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Germania – Indennità di fine rapporto del distributore
10 Aprile 2018
- Agenzia
- Distribuzione
10 practical aspects to consider for an adequate timing
Meanwhile similar legal standards apply in most industrialized countries if an employment relationship shall be terminated; however, in every jurisdiction some specifics still need to be considered. The following ten aspects may be a first general guideline for the termination of an employment contract in Germany, in particular regarding its timing.
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In some cases notice needs to be given within a two-week period
In case of gross misconduct an employer may be entitled to terminate an employment relationship forthwith. However, if notice of termination is not served to the employee within two weeks after acknowledgement of the respective facts, this right is forfeited.
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Notice has to be given in writing
The notice has to be signed by the legal representative of the employer and delivered to the employee. Neither a transmission by facsimile nor an email with a scanned copy is sufficient. If the representative is not on site, timing may become an essential aspect of the termination process.
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Ordinary dismissal may be prohibited by a collective bargaining agreement
Collective bargaining agreements often provide a ban on ordinary dismissal under certain circumstances (e.g. based on the age of the employee). A careful assessment of all applicable collective bargaining agreements before a termination is therefore indispensable.
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Insufficient information of the works councils may lead to an invalid termination
The establishment of a works council is not mandatory in Germany. However, if it is established, it needs to be notified and heard before every termination of an employment contract. The notification must contain a sufficient description of the grounds for the termination, otherwise the termination may be deemed invalid. Having been notified, the works council has one week (in some cases: three days) to object. Any termination before such term without consent of the works council would be deemed invalid as well. Timing may therefore become again an essential aspect of the termination process.
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General dismissal protection is related to seniority and size of the establishment
General dismissal protection is basically applicable in establishments with more than 10 employees. Exceptions may apply in favour of those employees whose employment relationships commenced already before 1st January 2004. In addition, the respective employee needs to have at least a seniority of six month. If these criteria are met, the termination has to be justified by operational reasons, misconduct or personal incapacity as set out in the Dismissal Protection Act.
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Some terminations may need prior permission
Irrespective of the application of the afore mentioned Dismissal Protection Act some kind of terminations (e.g. employees on parental leave) may need a special permission of the works council, the Labour Court or the respective public authority as applicable. These procedures may last from some days up to two years.
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There is no general claim for severance payment in case of an unfair dismissal
Aside from those agreed in termination agreements there is no general claim for severance payment in case of an unfair dismissal. In general, the statutory remedy will only be reinstatement and back pay. Only under certain circumstances each party may apply for the termination of the employment relationship and a severance payment in front of the Labour Court. However, in most of the cases parties end up in a voluntary termination agreement.
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Non-competes may lead to extensive payments and cannot be withdrawn forthwith unilaterally without cause
A binding covenant to non-compete leads to a compensation payment of at least 50 % of the former salary for every month of its duration. Even in case of a justified termination it may only be terminated with a notice period of one year. However, both parties may agree upon its immediate suspension in a termination agreement.
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Any termination agreement has to be in written form as well
Also a termination agreement needs to fulfil the same formal requirements as set out already above under point 2. Again, if the representative is not on site, timing may become an essential aspect of the bargaining process.
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The forfeiture clause of a termination agreement may not cover all claims
Termination agreements often contain general forfeiture clauses at their end, covering also those potential claims which have not been explicitly mentioned or identified by the parties. However, some claims (e.g. pension claims) may not be covered by such a (general) forfeiture clause.
Please note that these ten aspects contain general information only. Further details as well as possible exceptions therefore need to be checked on a case-by-case basis by a professional advisor.
Tha author of this post is Alexander Lentz
Secondo l’indagine settoriale dell’Unione Europea sul commercio elettronico, più del 50% dei market online e il 36% dei rivenditori inoltra i propri prezzi a motori di ricerca dei prezzi come ad esempio Idealo.it, trovaprezzi.it o kelkoo.it. Il 10% dei rivenditori, per contro, sottostà a divieti di utilizzo di motori di ricerca dei prezzi (cfr. Relazione finale, pag. 11).
Tuttavia recentemente la Corte Federale Tedesca ha dichiarato illegittima l’imposizione di un divieto di utilizzo di motore di ricerca dei prezzi. Nel caso di specie, Asics proibiva generalmente ai rivenditori di utilizzare motori di ricerca dei prezzi per il commercio online con una clausola che prevedeva:
“Oltre a ciò, il rivenditore autorizzato … non può … supportare la funzionalità di motori di ricerca dei prezzi, fornendo l’interfaccia applicativa specifica (“API”) a tali strumenti di comparazione”.
Oltre a ciò, il contratto conteneva un esteso divieto di effettuare pubblicità su piattaforme di terze parti. Asics proibiva cioè ai rivenditori di consentire che terzi potessero utilizzare il marchio ASICS in qualsiasi forma sulla propria pagina internet, anche se al solo fine di indirizzare i clienti verso la pagina internet dei rivenditori autorizzati ASICS.
Il contratto di distribuzione di Asics è stato sottoposto dapprima a un’investigazione nell’ambito di un programma pilota da parte dell’Ufficio Federale dei Cartelli (un altro programma pilota era stato iniziato contro Adidas in quanto molti rivenditori di articoli sportivi si erano lamentati delle imposizioni, per quanto riguarda la distribuzione internet, formulate da parte di produttori di articoli sportivi). Nel 2015 l’Ufficio Federale dei Cartelli (“Bundeskartellamt”) riteneva che il divieto di utilizzare motori ricerca dei prezzi, così come imposto da Asics, fosse anticoncorrenziale, in quanto violerebbe l’art. 101 co. 1 TFUE e il § 1 della Legge tedesca sulle limitazioni della concorrenza. Infatti, il divieto mirerebbe principalmente a controllare il fenomeno della concorrenza tra prezzi, limitando la stessa a spese del consumatore (cfr. Ordinanza del 26.08.2016, n. fasc. B2-98/11, punto 403 e ss.). Tale decisione veniva confermata in prima battuta dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (ordinanza del 05.04.2017, n. fasc. VI-Kart 13/15 (V) – vedi l’articolo su Legalmondo qui).
Ora la decisione è stata ribadita anche dalla Corte Federale Tedesca (ordinanza del 12.12.2017, n. fasc. KVZ 41/17). La decisione del caso Asics è particolarmente degna di nota, in quanto rappresenta la prima decisione di un tribunale tedesco successivamente alla sentenza Coty della Corte di Giustizia UE sui divieti di distribuire su piattaforme internet (vedi qui l’articolo Legalmondo). Essa costituisce quindi una prima indicazione su come i tribunali tratteranno in futuro le restrizioni alle rivendite su internet.
Così, la Corte Federale Tedesca sostiene che la previsione di un divieto generale di utilizzare motori di ricerca dei prezzi limiti “quantomeno” la vendita passiva al consumatore finale (cfr. punti 23, 25), e che questo anzi sarebbe proprio lo scopo del divieto di utilizzare motori di ricerca dei prezzi. Secondo la Corte, dall’ammissibilità della previsione di divieto di rivendere su piattaforme internet di terzi (come affermato nella sentenza Coty, vedi qui) non discenderebbe per ciò stesso l’ammissibilità di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi (cfr. punti 28 e ss.). In particolare, sarebbe “l’uso combinato di limitazioni” – ossia del divieto di usare motori di ricerca dei prezzi e di effettuare pubblicità su piattaforme terze – a fare la differenza. Con ciò eventuali consumatori interessati non godrebbero più “in modo effettivo” di un accesso all’offerta internet del rivenditore (punto 30), sebbene la Corte non chiarisca cosa sia sufficiente e/o necessario affinché un tale accesso sia assicurato “in modo effettivo”.
