come, alla luce delle ultime decisioni della Corte Suprema Federale tedesca (V.).

    I.       L’ingresso in nuovi mercati

    Entrando in nuovi mercati è possibile scegliere tra differenti strutture di distribuzione e differenti intermediari. La scelta dipende da molti fattori – in particolare le attività esistenti, il mercato-obiettivo e la strategia di mercato desiderata – e può ricadere su diverse forme: dalla vendita diretta con propri dipendenti o agenti di vendita alla distribuzione indiretta tramite distributori, affiliati, commissionari, la vendita di prodotti senza marchio o la concessione in licenza (con produzione e vendita da parte di terze parti). Per dettagli sulla distribuzione in Germania si veda l’articolo precedentemente pubblicato su Legalmondo “Germany – Distribution agreements (accordi di distribuzione in Germania) ”.

    II.      Accordi di distribuzione

    Nel commercio al dettaglio (in particolare di prodotti di elettronica, cosmetici, gioielleria e moda), di vetture e all’ingrosso, frequentemente gli investitori scelgono un sistema di distribuzione – senza aver riguardo al fatto che l’intermediario di vendita sia denominato quale “distributore”, “commerciante”, “rifornitore”, “rivenditore specializzato”, “concessionario” o “rifornitore autorizzato”. I distributori sono contraenti autonomi e indipendenti, che vendono e promuovono costantemente i prodotti in proprio nome e in proprio conto. Essi si assumono il rischio imprenditoriale, a fronte del quale sono compensati con il riconoscimento di margini sulla vendita dei prodotti piuttosto bassi. I distributori sono generalmente meno protetti degli agenti commerciali (ai quali all’interno dell’Unione Europea si applica la Direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986, così come implementata nel singolo diritto nazionale del rispettivo Stato membro dell’UE). Al contrario degli accordi con agenti di vendita, gli accordi di distribuzione sono ristretti dalla legislazione antitrust: restrizioni della concorrenza sono, in linea generale, proibite, a meno che esse evitino di restringere sensibilmente la concorrenza ai sensi dell’Articolo 101 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Per dettagli sulla distribuzione online si veda l’articolo di Legalmondo “eCommerce: restrictions on distributors in Germany (Restrizioni a distributori nell’E-Commerce)”.

    III.     Distribuzione internazionale e scelta della legge applicabile

    Quando un produttore distribuisce in uno stato differente, i diritti nazionali del produttore e del distributore entrano in rotta di collisione. Di solito le parti inseriscono nel contratto una clausola di scelta della legge applicabile, proprio al fine di evitare tale collisione e creare certezza legale. Solitamente ciascuna parte proverà a portare il “proprio” (peraltro magari non più favorevole, ma semplicemente più conosciuto) diritto all’estero. In alternativa, le parti possono accordarsi sul diritto di un paese terzo, “neutrale” – ad es. il diritto svizzero tra un produttore italiano e un distributore tedesco, il quale, tra l’altro, concede anche più libertà con riguardo ai contratti standardizzati.

    Anche in presenza di una scelta del diritto applicabile, però, nel commercio internazionale vi possono essere spiacevoli sorprese:

    • Primo, perché una scelta del diritto applicabile potrebbe non essere efficace – come, ad esempio, in alcuni stati del Sud America e nel Medio Oriente.
    • Secondo, perché ci potrebbero essere delle norme di applicazione necessaria valide in campo internazionale (“overriding mandatory provisions”, “lois des police” or “Eingriffsnormen“), le quali sono così importanti per la salvaguardia degli interessi pubblici di un paese, che le stesse, in pratica, “passano sopra” al diritto applicabile scelto dalle parti, ossia trovano applicazione nonostante la presenza di un’efficace scelta di diritto applicabile di diverso tenore.
    • Terzo, perché il diritto applicabile scelto potrebbe contenere delle spiacevoli sorprese, come l’indennità di fine rapporto per distributori prevista dal diritto tedesco.

    IV.     L’indennità di distribuzione “tedesca”

    Anche il diritto tedesco contiene una sorpresa, perché dà al distributore il diritto di richiedere un’indennità di fine rapporto. Sebbene non vi siano norme esplicite, c’è una giurisprudenza molto consolidata che estende in via analogica diverse norme sull’agenzia anche ai distributori, a patto che ricorrano due condizioni.