Conclusioni pratiche
- A livello comunitario, la Corte di Giustizia UE e la Commissione Europea non hanno preso posizione sull’efficacia o inefficacia di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi. Nel Regno Unito, tuttavia, la Competition and Markets Authority ha un’opinione analoga alla prassi dell’amministrazione e giurisprudenza tedesca (“BMW cambia politica sui siti di comparazione dei prezzi di autovetture, seguendo la decisione CMA”).
- Nella pratica dovrebbe valere, pertanto, la seguente differenziazione, già prefigurata dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (caso Asics) e dalla Corte d’Appello di Francoforte (caso Deuter), di cui alla decisione della Corte Federale Tedesca:
- Divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi sono da considerare, ai sensi della Corte Federale Tedesca, limitativi della concorrenza e perciò nulli – sebbene possano essere, viceversa, efficaci, qualora non li si combini con un ampio divieto di pubblicità, al fine di assicurare l’ampio accesso alla pagine internet del rivenditore da parte di consumatori interessati all’acquisto.
- Divieti individuali di usare motori di ricerca dei prezzi, ulteriori misure più morbide nonché indicazioni sull’uso dei portali di comparazione di prezzi sono, viceversa, legittimi, ad esempio con riguardo alla riproduzione di immagini del prodotto o a descrizioni o al settore di cui il prodotto fa parte (così come, ad esempio, il requisito che il commerciante possa offrire soltanto prodotti nuovi).
Per ulteriori dettagli sul punto si veda l’articolo in lingua tedesca Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, pag. 118 ss.
- Inoltre, i produttori possono vietare, nell’ambito di una rete di distribuzione esclusiva, la pubblicità attiva online rivolta a consumatori, nella misura in cui il produttore si riservi tale facoltà o la conferisca a un altro distributore e specifichi le lingue utilizzate. In linea di massima, tutti i criteri qualitativi potenzialmente immaginabili sono permessi, purché gli stessi siano equivalenti ai criteri adottati nella rivendita offline, sulla base del principio di equivalenza (in quanto “La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale», Orientamenti sulle restrizioni verticali, punto 56).
Per ulteriori informazioni si vedano in lingua tedesca:
- quadro generale sullo stato attuale della prassi, comprensivo di modelli di clausole: Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, pag. 39-41 e
- In particolare sui divieto di piattaforme e sulla possibile redazione di contratti di distribuzione: Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattformverboten nach dem EuGH-Urteil Coty – Auswirkungen auf Fachhändler- bzw. Selektiv-, Exklusiv-, Franchise- und offene Vertriebsverträge –, in: DB 2018. 300-306.
- Sull’ammissibilità dell’utilizzo di marchi e simboli d’impresa all’interno di una funzione di ricerca posta in una piattaforma di vendita su internet, si veda il Comunicato stampa della Corte Federale Tedesca sulle due recentissime decisioni del 15.02.2018 (n. fasc. I ZR 138/16, caso “Ortlieb” e n. fasc. I ZR 201/16 (caso „gofit“).
Quando si entra in nuovi mercati, vi sono differenti strategie di distribuzione tra le quali scegliere (I.). Nel commercio al dettaglio, di vetture o nella vendita all’ingrosso sono assai frequenti gli accordi di distribuzione (II.). Negli accordi di distribuzione internazionale le parti possono scegliere la legge applicabile (III.). Sia nel caso in cui si vi sia una scelta che nel caso in cui non vi sia, la legge applicabile può contenere spiacevoli sorprese, come ad esempio l’indennità di fine rapporto per il distributore secondo il diritto tedesco (IV.). Tali sorprese possono essere evitate, e quest’articolo mostra come, alla luce delle ultime decisioni della Corte Suprema Federale tedesca (V.).
I. L’ingresso in nuovi mercati
Entrando in nuovi mercati è possibile scegliere tra differenti strutture di distribuzione e differenti intermediari. La scelta dipende da molti fattori – in particolare le attività esistenti, il mercato-obiettivo e la strategia di mercato desiderata – e può ricadere su diverse forme: dalla vendita diretta con propri dipendenti o agenti di vendita alla distribuzione indiretta tramite distributori, affiliati, commissionari, la vendita di prodotti senza marchio o la concessione in licenza (con produzione e vendita da parte di terze parti). Per dettagli sulla distribuzione in Germania si veda l’articolo precedentemente pubblicato su Legalmondo “Germany – Distribution agreements (accordi di distribuzione in Germania) ”.
II. Accordi di distribuzione
Nel commercio al dettaglio (in particolare di prodotti di elettronica, cosmetici, gioielleria e moda), di vetture e all’ingrosso, frequentemente gli investitori scelgono un sistema di distribuzione – senza aver riguardo al fatto che l’intermediario di vendita sia denominato quale “distributore”, “commerciante”, “rifornitore”, “rivenditore specializzato”, “concessionario” o “rifornitore autorizzato”. I distributori sono contraenti autonomi e indipendenti, che vendono e promuovono costantemente i prodotti in proprio nome e in proprio conto. Essi si assumono il rischio imprenditoriale, a fronte del quale sono compensati con il riconoscimento di margini sulla vendita dei prodotti piuttosto bassi. I distributori sono generalmente meno protetti degli agenti commerciali (ai quali all’interno dell’Unione Europea si applica la Direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986, così come implementata nel singolo diritto nazionale del rispettivo Stato membro dell’UE). Al contrario degli accordi con agenti di vendita, gli accordi di distribuzione sono ristretti dalla legislazione antitrust: restrizioni della concorrenza sono, in linea generale, proibite, a meno che esse evitino di restringere sensibilmente la concorrenza ai sensi dell’Articolo 101 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Per dettagli sulla distribuzione online si veda l’articolo di Legalmondo “eCommerce: restrictions on distributors in Germany (Restrizioni a distributori nell’E-Commerce)”.
III. Distribuzione internazionale e scelta della legge applicabile
Quando un produttore distribuisce in uno stato differente, i diritti nazionali del produttore e del distributore entrano in rotta di collisione. Di solito le parti inseriscono nel contratto una clausola di scelta della legge applicabile, proprio al fine di evitare tale collisione e creare certezza legale. Solitamente ciascuna parte proverà a portare il “proprio” (peraltro magari non più favorevole, ma semplicemente più conosciuto) diritto all’estero. In alternativa, le parti possono accordarsi sul diritto di un paese terzo, “neutrale” – ad es. il diritto svizzero tra un produttore italiano e un distributore tedesco, il quale, tra l’altro, concede anche più libertà con riguardo ai contratti standardizzati.
Anche in presenza di una scelta del diritto applicabile, però, nel commercio internazionale vi possono essere spiacevoli sorprese:
- Primo, perché una scelta del diritto applicabile potrebbe non essere efficace – come, ad esempio, in alcuni stati del Sud America e nel Medio Oriente.
- Secondo, perché ci potrebbero essere delle norme di applicazione necessaria valide in campo internazionale (“overriding mandatory provisions”, “lois des police” or “Eingriffsnormen“), le quali sono così importanti per la salvaguardia degli interessi pubblici di un paese, che le stesse, in pratica, “passano sopra” al diritto applicabile scelto dalle parti, ossia trovano applicazione nonostante la presenza di un’efficace scelta di diritto applicabile di diverso tenore.
- Terzo, perché il diritto applicabile scelto potrebbe contenere delle spiacevoli sorprese, come l’indennità di fine rapporto per distributori prevista dal diritto tedesco.
IV. L’indennità di distribuzione “tedesca”
Anche il diritto tedesco contiene una sorpresa, perché dà al distributore il diritto di richiedere un’indennità di fine rapporto. Sebbene non vi siano norme esplicite, c’è una giurisprudenza molto consolidata che estende in via analogica diverse norme sull’agenzia anche ai distributori, a patto che ricorrano due condizioni.
Il distributore dev’essere:
- Integrato nell’organizzazione di vendita del preponente; e
- obbligato (per accordo o in via di fatto) a trasferire i dati della clientela durante o al termine del contratto.
Se sussistono tali condizioni, il distributore è titolato a chiedere l’indennità al termine del contratto (alle stesse condizioni di un agente). Il calcolo di tale indennità di fine rapporto è, generalmente, basato sul margine che il distributore ha conseguito negli ultimi 12 mesi prima della fine del contratto, con clienti nuovi portati dal distributore o con clienti già esistenti, a patto che il distributore abbia sensibilmente incrementato il business. I dettagli dipendono dal calcolo concreto e le Corti tedesche utilizzano metodi diversi per quantificarla.
V. Come evitare l’indennità di fine rapporto “tedesca” per distributori
Sia per gli agenti che per i distributori l’indennità di fine rapporto “tedesca” può essere esclusa in anticipo (ossia prima della fine del contratto) se l’agente o distributore opera al di fuori dello Spazio Economico Europeo (“SEE”). Per lungo tempo, comunque, ci si è chiesti se l’indennità di fine rapporto del distributore sotto il diritto tedesco potesse essere esclusa in anticipo, qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dello SEE.
La questione è stata sottoposta alla Corte Suprema Federale tedesca (decisione del 25/02/2016, fasc. n. VII ZR 102/15). Nel caso di specie, il convenuto, stabilito in Germania, produceva strumentazione per l’industria elettronica. L’attore operava come distributore in Svezia e in altri stati dello SEE. L’accordo di distribuzione prevedeva l’applicazione del diritto tedesco; si escludeva, inoltre, qualsiasi compensazione o remunerazione post contrattuale.
Dopo la fine del contratto con il convenuto, l’attore aveva agito per ottenere l’indennità di fine rapporto come distributore. Le corti inferiori non gli avevano riconosciuto alcun diritto all’indennità, ma la Corte Suprema Federale ha capovolto le decisioni dei giudici di merito, deliberando in suo favore (come, peraltro, aveva fatto in una materia simile la Corte d’Appello di Francoforte in data 06/02/2016, fasc. n. 11 U 136/14 [Kart]).
La decisione si concentra sull’ambito territoriale di applicazione dell’indennità di fine rapporto (art. 89b del Codice del Commercio Tedesco). Ai sensi della disposizione di cui al comma 4, l’indennità di fine rapporto dell’agente non può essere esclusa in anticipo. Secondo casistica giurisprudenziale costante, la disposizione può applicarsi in via analogica ai distributori (vedi sopra). Tuttavia, si discuteva se l’indennità di fine rapporto del distributore fosse dovuta anche qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dell’UE / SEE. L’argomento principale contro l’applicazione obbligatoria estesa anche all’UE / SEE era che gli accordi di distribuzione non fossero armonizzati all’interno del diritto dell’UE (in particolare, essi non sarebbero coperti dalla direttiva europea sugli agenti commerciali indipendenti del 1986). La Corte Suprema Federale tedesca ha ora confermato che l’indennità di fine rapporto del distributore non può essere esclusa in anticipo all’interno dell’UE / SEE – facendo riferimento in particolare (i) allo sviluppo storico del diritto di agenzia e (ii) al suo obiettivo di proteggere l’agente e/o comunque il distributore: distributori operanti in altri paesi SEE dovrebbero essere protetti allo stesso modo di quelli operanti in Germania e, nello specifico, contro conseguenze sfavorevoli causate dalla dipendenza economica nei confronti del produttore / preponente. Il legislatore tedesco avrebbe inoltre confermato tale casistica giurisprudenziale favorevole per il distributore tramite un “silenzio eloquente”, ossia non modificando la disciplina legislativa sul contratto di agenzia. Infine, la Corte Suprema Federale ha ritenuto che non fosse necessario deferire tale questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto essa non ricadrebbe nell’ambito applicativo della direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986.
La nuova decisione ha fatto chiarezza su questa questione lungamente dibattuta, ma non è sorprendente. Piuttosto, essa è coerente con la casistica giurisprudenziale esistente ed è assai probabile che la Corte Suprema Federale tedesca continui, in futuro, ad applicare in via analogica il diritto di agenzia ai distributori.
Cinque consigli pratici per la prassi contrattuale e la redazione di futuri contratti:
- L’indennità di fine rapporto è un costo che sorge solo al termine di un accordo di distribuzione, ma dovrebbe essere preso in considerazione sin dall’inizio – così come la questione, se tale costo possa essere evitato o stipulato in maniera differente (ad es. tramite pagamenti in entrata, vedi sotto).
- Qualora il distributore operi al di fuori dello SEE, la pretesa dell’indennità di fine rapporto può essere esclusa in ogni momento, ossia già nello stesso contratto (art. 92c del Codice del Commercio tedesco; cfr. Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 11/01/2002, fasc. n. 23 U 4416/01) – che sia di agenzia o che sia un accordo di distribuzione.
- Se il distributore opera all’interno dello SEE, il diritto tedesco trova applicazione e ricorrono le due condizioni di cui sopra, la pretesa del distributore all’indennità di fine rapporto non può essere esclusa prima della fine del contratto.
- L’indennità di fine rapporto tedesca del distributore può essere esclusa in anticipo soprattutto se le parti
- (i) escludono il trasferimento di dati della clientela; o
- (ii) obbligano il produttore a bloccare, ad impedire di usare e, se necessario, a distruggere tali dati della clientela alla fine del contratto (Corte federale tedesca, decisione del 05/02/2015, fasc. n. VII ZR 315/13); o
- (iii) scelgono un altro diritto applicabile (e, conseguentemente, un’altra giurisdizione o l’arbitrato).
- In alternativa, le parti possono ammorbidire la pretesa all’indennità di fine rapporto concordando dei “pagamenti in entrata” (“Einstandszahlungen”), i quali potrebbero essere differiti fino alla fine del contratto, imputandoli all’indennità di fine rapporto. In ogni caso, tale pagamento in entrata non può essere irragionevolmente alto (Corte suprema federale, decisione del 24/02/1983, fasc. n. I ZR 14/81), o dovrebbe venir corrisposto dietro un valore di ritorno, ad es. uno sconto particolarmente alto per il distributore o una durata contrattuale molto lunga (Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 04/12/1996, fasc. n. 7 U 3915/96, Corte d’Appello di Saarbrücken, decisione del 30/08/2013, fasc. n. 1 U 161/12). In breve: il produttore deve provare che le parti non avrebbero pattuito una commissione più alta nemmeno senza pagamento in entrata (come già deciso dalla Corte Suprema Federale tedesca il 14 luglio 2016, fasc. n. VII ZR 297/15).
Talking to clients five years ago the trend was clear, application was to be filed for the EU Trademark only, as it was faster, broader, in relation to the geographical scope cheaper and easier to handle. However as we experience now the EU trade mark has some downsides for which reason it is advisable to apply for a national trademark alongside the EU trade mark. And these are the reasons why:
Genuine Use
One of the main risks with trade marks is the fact that they must be used five years after registration. That use however must be genuine. According to the ECJ (C 149/11) “there is ‘genuine use’ of a trade mark where the mark is used in accordance with its essential function, which is to guarantee the identity of the origin of the goods or services for which it is registered, in order to create or preserve an outlet for those goods or services; genuine use does not include token use for the sole purpose of preserving the rights conferred by the mark. When assessing whether use of the trade mark is genuine, regard must be had to all the facts and circumstances relevant to establishing whether there is real commercial exploitation of the mark in the course of trade, particularly the usages regarded as warranted in the economic sector concerned as a means of maintaining or creating market share for the goods or services protected by the mark, the nature of those goods or services, the characteristics of the market and the scale and frequency of use of the mark.“
The problem which occurs from time to time is whether a trade mark used only in one member state or in a specific part of that member state is to be regarded as genuine use in the meaning of these ECJ findings. Whilst the ECJ (C 149/11) has not denied genuine use because of a territorial restricted use within one member state per se it still has not excluded that possibility and what is more has even given the national courts the decision making authority to assess “whether the mark in question is used in accordance with its essential function and for the purpose of creating or maintaining market share for the goods or services protected.“ Consequently a French court could decide that a use of a mark in Germany is insufficient for upholding a EU trade mark and thereby decide that the mark has to be deregistered. This reason alone provides for the necessity to have a national trade mark as plan B.