    Il distributore dev’essere:

    • Integrato nell’organizzazione di vendita del preponente; e
    • obbligato (per accordo o in via di fatto) a trasferire i dati della clientela durante o al termine del contratto.

    Se sussistono tali condizioni, il distributore è titolato a chiedere l’indennità al termine del contratto (alle stesse condizioni di un agente). Il calcolo di tale indennità di fine rapporto è, generalmente, basato sul margine che il distributore ha conseguito negli ultimi 12 mesi prima della fine del contratto, con clienti nuovi portati dal distributore o con clienti già esistenti, a patto che il distributore abbia sensibilmente incrementato il business. I dettagli dipendono dal calcolo concreto e le Corti tedesche utilizzano metodi diversi per quantificarla.

    V.      Come evitare l’indennità di fine rapporto “tedesca” per distributori

    Sia per gli agenti che per i distributori l’indennità di fine rapporto “tedesca” può essere esclusa in anticipo (ossia prima della fine del contratto) se l’agente o distributore opera al di fuori dello Spazio Economico Europeo (“SEE”). Per lungo tempo, comunque, ci si è chiesti se l’indennità di fine rapporto del distributore sotto il diritto tedesco potesse essere esclusa in anticipo, qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dello SEE.

    La questione è stata sottoposta alla Corte Suprema Federale tedesca (decisione del 25/02/2016, fasc. n. VII ZR 102/15). Nel caso di specie, il convenuto, stabilito in Germania, produceva strumentazione per l’industria elettronica. L’attore operava come distributore in Svezia e in altri stati dello SEE. L’accordo di distribuzione prevedeva l’applicazione del diritto tedesco; si escludeva, inoltre, qualsiasi compensazione o remunerazione post contrattuale.

    Dopo la fine del contratto con il convenuto, l’attore aveva agito per ottenere l’indennità di fine rapporto come distributore. Le corti inferiori non gli avevano riconosciuto alcun diritto all’indennità, ma la Corte Suprema Federale ha capovolto le decisioni dei giudici di merito, deliberando in suo favore (come, peraltro, aveva fatto in una materia simile la Corte d’Appello di Francoforte in data 06/02/2016, fasc. n. 11 U 136/14 [Kart]).

    La decisione si concentra sull’ambito territoriale di applicazione dell’indennità di fine rapporto (art. 89b del Codice del Commercio Tedesco). Ai sensi della disposizione di cui al comma 4, l’indennità di fine rapporto dell’agente non può essere esclusa in anticipo. Secondo casistica giurisprudenziale costante, la disposizione può applicarsi in via analogica ai distributori (vedi sopra). Tuttavia, si discuteva se l’indennità di fine rapporto del distributore fosse dovuta anche qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dell’UE / SEE. L’argomento principale contro l’applicazione obbligatoria estesa anche all’UE / SEE era che gli accordi di distribuzione non fossero armonizzati all’interno del diritto dell’UE (in particolare, essi non sarebbero coperti dalla direttiva europea sugli agenti commerciali indipendenti del 1986). La Corte Suprema Federale tedesca ha ora confermato che l’indennità di fine rapporto del distributore non può essere esclusa in anticipo all’interno dell’UE / SEE – facendo riferimento in particolare (i) allo sviluppo storico del diritto di agenzia e (ii) al suo obiettivo di proteggere l’agente e/o comunque il distributore: distributori operanti in altri paesi SEE dovrebbero essere protetti allo stesso modo di quelli operanti in Germania e, nello specifico, contro conseguenze sfavorevoli causate dalla dipendenza economica nei confronti del produttore / preponente. Il legislatore tedesco avrebbe inoltre confermato tale casistica giurisprudenziale favorevole per il distributore tramite un “silenzio eloquente”, ossia non modificando la disciplina legislativa sul contratto di agenzia. Infine, la Corte Suprema Federale ha ritenuto che non fosse necessario deferire tale questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto essa non ricadrebbe nell’ambito applicativo della direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986.

    La nuova decisione ha fatto chiarezza su questa questione lungamente dibattuta, ma non è sorprendente. Piuttosto, essa è coerente con la casistica giurisprudenziale esistente ed è assai probabile che la Corte Suprema Federale tedesca continui, in futuro, ad applicare in via analogica il diritto di agenzia ai distributori.