Counterclaim
When the plaintiff’s trade mark is a German trade mark, there is no possibility for the defendant to raise a counterclaim calling for a revocation of that plaintiff’s trade mark. The defendant has to file for an additional cancellation order before the German Patent and Trademark office. That additional cancellation proceeding however in general does not even bar the violation proceedings. So these will often be decided long before the cancellation proceedings in the last instance.
That is different when it comes to the EU trade mark. The EU trade mark can be declared void during (!) the violation proceedings by filing a counterclaim. Alternatively, the EU trade mark court hearing a counterclaim for revocation or for a declaration of invalidity may stay the proceedings on application by the proprietor of the EU trade mark and after hearing the other parties and may request the defendant to submit an application for revocation or for a declaration of invalidity to the Office. With the consequences that the violation proceeding is dead for ten years which it takes to pursue the cancellation proceedings through all instances.
Place of jurisdiction
The place of jurisdiction of a EU trade mark is limited to the place where the event which gave rise to the harm occurred (“Handlungsort”). The German trade mark however also provides for the place where the harm arose (‘Erfolgsort’) as place of jurisdiction. That however gives the plaintiff much more possibility to forum shop.
Statute of limitation
The EU trade mark does not provide a uniform statute of limitation. The ECJ (C 479/12) has decided that claims for injunctive reliefs become time-bared under the regulations of the national law. However in some case it can be very unclear which national law applies and therefore the same case can be seen differently in the different countries. When the plaintiff’s trade mark is a national trade mark the scope of application of the national statutes of limitation is clear and there are no further insecurities which are never to relish when have court proceedings.
The author of this post is Ilja Czernik.
These days, influencer marketing is an indispensable part of virtually any marketing strategy. The attention gained through influencer marketing has recently been a subject of discussion among the competition associations as well.
As a forerunner, the Association of Social Competition seems prepared to take a closer look at the topic, as indicated by several media statements. According to its general manager Angelika Lange, the association has already issued warnings to several dozen influencers (https://www.wuv.de/marketing/die_influencer_jaeger ).
The association does not shy away from litigation, either. Following Celle Higher Regional Court’s decision on the external presentation of influencer advertising in June 2017, Hagen Regional Court (September 13, 2017 – Case 23 O 30/17) dealt not only with the external presentation but also with the content of an influencer’s statements.
Influencer Scarlett Gartmann is said to have advertised various products on her Instagram account without marking the content or individual sections as “advertising” (“Anzeige”) or “promotion” (“Werbung”). Hagen Regional Court, like Celle Higher Regional Court, considered this a violation of the marking obligations under competition law.
While this decision was to be expected, what is noteworthy is the component that deals with the content. The regional court obviously also had to decide on the use of the term detox by the influencer, which the Court considered a “health claim” in combination with the drink that was advertised by means of a photograph. Such a claim would not be permitted, however, which is why another prohibition claim against the influencer existed.
Practical tip
Particularly in areas that are sensitive to regulatory requirements, such as food law or medical device law, influencers and companies that are commissioning influencers should check in advance whether certain statements can actually be made as planned. Even though the external form can be preserved relatively easily by marking the text as “advertising” or “promotion,” there may be considerable and costly warning potential when the content of statements is examined, which the competition associations increasingly seem intent on exploiting.
The author of this post is Ilja Czernik.
Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
The eSports sector is growing rapidly as illustrated by the following figures:
In 2017, the eSports economy grew to US-$696 million, a year-on-year growth of 41.3%.
Brands invested $517 million in 2017, which is expected to double by 2020.
Worldwide, the global eSports audience reached 385 million in 2017, with 191 million regular viewers.
(cf. https://newzoo.com/insights/trend-reports/global-esports-market-report-2017-light/)
North America continues to be the largest eSports market with revenues of US-$257 million. There is also continual development of eSports in Germany, however. The professional soccer teams of VfL Wolfsburg and FC Schalke 04 have their own eSports teams (http://www.gameswirtschaft.de/sport/esports-fussball-bundesliga/), and the German eSports Federation Deutschland has recently been founded, with the Federal Association of Interactive Entertainment Software (BIU) as a founding member (http://www.horizont.net/marketing/nachrichten/ESBD-E-Sport-Bund-Deutschland-geht-an-den-Start-162957).
In areas where such a lot of money can be made, legal obstacles are never far away. Here, they comprise a wide range of all kinds of different topics.
The initial focus is on copyrights and ancillary copyrights. Soccer stadiums, buildings, and avatars may enjoy copyright protection just as much as the computer program on which the games are based. Another item of discussion is whether eAthletes are to be classified as “performing artists” in accordance with Section 73 German Copyright Act. In addition, the question arises as to who enjoys ancillary copyrights under Section 81 Copyright Act as organizer of eSports events and whether such organizers have the same domiciliary rights as the organizers of a regular sports event.
In terms of trademark and design law, it will have to be discussed to what extent products and brand images represent infringements of the Trademark Act and the Design Act. In the case of brands and trademarks in particular, the question will be to what extent they are design objects or indications of origin.
Finally, there will also be regulatory issues that need to be observed. In addition to the use of cheatbots and doping substances, the main focus will be on the protection of minors and the Interstate Broadcasting Treaty with its advertising restrictions.
In conclusion, one suggestion: keep an eye on the eSports movement! Companies that want to stay ahead of the curve, should deal with the aforementioned issues and all further questions in timely manner.
The author of this post is Ilja Czernik.
Influencer marketing is the trend in today’s world of advertising. Even though it is obvious that influencer marketing must observe the framework of applicable statutory provisions, the market has long been uncertain about how influencer posts are to be drafted in order to be legally compliant. The current decision of Celle Higher Regional Court (June 08, 2017 – Case 13 U 53/17) offers at least some clarity.
The judgment was issued in relation to an action for injunction by the German Association for Social Competition (Verband Sozialer Wettbewerb) against a German drugstore chain. A 20-year-old Instagram star with 1.3 million followers had advertised the drugstore chain in one of her posts. The post was only marked as advertisement at the bottom with the hashtag “#ad,” which additionally only came second in a list of six hashtags.
Celle Higher Regional Court adjudged that this type of marking was insufficient. The court requested that the commercial purpose of an Instagram post would have to be apparent at first sight. It did not consider use of the hashtag “#ad” in a “hashtag cloud” to be sufficient to mark the post as advertising.
The court left expressly open, however, whether the use of the hashtag “#ad” is generally suitable to mark advertising posts.
The state media authorities (Landesmedienanstalten) already reacted to the judgment, however, and revised their joint guide on advertising issues in social media. It now reads: “When marking a post as PROMOTION (Werbung) or ADVERTISING (Anzeige), you will be on the safe side – that much is certain. […] At the current time, we cannot recommend marking posts as #ad, #sponsored by, or #powered by.” In the future, Instagram itself intends to provide for more transparency on the platform by comprehensibly identifying advertising posts. It is currently testing the introduction of a branded content tool in Germany to make it easier for users to recognize posts as paid advertising.
Practical tip
Advertising posts in social media should always be marked as “promotion” or “advertising” at the beginning of the posts unless their commercial purpose arises directly from the circumstances. Advertisers are also advised to obligate influencers contractually to such legally compliant marking of posts, since the influencers’ behavior may be attributed to the company, as is clearly shown by the recent judgment of Celle Higher Regional Court against the drugstore chain.
The author of this post is Ilja Czernik.
Scrivi a Benedikt
National Trade Mark or EU Trade Mark?
23 Gennaio 2018
- Germania
- Proprietà industriale e intellettuale
- Marchi e brevetti
10 practical aspects to consider for an adequate timing
Meanwhile similar legal standards apply in most industrialized countries if an employment relationship shall be terminated; however, in every jurisdiction some specifics still need to be considered. The following ten aspects may be a first general guideline for the termination of an employment contract in Germany, in particular regarding its timing.
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In some cases notice needs to be given within a two-week period
In case of gross misconduct an employer may be entitled to terminate an employment relationship forthwith. However, if notice of termination is not served to the employee within two weeks after acknowledgement of the respective facts, this right is forfeited.
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Notice has to be given in writing
The notice has to be signed by the legal representative of the employer and delivered to the employee. Neither a transmission by facsimile nor an email with a scanned copy is sufficient. If the representative is not on site, timing may become an essential aspect of the termination process.
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Ordinary dismissal may be prohibited by a collective bargaining agreement
Collective bargaining agreements often provide a ban on ordinary dismissal under certain circumstances (e.g. based on the age of the employee). A careful assessment of all applicable collective bargaining agreements before a termination is therefore indispensable.
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Insufficient information of the works councils may lead to an invalid termination
The establishment of a works council is not mandatory in Germany. However, if it is established, it needs to be notified and heard before every termination of an employment contract. The notification must contain a sufficient description of the grounds for the termination, otherwise the termination may be deemed invalid. Having been notified, the works council has one week (in some cases: three days) to object. Any termination before such term without consent of the works council would be deemed invalid as well. Timing may therefore become again an essential aspect of the termination process.
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General dismissal protection is related to seniority and size of the establishment
General dismissal protection is basically applicable in establishments with more than 10 employees. Exceptions may apply in favour of those employees whose employment relationships commenced already before 1st January 2004. In addition, the respective employee needs to have at least a seniority of six month. If these criteria are met, the termination has to be justified by operational reasons, misconduct or personal incapacity as set out in the Dismissal Protection Act.
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Some terminations may need prior permission
Irrespective of the application of the afore mentioned Dismissal Protection Act some kind of terminations (e.g. employees on parental leave) may need a special permission of the works council, the Labour Court or the respective public authority as applicable. These procedures may last from some days up to two years.
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There is no general claim for severance payment in case of an unfair dismissal
Aside from those agreed in termination agreements there is no general claim for severance payment in case of an unfair dismissal. In general, the statutory remedy will only be reinstatement and back pay. Only under certain circumstances each party may apply for the termination of the employment relationship and a severance payment in front of the Labour Court. However, in most of the cases parties end up in a voluntary termination agreement.
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Non-competes may lead to extensive payments and cannot be withdrawn forthwith unilaterally without cause
A binding covenant to non-compete leads to a compensation payment of at least 50 % of the former salary for every month of its duration. Even in case of a justified termination it may only be terminated with a notice period of one year. However, both parties may agree upon its immediate suspension in a termination agreement.
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Any termination agreement has to be in written form as well
Also a termination agreement needs to fulfil the same formal requirements as set out already above under point 2. Again, if the representative is not on site, timing may become an essential aspect of the bargaining process.
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The forfeiture clause of a termination agreement may not cover all claims
Termination agreements often contain general forfeiture clauses at their end, covering also those potential claims which have not been explicitly mentioned or identified by the parties. However, some claims (e.g. pension claims) may not be covered by such a (general) forfeiture clause.
Please note that these ten aspects contain general information only. Further details as well as possible exceptions therefore need to be checked on a case-by-case basis by a professional advisor.
Tha author of this post is Alexander Lentz
Secondo l’indagine settoriale dell’Unione Europea sul commercio elettronico, più del 50% dei market online e il 36% dei rivenditori inoltra i propri prezzi a motori di ricerca dei prezzi come ad esempio Idealo.it, trovaprezzi.it o kelkoo.it. Il 10% dei rivenditori, per contro, sottostà a divieti di utilizzo di motori di ricerca dei prezzi (cfr. Relazione finale, pag. 11).
Tuttavia recentemente la Corte Federale Tedesca ha dichiarato illegittima l’imposizione di un divieto di utilizzo di motore di ricerca dei prezzi. Nel caso di specie, Asics proibiva generalmente ai rivenditori di utilizzare motori di ricerca dei prezzi per il commercio online con una clausola che prevedeva:
“Oltre a ciò, il rivenditore autorizzato … non può … supportare la funzionalità di motori di ricerca dei prezzi, fornendo l’interfaccia applicativa specifica (“API”) a tali strumenti di comparazione”.
Oltre a ciò, il contratto conteneva un esteso divieto di effettuare pubblicità su piattaforme di terze parti. Asics proibiva cioè ai rivenditori di consentire che terzi potessero utilizzare il marchio ASICS in qualsiasi forma sulla propria pagina internet, anche se al solo fine di indirizzare i clienti verso la pagina internet dei rivenditori autorizzati ASICS.
Il contratto di distribuzione di Asics è stato sottoposto dapprima a un’investigazione nell’ambito di un programma pilota da parte dell’Ufficio Federale dei Cartelli (un altro programma pilota era stato iniziato contro Adidas in quanto molti rivenditori di articoli sportivi si erano lamentati delle imposizioni, per quanto riguarda la distribuzione internet, formulate da parte di produttori di articoli sportivi). Nel 2015 l’Ufficio Federale dei Cartelli (“Bundeskartellamt”) riteneva che il divieto di utilizzare motori ricerca dei prezzi, così come imposto da Asics, fosse anticoncorrenziale, in quanto violerebbe l’art. 101 co. 1 TFUE e il § 1 della Legge tedesca sulle limitazioni della concorrenza. Infatti, il divieto mirerebbe principalmente a controllare il fenomeno della concorrenza tra prezzi, limitando la stessa a spese del consumatore (cfr. Ordinanza del 26.08.2016, n. fasc. B2-98/11, punto 403 e ss.). Tale decisione veniva confermata in prima battuta dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (ordinanza del 05.04.2017, n. fasc. VI-Kart 13/15 (V) – vedi l’articolo su Legalmondo qui).
Ora la decisione è stata ribadita anche dalla Corte Federale Tedesca (ordinanza del 12.12.2017, n. fasc. KVZ 41/17). La decisione del caso Asics è particolarmente degna di nota, in quanto rappresenta la prima decisione di un tribunale tedesco successivamente alla sentenza Coty della Corte di Giustizia UE sui divieti di distribuire su piattaforme internet (vedi qui l’articolo Legalmondo). Essa costituisce quindi una prima indicazione su come i tribunali tratteranno in futuro le restrizioni alle rivendite su internet.
Così, la Corte Federale Tedesca sostiene che la previsione di un divieto generale di utilizzare motori di ricerca dei prezzi limiti “quantomeno” la vendita passiva al consumatore finale (cfr. punti 23, 25), e che questo anzi sarebbe proprio lo scopo del divieto di utilizzare motori di ricerca dei prezzi. Secondo la Corte, dall’ammissibilità della previsione di divieto di rivendere su piattaforme internet di terzi (come affermato nella sentenza Coty, vedi qui) non discenderebbe per ciò stesso l’ammissibilità di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi (cfr. punti 28 e ss.). In particolare, sarebbe “l’uso combinato di limitazioni” – ossia del divieto di usare motori di ricerca dei prezzi e di effettuare pubblicità su piattaforme terze – a fare la differenza. Con ciò eventuali consumatori interessati non godrebbero più “in modo effettivo” di un accesso all’offerta internet del rivenditore (punto 30), sebbene la Corte non chiarisca cosa sia sufficiente e/o necessario affinché un tale accesso sia assicurato “in modo effettivo”.