    Cinque consigli pratici per la prassi contrattuale e la redazione di futuri contratti:

    1. L’indennità di fine rapporto è un costo che sorge solo al termine di un accordo di distribuzione, ma dovrebbe essere preso in considerazione sin dall’inizio – così come la questione, se tale costo possa essere evitato o stipulato in maniera differente (ad es. tramite pagamenti in entrata, vedi sotto).
    2. Qualora il distributore operi al di fuori dello SEE, la pretesa dell’indennità di fine rapporto può essere esclusa in ogni momento, ossia già nello stesso contratto (art. 92c del Codice del Commercio tedesco; cfr. Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 11/01/2002, fasc. n. 23 U 4416/01) – che sia di agenzia o che sia un accordo di distribuzione.
    3. Se il distributore opera all’interno dello SEE, il diritto tedesco trova applicazione e ricorrono le due condizioni di cui sopra, la pretesa del distributore all’indennità di fine rapporto non può essere esclusa prima della fine del contratto.
    4. L’indennità di fine rapporto tedesca del distributore può essere esclusa in anticipo soprattutto se le parti
    • (i) escludono il trasferimento di dati della clientela; o
    • (ii) obbligano il produttore a bloccare, ad impedire di usare e, se necessario, a distruggere tali dati della clientela alla fine del contratto (Corte federale tedesca, decisione del 05/02/2015, fasc. n. VII ZR 315/13); o
    • (iii) scelgono un altro diritto applicabile (e, conseguentemente, un’altra giurisdizione o l’arbitrato).
    1. In alternativa, le parti possono ammorbidire la pretesa all’indennità di fine rapporto concordando dei “pagamenti in entrata” (“Einstandszahlungen”), i quali potrebbero essere differiti fino alla fine del contratto, imputandoli all’indennità di fine rapporto. In ogni caso, tale pagamento in entrata non può essere irragionevolmente alto (Corte suprema federale, decisione del 24/02/1983, fasc. n. I ZR 14/81), o dovrebbe venir corrisposto dietro un valore di ritorno, ad es. uno sconto particolarmente alto per il distributore o una durata contrattuale molto lunga (Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 04/12/1996, fasc. n. 7 U 3915/96, Corte d’Appello di Saarbrücken, decisione del 30/08/2013, fasc. n. 1 U 161/12). In breve: il produttore deve provare che le parti non avrebbero pattuito una commissione più alta nemmeno senza pagamento in entrata (come già deciso dalla Corte Suprema Federale tedesca il 14 luglio 2016, fasc. n. VII ZR 297/15).

    It is recommended that franchise agreements clearly foresee how to solve and deal with potential conflicts. The relationship between franchisor and franchisee may have some difficulty due, for example, to the absence of specific regulation of its content (at least in Spain) and to the fact that its elements are contained in different pieces of legislation. What I will say in these posts could also be useful for other distribution contracts, or in general collaboration agreements, although I will focus on franchising due to its special characteristics.

    Conflicts between franchisees and franchisors can cover multiple legal and commercial aspects: product supplies, brands, know-how, exclusivity and territory, non-competition, promotion and advertising, sales through the Internet … And all this, in a context in which, frequently, both parties want to maintain their collaboration and good relations.

    How to face, then, these potential conflicts? A first step is usually the direct negotiation between the parties and their advisers who have the task of being useful to them in this purpose. But this does not always end with a positive result. And the almost natural step if this happens is usually the beginning of a judicial procedure often preceded by a series of previous formal requirements.

    However, there is a way that, taking into account the characteristic elements of the franchise contract and the nature of possible conflicts, can be an excellent and privileged alternative method to solve them: mediation. Let’s see why:

    1. In mediation there is no third party that imposes its decision on the conflict. The franchisor and the franchisee solve it by themselves with the help of a professional (the mediator) who, in a neutral and independent way, uses their skills and specifically acquired knowledge (help in identifying the interests of the parties, active listening, legitimacy …) so that both can reach a consensus. The mediator does not advise (the parties can go with their respective advisors), it does not decide or sentence, but it helps that the parties find the solution that most satisfies both: they better than anyone else know the business, its evolution, the aspects perhaps not foreseen in the contract and the future that they want for themselves.
    2. Mediation is a harmonized mode of dispute resolution in the European Union through the Directive on certain aspects of mediation in civil and commercial matters. This allows the parties in different Member States to be familiar with it, therefore it is possible to foresee a unified system in contracts with international parties, and it will be easier to enforce the agreements reached.
    3. Mediation allows, therefore, to satisfy both parties better than the judicial alternative and with more creative solutions that a judge will never be able to apply. Unlike a legal proceeding where one usually wins and another loses, mediation can bring together the interests of franchisees and franchisors and, in this way, both obtain a better response. It allows a less belligerent and more friendly format that can be very useful since in many cases the disputes do not have too much entity to go to court, or refer to non-essential aspects of the relationship, or can be addressed from more global perspectives or with references to objective parameters. In addition, frequently, franchisees and franchisors want to continue maintaining their commercial relationship and, through mediation, resolved the conflict, this will be possible (unthinkable, however, if they had initiated a judicial confrontation).
    4. Mediation is, in principle, voluntary. At any time, the parties can abandon it even in those Member States or conflicts for which it may be mandatory to attend at least to the information session.
    5. It is a method that easily adapts to the characteristics of both parties: it is very flexible with the formalities, and the franchisor and the franchisee are who, with the help of the mediator, design a large part of the procedure to arrive at a solution being able to control its evolution. It also allows a solution that is much more adapted to their specific situation, provides more imaginative solution ideas, allows better dialogue, maintains the relationship, distinguishes facts from opinions or judgments, and allows the parties to return to their business saving energies that would otherwise be devoted to conflict management.
    6. It is a faster procedure than a trial, with a cost that can be assumed and controlled in advance.
    7. Mediation is confidential, so the publicity of the conflict is reduced, avoiding reputation costs or by extending to the rest of the network. What is treated in a mediation procedure cannot be disclosed even in a subsequent judicial proceeding.
    8. Both parties can arrive at a solution that will be binding for them. In addition, even if no agreement is reached, with the mediation the parties are in a better position to continue the relationship and resolve their problems: they have been able to present their points of view, they have been heard and have listened, they have opened dialogue channels, they have been able to show greater flexibility and, in short, they have improved their relations as a requirement to end the conflict and reach agreements.
    9. The degree of compliance with conflicts resolved through mediation is much higher than those imposed by a judge since the agreements are more satisfactory for them and it has been the parties themselves who have decided what to do.
    10. And finally, if the mediation has not worked, the possibility of claiming in the courts remains open.

    La distribuzione commerciale negli USA è affrontata da molte imprese italiane in modo “informale”, ossia senza avere regolato il rapporto con il distributore-importatore, sulla base di semplici ordinativi,  conferme d’ordine e fatture.

    Chi procede in questo modo spesso riferisce di farlo perchè pensa di essere meno vincolato in assenza di un contratto scritto, ma ciò in realtà espone il produttore-venditore a rischi molto alti e favorisce, al contrario, il compratore.

    In altri casi l’imprenditore italiano opera con contratti del tutto inadeguati al mercato USA, spesso riciclati da modelli civilistici che non trattano in modo corretto e completo tutte le pattuizioni necessarie a regolare il rapporto commerciale.

    Un buon contratto di distribuzione per gli USA è un investimento fondamentale per operare in modo consapevole e consente di disciplinare in modo chiaro alcuni elementi fondamentali del rapporto, tra i quali:

    • la limitazione di responsabilità per i danni contrattuali (ad esempio con previsione di un tetto massimo equivalente al valore dei prodotti venduti);
    • l’esclusione delle c.d. garanzie implicite sui prodotti venduti, disciplinando in modo chiaro quali garanzie il produttore riconosce, per quanto tempo e quali sono le modalità di attivazione di tali garanzie;
    • fissare il termine del contratto, preferibilmente indicando un termine fisso ed escludendo che l’accordo di possa rinnovare in modo tacito;
    • determinare il periodo di preavviso per esercitare il recesso contrattuale, che deve essere congruo in relazione alla durata del contratto;
    • inserire alcune “way out” dall’accordo nel caso di andamento non soddisfacente degli affari (le più comuni sono quelle del fatturato minimo o l’attivazione di un certo numero minimo di clienti o punti vendita o altri KPI il più possibile oggettivi);
    • concordare quali sono le zone geografiche e i canali di rivendita (online ed off-line) assegnati al distributore;
    • coordinare le politiche commerciali in modo da evitare conflitti di interesse o la presenza di prezzi molto diversi sul mercato a seconda degli operatori (considerando che la normativa anti-trust negli USA è più permissiva e consente maggiori margini di manovra di quella applicabile nell’Unione Europea);
    • prevedere la legge applicabile e il foro per eventuali contenziosi, scelta che deve essere fatta in modo consapevole, tenendo a mente che spesso optare per la legge italiana e il giudice italiano può risultare controproducente, soprattutto nel caso in cui sia necessario eseguire la sentenza negli USA;
    • quando è bene considerare un arbitrato, specie nel caso di rapporti commerciali complessi e di alto valore, nei quali può essere importante poter affidare la decisione del contenzioso ad un arbitro esperto della specifica materia di cui si tratta;