Conclusioni pratiche
- A livello comunitario, la Corte di Giustizia UE e la Commissione Europea non hanno preso posizione sull’efficacia o inefficacia di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi. Nel Regno Unito, tuttavia, la Competition and Markets Authority ha un’opinione analoga alla prassi dell’amministrazione e giurisprudenza tedesca (“BMW cambia politica sui siti di comparazione dei prezzi di autovetture, seguendo la decisione CMA”).
- Nella pratica dovrebbe valere, pertanto, la seguente differenziazione, già prefigurata dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (caso Asics) e dalla Corte d’Appello di Francoforte (caso Deuter), di cui alla decisione della Corte Federale Tedesca:
- Divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi sono da considerare, ai sensi della Corte Federale Tedesca, limitativi della concorrenza e perciò nulli – sebbene possano essere, viceversa, efficaci, qualora non li si combini con un ampio divieto di pubblicità, al fine di assicurare l’ampio accesso alla pagine internet del rivenditore da parte di consumatori interessati all’acquisto.
- Divieti individuali di usare motori di ricerca dei prezzi, ulteriori misure più morbide nonché indicazioni sull’uso dei portali di comparazione di prezzi sono, viceversa, legittimi, ad esempio con riguardo alla riproduzione di immagini del prodotto o a descrizioni o al settore di cui il prodotto fa parte (così come, ad esempio, il requisito che il commerciante possa offrire soltanto prodotti nuovi).
Per ulteriori dettagli sul punto si veda l’articolo in lingua tedesca Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, pag. 118 ss.
- Inoltre, i produttori possono vietare, nell’ambito di una rete di distribuzione esclusiva, la pubblicità attiva online rivolta a consumatori, nella misura in cui il produttore si riservi tale facoltà o la conferisca a un altro distributore e specifichi le lingue utilizzate. In linea di massima, tutti i criteri qualitativi potenzialmente immaginabili sono permessi, purché gli stessi siano equivalenti ai criteri adottati nella rivendita offline, sulla base del principio di equivalenza (in quanto “La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale», Orientamenti sulle restrizioni verticali, punto 56).
Per ulteriori informazioni si vedano in lingua tedesca:
- quadro generale sullo stato attuale della prassi, comprensivo di modelli di clausole: Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, pag. 39-41 e
- In particolare sui divieto di piattaforme e sulla possibile redazione di contratti di distribuzione: Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattformverboten nach dem EuGH-Urteil Coty – Auswirkungen auf Fachhändler- bzw. Selektiv-, Exklusiv-, Franchise- und offene Vertriebsverträge –, in: DB 2018. 300-306.
- Sull’ammissibilità dell’utilizzo di marchi e simboli d’impresa all’interno di una funzione di ricerca posta in una piattaforma di vendita su internet, si veda il Comunicato stampa della Corte Federale Tedesca sulle due recentissime decisioni del 15.02.2018 (n. fasc. I ZR 138/16, caso “Ortlieb” e n. fasc. I ZR 201/16 (caso „gofit“).
Quando si entra in nuovi mercati, vi sono differenti strategie di distribuzione tra le quali scegliere (I.). Nel commercio al dettaglio, di vetture o nella vendita all’ingrosso sono assai frequenti gli accordi di distribuzione (II.). Negli accordi di distribuzione internazionale le parti possono scegliere la legge applicabile (III.). Sia nel caso in cui si vi sia una scelta che nel caso in cui non vi sia, la legge applicabile può contenere spiacevoli sorprese, come ad esempio l’indennità di fine rapporto per il distributore secondo il diritto tedesco (IV.). Tali sorprese possono essere evitate, e quest’articolo mostra come, alla luce delle ultime decisioni della Corte Suprema Federale tedesca (V.).
I. L’ingresso in nuovi mercati
Entrando in nuovi mercati è possibile scegliere tra differenti strutture di distribuzione e differenti intermediari. La scelta dipende da molti fattori – in particolare le attività esistenti, il mercato-obiettivo e la strategia di mercato desiderata – e può ricadere su diverse forme: dalla vendita diretta con propri dipendenti o agenti di vendita alla distribuzione indiretta tramite distributori, affiliati, commissionari, la vendita di prodotti senza marchio o la concessione in licenza (con produzione e vendita da parte di terze parti). Per dettagli sulla distribuzione in Germania si veda l’articolo precedentemente pubblicato su Legalmondo “Germany – Distribution agreements (accordi di distribuzione in Germania) ”.
II. Accordi di distribuzione
Nel commercio al dettaglio (in particolare di prodotti di elettronica, cosmetici, gioielleria e moda), di vetture e all’ingrosso, frequentemente gli investitori scelgono un sistema di distribuzione – senza aver riguardo al fatto che l’intermediario di vendita sia denominato quale “distributore”, “commerciante”, “rifornitore”, “rivenditore specializzato”, “concessionario” o “rifornitore autorizzato”. I distributori sono contraenti autonomi e indipendenti, che vendono e promuovono costantemente i prodotti in proprio nome e in proprio conto. Essi si assumono il rischio imprenditoriale, a fronte del quale sono compensati con il riconoscimento di margini sulla vendita dei prodotti piuttosto bassi. I distributori sono generalmente meno protetti degli agenti commerciali (ai quali all’interno dell’Unione Europea si applica la Direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986, così come implementata nel singolo diritto nazionale del rispettivo Stato membro dell’UE). Al contrario degli accordi con agenti di vendita, gli accordi di distribuzione sono ristretti dalla legislazione antitrust: restrizioni della concorrenza sono, in linea generale, proibite, a meno che esse evitino di restringere sensibilmente la concorrenza ai sensi dell’Articolo 101 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Per dettagli sulla distribuzione online si veda l’articolo di Legalmondo “eCommerce: restrictions on distributors in Germany (Restrizioni a distributori nell’E-Commerce)”.
III. Distribuzione internazionale e scelta della legge applicabile
Quando un produttore distribuisce in uno stato differente, i diritti nazionali del produttore e del distributore entrano in rotta di collisione. Di solito le parti inseriscono nel contratto una clausola di scelta della legge applicabile, proprio al fine di evitare tale collisione e creare certezza legale. Solitamente ciascuna parte proverà a portare il “proprio” (peraltro magari non più favorevole, ma semplicemente più conosciuto) diritto all’estero. In alternativa, le parti possono accordarsi sul diritto di un paese terzo, “neutrale” – ad es. il diritto svizzero tra un produttore italiano e un distributore tedesco, il quale, tra l’altro, concede anche più libertà con riguardo ai contratti standardizzati.
Anche in presenza di una scelta del diritto applicabile, però, nel commercio internazionale vi possono essere spiacevoli sorprese:
- Primo, perché una scelta del diritto applicabile potrebbe non essere efficace – come, ad esempio, in alcuni stati del Sud America e nel Medio Oriente.
- Secondo, perché ci potrebbero essere delle norme di applicazione necessaria valide in campo internazionale (“overriding mandatory provisions”, “lois des police” or “Eingriffsnormen“), le quali sono così importanti per la salvaguardia degli interessi pubblici di un paese, che le stesse, in pratica, “passano sopra” al diritto applicabile scelto dalle parti, ossia trovano applicazione nonostante la presenza di un’efficace scelta di diritto applicabile di diverso tenore.
- Terzo, perché il diritto applicabile scelto potrebbe contenere delle spiacevoli sorprese, come l’indennità di fine rapporto per distributori prevista dal diritto tedesco.
IV. L’indennità di distribuzione “tedesca”
Anche il diritto tedesco contiene una sorpresa, perché dà al distributore il diritto di richiedere un’indennità di fine rapporto. Sebbene non vi siano norme esplicite, c’è una giurisprudenza molto consolidata che estende in via analogica diverse norme sull’agenzia anche ai distributori, a patto che ricorrano due condizioni.
Il distributore dev’essere:
- Integrato nell’organizzazione di vendita del preponente; e
- obbligato (per accordo o in via di fatto) a trasferire i dati della clientela durante o al termine del contratto.
Se sussistono tali condizioni, il distributore è titolato a chiedere l’indennità al termine del contratto (alle stesse condizioni di un agente). Il calcolo di tale indennità di fine rapporto è, generalmente, basato sul margine che il distributore ha conseguito negli ultimi 12 mesi prima della fine del contratto, con clienti nuovi portati dal distributore o con clienti già esistenti, a patto che il distributore abbia sensibilmente incrementato il business. I dettagli dipendono dal calcolo concreto e le Corti tedesche utilizzano metodi diversi per quantificarla.
V. Come evitare l’indennità di fine rapporto “tedesca” per distributori
Sia per gli agenti che per i distributori l’indennità di fine rapporto “tedesca” può essere esclusa in anticipo (ossia prima della fine del contratto) se l’agente o distributore opera al di fuori dello Spazio Economico Europeo (“SEE”). Per lungo tempo, comunque, ci si è chiesti se l’indennità di fine rapporto del distributore sotto il diritto tedesco potesse essere esclusa in anticipo, qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dello SEE.
La questione è stata sottoposta alla Corte Suprema Federale tedesca (decisione del 25/02/2016, fasc. n. VII ZR 102/15). Nel caso di specie, il convenuto, stabilito in Germania, produceva strumentazione per l’industria elettronica. L’attore operava come distributore in Svezia e in altri stati dello SEE. L’accordo di distribuzione prevedeva l’applicazione del diritto tedesco; si escludeva, inoltre, qualsiasi compensazione o remunerazione post contrattuale.
Dopo la fine del contratto con il convenuto, l’attore aveva agito per ottenere l’indennità di fine rapporto come distributore. Le corti inferiori non gli avevano riconosciuto alcun diritto all’indennità, ma la Corte Suprema Federale ha capovolto le decisioni dei giudici di merito, deliberando in suo favore (come, peraltro, aveva fatto in una materia simile la Corte d’Appello di Francoforte in data 06/02/2016, fasc. n. 11 U 136/14 [Kart]).
La decisione si concentra sull’ambito territoriale di applicazione dell’indennità di fine rapporto (art. 89b del Codice del Commercio Tedesco). Ai sensi della disposizione di cui al comma 4, l’indennità di fine rapporto dell’agente non può essere esclusa in anticipo. Secondo casistica giurisprudenziale costante, la disposizione può applicarsi in via analogica ai distributori (vedi sopra). Tuttavia, si discuteva se l’indennità di fine rapporto del distributore fosse dovuta anche qualora il distributore operasse al di fuori della Germania, ma all’interno dell’UE / SEE. L’argomento principale contro l’applicazione obbligatoria estesa anche all’UE / SEE era che gli accordi di distribuzione non fossero armonizzati all’interno del diritto dell’UE (in particolare, essi non sarebbero coperti dalla direttiva europea sugli agenti commerciali indipendenti del 1986). La Corte Suprema Federale tedesca ha ora confermato che l’indennità di fine rapporto del distributore non può essere esclusa in anticipo all’interno dell’UE / SEE – facendo riferimento in particolare (i) allo sviluppo storico del diritto di agenzia e (ii) al suo obiettivo di proteggere l’agente e/o comunque il distributore: distributori operanti in altri paesi SEE dovrebbero essere protetti allo stesso modo di quelli operanti in Germania e, nello specifico, contro conseguenze sfavorevoli causate dalla dipendenza economica nei confronti del produttore / preponente. Il legislatore tedesco avrebbe inoltre confermato tale casistica giurisprudenziale favorevole per il distributore tramite un “silenzio eloquente”, ossia non modificando la disciplina legislativa sul contratto di agenzia. Infine, la Corte Suprema Federale ha ritenuto che non fosse necessario deferire tale questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in quanto essa non ricadrebbe nell’ambito applicativo della direttiva sugli agenti commerciali indipendenti del 1986.
La nuova decisione ha fatto chiarezza su questa questione lungamente dibattuta, ma non è sorprendente. Piuttosto, essa è coerente con la casistica giurisprudenziale esistente ed è assai probabile che la Corte Suprema Federale tedesca continui, in futuro, ad applicare in via analogica il diritto di agenzia ai distributori.
Cinque consigli pratici per la prassi contrattuale e la redazione di futuri contratti:
- L’indennità di fine rapporto è un costo che sorge solo al termine di un accordo di distribuzione, ma dovrebbe essere preso in considerazione sin dall’inizio – così come la questione, se tale costo possa essere evitato o stipulato in maniera differente (ad es. tramite pagamenti in entrata, vedi sotto).
- Qualora il distributore operi al di fuori dello SEE, la pretesa dell’indennità di fine rapporto può essere esclusa in ogni momento, ossia già nello stesso contratto (art. 92c del Codice del Commercio tedesco; cfr. Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 11/01/2002, fasc. n. 23 U 4416/01) – che sia di agenzia o che sia un accordo di distribuzione.
- Se il distributore opera all’interno dello SEE, il diritto tedesco trova applicazione e ricorrono le due condizioni di cui sopra, la pretesa del distributore all’indennità di fine rapporto non può essere esclusa prima della fine del contratto.
- L’indennità di fine rapporto tedesca del distributore può essere esclusa in anticipo soprattutto se le parti
- (i) escludono il trasferimento di dati della clientela; o
- (ii) obbligano il produttore a bloccare, ad impedire di usare e, se necessario, a distruggere tali dati della clientela alla fine del contratto (Corte federale tedesca, decisione del 05/02/2015, fasc. n. VII ZR 315/13); o
- (iii) scelgono un altro diritto applicabile (e, conseguentemente, un’altra giurisdizione o l’arbitrato).
- In alternativa, le parti possono ammorbidire la pretesa all’indennità di fine rapporto concordando dei “pagamenti in entrata” (“Einstandszahlungen”), i quali potrebbero essere differiti fino alla fine del contratto, imputandoli all’indennità di fine rapporto. In ogni caso, tale pagamento in entrata non può essere irragionevolmente alto (Corte suprema federale, decisione del 24/02/1983, fasc. n. I ZR 14/81), o dovrebbe venir corrisposto dietro un valore di ritorno, ad es. uno sconto particolarmente alto per il distributore o una durata contrattuale molto lunga (Corte d’Appello di Monaco di Baviera, decisione del 04/12/1996, fasc. n. 7 U 3915/96, Corte d’Appello di Saarbrücken, decisione del 30/08/2013, fasc. n. 1 U 161/12). In breve: il produttore deve provare che le parti non avrebbero pattuito una commissione più alta nemmeno senza pagamento in entrata (come già deciso dalla Corte Suprema Federale tedesca il 14 luglio 2016, fasc. n. VII ZR 297/15).
Talking to clients five years ago the trend was clear, application was to be filed for the EU Trademark only, as it was faster, broader, in relation to the geographical scope cheaper and easier to handle. However as we experience now the EU trade mark has some downsides for which reason it is advisable to apply for a national trademark alongside the EU trade mark. And these are the reasons why:
Genuine Use
One of the main risks with trade marks is the fact that they must be used five years after registration. That use however must be genuine. According to the ECJ (C 149/11) “there is ‘genuine use’ of a trade mark where the mark is used in accordance with its essential function, which is to guarantee the identity of the origin of the goods or services for which it is registered, in order to create or preserve an outlet for those goods or services; genuine use does not include token use for the sole purpose of preserving the rights conferred by the mark. When assessing whether use of the trade mark is genuine, regard must be had to all the facts and circumstances relevant to establishing whether there is real commercial exploitation of the mark in the course of trade, particularly the usages regarded as warranted in the economic sector concerned as a means of maintaining or creating market share for the goods or services protected by the mark, the nature of those goods or services, the characteristics of the market and the scale and frequency of use of the mark.“
The problem which occurs from time to time is whether a trade mark used only in one member state or in a specific part of that member state is to be regarded as genuine use in the meaning of these ECJ findings. Whilst the ECJ (C 149/11) has not denied genuine use because of a territorial restricted use within one member state per se it still has not excluded that possibility and what is more has even given the national courts the decision making authority to assess “whether the mark in question is used in accordance with its essential function and for the purpose of creating or maintaining market share for the goods or services protected.“ Consequently a French court could decide that a use of a mark in Germany is insufficient for upholding a EU trade mark and thereby decide that the mark has to be deregistered. This reason alone provides for the necessity to have a national trade mark as plan B.