    Quando considerare la costituzione di una filiale o succursale negli USA

    La scelta di costituire una LLC o Corporation negli USA è una valutazione da fare caso per caso, che dipende molto dalle necessità operative sul mercato americano; in genere si giustifica tutte le volte che certe attività non possano essere delegate ad un distributore, come quando la promozione dei prodotti richieda una forza vendite specializzata, oppure sia necessario un servizio di assistenza post-vendita di una certa complessità, o la tempistica o le modalità di fornitura di certi prodotti richieda la gestione di un magazzino locale.

    Altro elemento importante da considerare è che la Corporation consente di costituire un soggetto giuridico autonomo, che risponde in modo indipendente delle proprie obbligazioni contrattuali e fa fronte autonomamente agli adempimenti fiscali legati all’attività posta in essere negli USA.

    L’importanza di una buona copertura assicurativa

    Altro tema oggetto di confronto, grazie alla presenza di un esperto del settore come Francesco Rinaldi di East Broker, è stato la copertura del rischio da prodotto sul territorio degli USA e del NAFTA, prestando particolare attenzione alla previsione espressa nella polizza della retroattività della copertura, per coprire anche i prodotti già venduti negli anni precedenti.

    Un altro motivo per prevedere la copertura assicurativa è dato dal fatto che queste polizze generalmente includono anche la copertura per le spese legali, che negli USA possono essere elevatissime e devono essere sopportate anche nel caso di vittoria nel contenzioso: è bene però negoziare espressamente anche una copertura per la tutela legale penale, in caso di necessità (ad esempio per lesioni o morte legate all’utilizzo di un prodotto).

    L’agenzia commerciale è generalmente il modo più semplice per sviluppare una rete di distribuzione all’estero, e la Francia non fa eccezione. Tuttavia, nel momento di concludere un contratto sottoposto alla legge francese, è necessario conoscerne le principali caratteristiche, che saranno accennate in questo post.

    Definizione

    Come noto, un agente commerciale è un mandatario che a titolo professionale negozia ed, eventualmente, conclude dei contratti in nome e per conto del suo mandante.

    Il codice di commercio francese (art. L134-1) lo definisce precisamente:

    « L’agent commercial est défini comme un mandataire qui, à titre de profession indépendante, sans être lié par un contrat de louage de services, est chargé, de façon permanente, de négocier et, éventuellement, de conclure des contrats de vente, d’achat, de location ou de prestation de services, au nom et pour le compte de producteurs, d’industriels de commerçants ou d’autres agents commerciaux.»

    «L’agente commerciale è un mandatario che a titolo di professione indipendente, senza essere legato da un contratto di lavoro, è incaricato in un modo permanente di negoziare e eventualmente di concludere dei contratti di vendita, di acquisto, di affitto / noleggio o prestazioni di servizio in nome e per conto di produttori, industriali, commercianti od altri agenti di commercio.»

    Dalla definizione emerge che l’agente è indipendente: libero di organizzare la sua attività e la sua impresa, che sia individuale o in forma societaria (srl, snc, ecc). Questa caratteristica è fondamentale, perché più il mandatario è integrato nell’organizzazione dell’attività del preponente e più il contratto rischierà di essere riqualificato dai tribunali in contratto di rappresentante di vendita (VRP).

    In tutta la relazione contrattuale e nella stessa redazione del contratto si deve prestare particolare attenzione a non confondere un agente con un VRP, poiché nel diritto francese quest’ultimo è parificato al lavoratore dipendente, che ha maggiori diritti e un maggior riconoscimento economico nel momento della cessazione del contratto.