Counterclaim
When the plaintiff’s trade mark is a German trade mark, there is no possibility for the defendant to raise a counterclaim calling for a revocation of that plaintiff’s trade mark. The defendant has to file for an additional cancellation order before the German Patent and Trademark office. That additional cancellation proceeding however in general does not even bar the violation proceedings. So these will often be decided long before the cancellation proceedings in the last instance.
That is different when it comes to the EU trade mark. The EU trade mark can be declared void during (!) the violation proceedings by filing a counterclaim. Alternatively, the EU trade mark court hearing a counterclaim for revocation or for a declaration of invalidity may stay the proceedings on application by the proprietor of the EU trade mark and after hearing the other parties and may request the defendant to submit an application for revocation or for a declaration of invalidity to the Office. With the consequences that the violation proceeding is dead for ten years which it takes to pursue the cancellation proceedings through all instances.
Place of jurisdiction
The place of jurisdiction of a EU trade mark is limited to the place where the event which gave rise to the harm occurred (“Handlungsort”). The German trade mark however also provides for the place where the harm arose (‘Erfolgsort’) as place of jurisdiction. That however gives the plaintiff much more possibility to forum shop.
Statute of limitation
The EU trade mark does not provide a uniform statute of limitation. The ECJ (C 479/12) has decided that claims for injunctive reliefs become time-bared under the regulations of the national law. However in some case it can be very unclear which national law applies and therefore the same case can be seen differently in the different countries. When the plaintiff’s trade mark is a national trade mark the scope of application of the national statutes of limitation is clear and there are no further insecurities which are never to relish when have court proceedings.
The author of this post is Ilja Czernik.
These days, influencer marketing is an indispensable part of virtually any marketing strategy. The attention gained through influencer marketing has recently been a subject of discussion among the competition associations as well.
As a forerunner, the Association of Social Competition seems prepared to take a closer look at the topic, as indicated by several media statements. According to its general manager Angelika Lange, the association has already issued warnings to several dozen influencers (https://www.wuv.de/marketing/die_influencer_jaeger ).
The association does not shy away from litigation, either. Following Celle Higher Regional Court’s decision on the external presentation of influencer advertising in June 2017, Hagen Regional Court (September 13, 2017 – Case 23 O 30/17) dealt not only with the external presentation but also with the content of an influencer’s statements.
Influencer Scarlett Gartmann is said to have advertised various products on her Instagram account without marking the content or individual sections as “advertising” (“Anzeige”) or “promotion” (“Werbung”). Hagen Regional Court, like Celle Higher Regional Court, considered this a violation of the marking obligations under competition law.
While this decision was to be expected, what is noteworthy is the component that deals with the content. The regional court obviously also had to decide on the use of the term detox by the influencer, which the Court considered a “health claim” in combination with the drink that was advertised by means of a photograph. Such a claim would not be permitted, however, which is why another prohibition claim against the influencer existed.
Practical tip
Particularly in areas that are sensitive to regulatory requirements, such as food law or medical device law, influencers and companies that are commissioning influencers should check in advance whether certain statements can actually be made as planned. Even though the external form can be preserved relatively easily by marking the text as “advertising” or “promotion,” there may be considerable and costly warning potential when the content of statements is examined, which the competition associations increasingly seem intent on exploiting.
The author of this post is Ilja Czernik.
Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
The eSports sector is growing rapidly as illustrated by the following figures:
In 2017, the eSports economy grew to US-$696 million, a year-on-year growth of 41.3%.
Brands invested $517 million in 2017, which is expected to double by 2020.
Worldwide, the global eSports audience reached 385 million in 2017, with 191 million regular viewers.
(cf. https://newzoo.com/insights/trend-reports/global-esports-market-report-2017-light/)
North America continues to be the largest eSports market with revenues of US-$257 million. There is also continual development of eSports in Germany, however. The professional soccer teams of VfL Wolfsburg and FC Schalke 04 have their own eSports teams (http://www.gameswirtschaft.de/sport/esports-fussball-bundesliga/), and the German eSports Federation Deutschland has recently been founded, with the Federal Association of Interactive Entertainment Software (BIU) as a founding member (http://www.horizont.net/marketing/nachrichten/ESBD-E-Sport-Bund-Deutschland-geht-an-den-Start-162957).
In areas where such a lot of money can be made, legal obstacles are never far away. Here, they comprise a wide range of all kinds of different topics.
The initial focus is on copyrights and ancillary copyrights. Soccer stadiums, buildings, and avatars may enjoy copyright protection just as much as the computer program on which the games are based. Another item of discussion is whether eAthletes are to be classified as “performing artists” in accordance with Section 73 German Copyright Act. In addition, the question arises as to who enjoys ancillary copyrights under Section 81 Copyright Act as organizer of eSports events and whether such organizers have the same domiciliary rights as the organizers of a regular sports event.
In terms of trademark and design law, it will have to be discussed to what extent products and brand images represent infringements of the Trademark Act and the Design Act. In the case of brands and trademarks in particular, the question will be to what extent they are design objects or indications of origin.
Finally, there will also be regulatory issues that need to be observed. In addition to the use of cheatbots and doping substances, the main focus will be on the protection of minors and the Interstate Broadcasting Treaty with its advertising restrictions.
In conclusion, one suggestion: keep an eye on the eSports movement! Companies that want to stay ahead of the curve, should deal with the aforementioned issues and all further questions in timely manner.
The author of this post is Ilja Czernik.
Influencer marketing is the trend in today’s world of advertising. Even though it is obvious that influencer marketing must observe the framework of applicable statutory provisions, the market has long been uncertain about how influencer posts are to be drafted in order to be legally compliant. The current decision of Celle Higher Regional Court (June 08, 2017 – Case 13 U 53/17) offers at least some clarity.
The judgment was issued in relation to an action for injunction by the German Association for Social Competition (Verband Sozialer Wettbewerb) against a German drugstore chain. A 20-year-old Instagram star with 1.3 million followers had advertised the drugstore chain in one of her posts. The post was only marked as advertisement at the bottom with the hashtag “#ad,” which additionally only came second in a list of six hashtags.
Celle Higher Regional Court adjudged that this type of marking was insufficient. The court requested that the commercial purpose of an Instagram post would have to be apparent at first sight. It did not consider use of the hashtag “#ad” in a “hashtag cloud” to be sufficient to mark the post as advertising.
The court left expressly open, however, whether the use of the hashtag “#ad” is generally suitable to mark advertising posts.
The state media authorities (Landesmedienanstalten) already reacted to the judgment, however, and revised their joint guide on advertising issues in social media. It now reads: “When marking a post as PROMOTION (Werbung) or ADVERTISING (Anzeige), you will be on the safe side – that much is certain. […] At the current time, we cannot recommend marking posts as #ad, #sponsored by, or #powered by.” In the future, Instagram itself intends to provide for more transparency on the platform by comprehensibly identifying advertising posts. It is currently testing the introduction of a branded content tool in Germany to make it easier for users to recognize posts as paid advertising.
Practical tip
Advertising posts in social media should always be marked as “promotion” or “advertising” at the beginning of the posts unless their commercial purpose arises directly from the circumstances. Advertisers are also advised to obligate influencers contractually to such legally compliant marking of posts, since the influencers’ behavior may be attributed to the company, as is clearly shown by the recent judgment of Celle Higher Regional Court against the drugstore chain.
The author of this post is Ilja Czernik.