    Requisiti

    L’agente deve essere iscritto al registro degli agenti di commercio della cancelleria del tribunale di commercio del luogo dove è domiciliato.

    Forma del contratto

    La forma scritta non è obbligatoria, ma fortemente consigliata. L’articolo L134-2 del codice di commercio prevede che ciascuna parte possa richiedere la forma scritta sia per il contratto che per le successive modifiche o integrazioni.

    Esecuzione del contratto – clausole importanti

    • Durata: determinata o indeterminata.
    • Corrispettivo: una provvigione definita liberamente tra le parti.
    • Territorio: è molto importante definire il territorio contrattuale con precisione ed evitare clausole generiche come “tutto il mondo”.
    • Esclusiva: la clausola dovrà precisare se l’esclusiva è sul territorio e/o sulla clientela e se il mandante si riserva il diritto di intervenire o meno.
    • Preavviso di recesso (art. L 134-11 alinea 3 del codice di commercio): 1 mese per il primo anno, 2 mesi per il secondo anno, 3 mesi successivamente.

    Fase post-contrattuale – Clausole importanti

    Il patto di non concorrenza post-contrattuale (art. L 134-14 del codice di commercio) deve essere redatto per iscritto e limitato nel tempo per un massimo di due anni dalla cessazione del rapporto di agenzia.

    I limiti in esso contenuti (territorio, clientela, prodotti) non possono essere così stringenti da impedire di fatto all’agente di svolgere la sua attività lavorativa dopo la conclusione del contratto. La clientela e i prodotti inseriti nel patto, quindi devono essere concorrenti alla tipologia merceologica che era oggetto del contratto di agenzia. Diversamente, i tribunali considereranno la clausola nulla e potranno riconoscere all’agente un risarcimento dei danni.

    La legge francese non prevede alcuna retribuzione specifica per questa clausola.

    L’indennità di fine rapporto (art. L 134-12 del codice di commercio) è, come in quasi tutte le legislazioni Europee, una norma d’ordine pubblico, inderogabile in peius dalle parti. Qualunque eventuale clausola che la escluda o riduca sarà considerata dai tribunali come non apposta.

    Il mandante, quindi, difficilmente potrà evitare di corrispondere all’agente un’indennità di fine rapporto in un contratto sottoposto alla legge francese.

    L’agente ha 1 anno per far valere questo diritto all’indennità di fine rapporto, per cui è consigliabile mantenere traccia scritta della richiesta di indennità, di modo da poter dimostrare facilmente di aver rispettato il termine di prescrizione, anche in un eventuale contenzioso.

    L’ammontare dell’indennità è quantificata, in misura massima, a 2 anni di provvigioni (calcolate sulla base lorda) percepite dall’agente. Spetterà però al mandante dimostrare la ragione per la quale l’agente avrebbe diritto a un’indennità inferiore.

    I casi nei quali l’indennità non è dovuta sono:

    • Cessione del contratto ad altro agente;
    • Recesso del contratto ad iniziativa dell’agente;
    • Inadempimento grave dell’agente.

    Quest’ultimo può risultare dall’inadempimento di clausole esplicitamente definite nel contratto come importanti e deve essere valutato caso per caso, operazione per la quale suggeriamo di rivolgersi al parere di un legale specializzato nel settore.

    Focus sulla fine del contratto per pensione

    Il diritto all’indennità di fine rapporto sussiste anche quando l’agente cessa la sua attività e fa valere il diritto alla pensione.

    La giurisprudenza francese (in particolare quella della Corte di Cassazione), tuttavia, chiede un controllo più specifico della ragione della fine del contratto: l’agente non deve soltanto sostenere di avere diritto alla pensione d’anzianità, ma dovrebbe altresì dimostrare di non essere più nelle condizioni fisiche per lavorare.

    Qual è il tribunale francese competente?

    Anche se l’agente è una società commerciale, la natura del contratto è pur sempre civile.

    In virtù di ciò, il tribunale competente varia a seconda del soggetto che intraprende l’azione.

    Se l’agente è l’attore, lo stesso potrà scegliere tra tribunal de grande instance e tribunal de commerce.

    Se, invece, è il mandante ad essere l’attore, lo stesso dovrà iniziare l’azione di fronte al tribunal de grande instance.

    Marika Devaux

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